8.11.14

Delinquenza bancaria e Borse (Rodolfo Laschi)

Luciano Canfora, in un suo pamphlet sull'Europa, riprende due paginette da un ottocentesco saggio antropologico di Rodolfo Laschi (La delinquenza bancaria, Fratelli Bocca editori, Torino, 1899), che aveva ottenuto la prefazione di Enrico Morselli, primario della clinica psichiatrica di Genova. Mi pare di qualche utilità postarle qui in un momento in cui gli scandali al vertice dell'Unione Europea, mettendo in piena luce collusioni ad alto livello, le rendono attualissime, quasi fossero scritte ieri. (S.L.L.)
La Borsa di Milano
Vedansi, ad esempio, le Borse. Molti le trovano ormai indispensabili al meccanismo finanziario moderno, eppure non v'è chi non veda a quante sventure e a quanti delitti esse diano origine, di fronte allo smisurato arricchirsi di pochi: dei più «forti» per quel mondo di selezione alla rovescia. Ora i legislatori almanaccano nuovi regolamenti per allontanarne gli aggiotatori, i bancarottieri, i mezzani di loschi affari; ma a nulla riescono, perché il male sta nell'aver trasportata una istituzione, sorta da necessità commerciali fra popoli fedeli ai loro impegni, rigidi nella loro proverbiale onestà, come gli Inglesi e gli Olandesi, fra costumi e tradizioni assai differenti. È così che Max Nordau può chiedere riguardo alla Borsa: «Si è essa mai ristretta entro i limiti di una convenienza ragionevole? È stata essa mai il mercato dove il venditore di buonafede incontrasi col compratore pure di buona fede e dove l'onesta offerta equilibrasi coll'onesta domanda?».
Vi sono poi cause economiche più generali: il disagio sempre crescente, la speranza di facili guadagni che, come vedemmo, alletta gli innumerevoli spostati, l'avvilimento della industria e dell'agricoltura là dove i capitali ne rifuggono, gli errori economici dei governi, che circondano di privilegi gli istituti bancari, anche i meno meritevoli, mentre opprimono con balzelli d'ogni sorta le feconde iniziative industriali o le speculazioni agrarie, che svierebbero il paese dai malsani rischi del denaro.
Preparato così l'ambiente, è naturale che la criminalità trovi terreno favorevole al suo sviluppo: non
che il reo bancario, e lo vedremo nello studio antropologico di esso, sia necessariamente un delinquente per tendenza congenita; vi sono anzi fra essi persone di precedenti incorrotti, devote alla patria, vittime della loro ambizione, o della loro leggerezza, talora della propria cupidigia, non di rado anche dei raggiri altrui. Ma all'infuori di questi che chiameremo rei occasionali, è certo che la credulità del pubblico suggestionato in mille modi, l'impunità o quasi che la legge o gli interessi di chi sta in alto accordano a siffatti reati, vi attirano dei veri criminali, che trovano molto comodo il lanciarsi nel mondo degli affari, dove la morale è assai larga, le riputazioni si acquistano a buon mercato e il successo, sia pure di un giorno, costituisce un lasciapassare anche nella società di meno facile accesso.
Come dunque il violento dell'epoca primitiva, la bestia umana, sotto l'influenza della civiltà, va piegando la sua natura rude e insofferente alle arti sottili della frode, così questa subisce pure la sua evoluzione, abbandonando man mano i goffi tranelli del giuoco di carte, o dei rotoli di piombo sostituiti all'oro, per le truffe raffinate delle società di speculazione o degli istituti di credito, già così altamente quotati nella pubblica fiducia, da richiedere una preparazione ed uno sforzo minimi, per ottenere risultati addirittura sorprendenti.


Da Luciano Canfora “E' l'Europa che celo chiede!”. Falso!, Laterza 2012

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