2.10.14

Morte di Jang Qing (Rossana Rossanda)

Jiang Qing
Due settimane fa, dunque, Jiang Qing, che era stata la compagna di Mao, si sarebbe uccisa a Pechino. La notizia è stata confermata dall'agenzia cinese Xsinhua con queste parole: «La principale criminale della cricca controrivoluzionaria Lin Biao-Jiang Qing si è suicidata ed è morta nella sua residenza di Pechino nelle prime ore del mattino del 14 maggio».
Chi un poco sa di Cina noterà come, anche nei lanci successivi, non viene mai nominato il legame della donna con Mao, il cui nome non è esaltato ma neppure calpestato - semplicemente ridotto nelle citazioni al ruolo svolto nella liberazione del paese. O forse Mao non si può attaccare ancora. E' curioso anche che Jang Qing sia associata a Lin Biao, che era caduto nel 1971 in una morte oscura e la cui versione a Pechino ha raggiunto il massimo dell'incredibilità. Certamente Jang Qing aveva condiviso il radicalismo dottrinario di Lin Biao, ma il suo nome era di norma associato alla «banda dei quattro» che aveva avuto un ruolo determinante nella seconda fase della «rivoluzione cuturale». Con gli altri tre era stata arrestata dopo la morte di Mao, poi processata nel 1981 e condannata a morte, tramutata in ergastolo. Da allora poco si è saputo di lei, se non che nel 1984 aveva subito un'operazione per cancro alla gola. Due mesi fa circa, un giornale provinciale cinese l'aveva intervistata, era agli arresti domiciliari alla periferia di Pechino - forse una forma di sanatorio, difficile capire quale fosse il suo «domicilio» dopo l'arresto, che l'aveva trovata ancora nella casa circondata dal giardino di peonie nel quale la intervistò e fotografò la giornalista americana Roxane Witke. Il giornale scriveva che stava bene, manteneva il «proverbiale caratterac-cìo», stava scrivendo le sue memorie. Richiesta di darne qualche anticipazione, aveva risposto: «Aspettate e saprete.»
Forse invece non sapremo. Se la recente intervista è vera, come afferma la Reuter, Jiang Qing non si è uccisa perché sofferente d'una malattia mortale: non sembra - per quanto imponderabili siano i moti interni d'una persona da noi cosi lontana - tipo da uccidersi a 77 anni perché soffre d'un male che si rivela incurabile. Se si è uccisa, altro doveva esserle diventato insopportabile: di non poter testimoniare, per esempio, e forse non tanto perché glielo impedissero ma perché la Cina, e il mondo, hanno cosi cambiato colore che le parole delle sua storia potevano parerle non più in grado di comunicare. Ma come immaginare che cosa è avvenuto in lei per uccidersi? Il suicidio di vecchi dei quali tutto si può dire ma non che fossero fragili, come recentemente Bruno Bettelheim, è diventato una triste prerogativa del nostro tempo.
Qualcun altro dirà che si è uccisa perché finalmente pentita, la grande criminale, l'anima nera di Pechino come titolava ieri a piena pagina “La Stampa”. Rivedendo quello che scrivemmo di lei e dei quattro nel 1981, per parte mia non trovo nulla da modificare. Ci sono state grandissime colpe che non riuscirò mai a catalogare nella criminalità, come oggi ci sono violenze che nessuno più giudica tali, perché la sola imperdonabile è la violenza di chi voleva cambiare qualche infinita miseria. Jiang Qing era di questi, e in lei più che in altri andarono assieme - diversamente dalla complessa personalità di Mao - radicalismo della volontà e semplificazione abusiva nella intelligenza delle cose. Cambiare è difficile, di forza si cambiano soltanto i poteri. La signora Mela Azzurra, Gru delle Nubi, Azzurro delle grandi acque - cosi era chiamata da ragazza - voleva cambiare altro, e fu sconfitta anche da se stessa.


“il manifesto”, 17 maggio 1991

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