9.9.14

La principessa Agaruk (Italo Calvino, per un film su Marco Polo)

In occasione della trasmissione di un Milione televisivo con la regia di Giuliano Montaldo, “l'Espresso”, estraendolo dal trattamento di un progettato film su Marco Polo che Italo Calvino aveva scritto per la Vides, pubblicò l'episodio che qui riprendo. Il fascino è quello delle Fiabe italiane o della riscrittura in prosa del Furioso: la luminosa esattezza dello stile dà più forza all'oscuro intrico di casualità e di inspiegabili pulsioni che avvolge l'umana esistenza. Il titolo è mio; quello a suo tempo ideato dal titolista del patinato settimanale (Alla corte del Gran Can sedusse la Gran Cagna) mi pare una schifezza: oltre ad essere costruito su un gioco di parole volgare e scontato, è del tutto inadeguato al contenuto del “pezzo”. (S.L.L.)
Marco a cavallo, solo, entra in una città tartara. Scende una locanda. Mangiando interroga il locandiere sul traffico che si vede in città.
— Non sa, signore? Oggi è giorno di torneo... Nuovo torneo con questa nostra principessa... — e sospira — quanti se ne è fatti! e ancora questo sposo non si è trovato! Figuriamoci: chi le tiene testa?
— Che principessa? e cos'è questa storia dei tornei?
— Come? Non sapete? La principessa Agaruk, la figlia di re Caidu, il nostro re! Una ragazza cresciuta con le armi indosso fin da quando era bambina! Sempre negli accampamenti coi tartari, e in tutte le battaglie, chi c'era in prima linea? Lei! Adesso sarebbe proprio tempo di darle marito! Basta si decidesse, avrebbe ai piedi tutti i re, i principi. Macché! Si è messa in testa che sposerà soltanto il cavaliere che uscirà a disarcionarla in un torneo! E chi si prova e perde deve lasciare una posta di cento cavalli. A questo modo, si è fatta una mandria di cavalli che basterebbe per tutta un'armata.
La principessa Agaruk intanto sta pascolando i suoi cavalli che sono centinaia e centinaia. E' una ragazza bellissima ma di proporzioni gigantesche, con un'aria proterva, capelli che le cadono sugli occhi. Veste alla foggia dei tartari, panni maschili. Con una frusta fa andare i cavalli.
Il re Caidu sta parlandole affacciato alla staccionata dello stabbio. — Questa volta è proprio l'occasione che tu ti lasci vincere, Agaruk. Il re del Pamir è un potente sovrano, un giovane valoroso, e innamorato pazzo di te. Non avrai l'occasione migliore, ne sono sicuro!
Agaruk non si volta nemmeno, sempre schioccando la sua frusta. — Che mi vinca, se è valoroso. Se mi disarcionerà sarò sua sposa, è convenuto, no? Ma scommetto che lo farò saltar di sella come fosse un biscottino!
Da un'altra parte della staccionata è affacciata la madre, la regina. — Agaruk, perché ti intesti così? Il re del Pamir un così bel giovane, alto quanto te, robusto, fiero... dovresti esser felice d'esser sconfitta da un uomo così...
Agaruk grida: — Non accetterò mai d'esser sconfitta! Mai! Mai! Capite? — s'afferra al collo d'un cavallo che passa di corsa, gli balza in groppa e sprona al galoppo, dando con la lunga frusta al suolo, e facendo correre dietro di sé tutta la mandria di cavalli...
Questo re di Pamir è davvero un bellissimo giovane. Eccoli in campo l'uno di qua, l'altra di là, che indossano l'armatura, aiutati dai valletti. Nelle tribune, il re, la regina e tutto il popolo della città. C'è anche Marco. Il popolo grida: — Vincila, vincila, Pamir! Agaruk, lasciati vincere, stavolta! Questa è la volta buona!
Il re del Pamir, mentre stanno preparandosi, vede che il suo lucido scudo manda un riflesso fin dov'è Agaruk, e per gioco, le fa solicello sugli occhi, e le sorride.
Agaruk sorride, abbassa gli occhi quasi vergognosa, poi da questa mossa scontrosa passa a un'espressione d'ira.
Montando a cavallo, fanno a capo scoperto il giro del campo. S'affiancano per salutare il re Caidu e la regina. Il re del Pamir sorride e guarda amico e franco la desiderata avversaria. Lei è tutta tesa e torva, riottosa.
Calzano gli elmi, abbassano la visiera. Sono ai due estremi del campo, lancia in resta. Galoppano l'uno contro 1' altro e il duello incomincia.
Il popolo è tutto per il pretendente e smania vedendo come la lotta si fa accanita.
II duello con le lance comincia con finezza di gran scherma, poi si fa pesante, di forza, d'urto, finché entrambi spezzano le lance.
Pongon mano alle spade. E si gettano l'una addosso all'altro come si dovessero ammazzare. E' Agaruk, certo, che ci mette tutta quella furia; e lui deve rispondere del pari se non vuoi soccombere.
Presto il loro è un corpo a corpo, ora anche lui ha preso una rabbia, come a un'offesa, un torto che la principessa gli fa, e pare che si vogliano scannare. E' di forza bruta, proprio con la superiorità della violenza della sua gigantesca persona, che Agaruk scalza il cavaliere via di sella e lo butta, paf!, per terra.
Il pubblico resta come di marmo. Non un applauso, non un grido. Re Caidu e la regina sono mesti. A Marco passa un brivido per il filo della schiena.
Agaruk si scopre il viso e ride, ride contro tutti. Il re del Pamir si rialza, toglie l'elmo, scuote il capo, va via.
Entrano in campo i cento cavalli della posta persa. Agaruk si pone alla loro testa e fa il giro del campo.
Per festeggiare (a malincuore) la vittoria della figlia, re Caidu dà un ricevimento. Il re presenta ai convenuti il suo ospite d'onore, Marco Polo, ambasciatore del Gran Khan.
Agaruk sta in disparte e scherza, secondo il suo solito, con i giovani guerrieri. A uno torce un braccio d'improvviso, un altro lo manda a finire lungo e disteso per terra, con un terzo fa a braccio di ferro. Tutti, a corte, usano con lei modi camerateschi e bruschi, gli unici che lei sopporta.
S'avvicina Marco. Lei lo guarda dall'alto in basso. Marco nasconde una mano dietro la schiena. Avanza la mano e porge una rosa dal lungo stelo ad Agaruk.
Lei dapprima è sorpresa, poi quasi offesa, poi timida prende la rosa con un'aria quasi da giovinetta, poi la porta al viso a sentirne il profumo, si vergogna, per un secondo è felice, s'arrabbia, si vergogna ancora, si volta come per nascondersi, va via con la rosa.


“L'Espresso”, senza indicazione di data, ma 1982.

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