25.8.14

Il furfante Jonathan (Beniamino Placido)

La recensione di un romanzo settecentesco e la digressione sulla figura del protagonista si trasformano nell'invenzione e nell'elocuzione di Beniamino Placido in un brillante apologo, che aiuta a individuare le differenze tra “civiltà” e “barbarie”. A suo dire i banchieri (e i loro amici ministri) sarebbero sì dei ladroni, ma civilizzati, e questo li renderebbe di gran lunga migliori degli altri ladroni. Forse a leggere dentro i percorsi dell'ultima crisi capitalistica e dentro i percorsi finanziari delle grandi mafie, si arriva alle conclusioni che lascia trasparire il professore Giuseppe Carlo Marino nel suo Globalmafia (Bompiani, 2011): alcuni confini sono stati abbattuti e le distinzioni del passato sono quasi scomparse. (S.L.L.)
Henri Fielding
Imbarazzante per i lettori di ieri, la lettura del romanzo settecentesco Jonathan Wild, il Grande, di Henry Fielding, che Bompiani ripubblica nella vecchia traduzione di Carlo Izzo con una nuova introduzione di Sergio Perosa (pagg. 225, lire 6.500) può risultare sconcertante (se non addirittura «pericolosa») per il lettore di oggi.
Sono stati letterati illustri e avveduti dell'Ottocento, come Walter Scott, Coleridge, Byron, a trovare questo libro «imbarazzante». Senza peraltro riuscire a spiegare né a se stessi, né a noi, le ragioni del loro «imbarazzo».
Ridotta all'osso, e con un po' di audacia, la questione si può porre così. Jonathan Wild è un romanzo estremamente imbarazzante, ieri come oggi, perché non è Ali Babà e i quaranta ladroni.
Riflettiamoci sopra un attimo. Il fascino di quella incantevole novella da Le Mille e una Notte non è nella formula magica che schiude (e richiude) la porta della caverna dei briganti: «Sesamo, apriti». Pensiamoci bene, e magari rileggiamo il racconto. La sua forza persuasiva, rasserenante, risiede nel fatto di essere il rituale di fondazione di una civiltà mercantile.
Alì Babà ruba. Ma ruba a dei ladri. E non ruba per continuare a rubare. Ruba per avviare un esercizio commerciale a vantaggio del figlio (i particolari li lasciamo, naturalmente, da parte). Alla grotta nel bosco si sostituisce la bottega in città. Al brigante si sostituisce il mercante. Il narratore de Le Mille e una Notte non nega che fra queste due figure sociali ci sia qualcosa in comune (Ali Babà è un po' bricconcello anche lui). Ma non ha dubbi nell'accordare la sua preferenza. Al furfante preferisce il mercante.
E Fielding, invece? Fielding, non si sa. Non è chiaro. Non si capisce bene. Karl von Clausewitz diceva che la politica è l'arte della guerra, continuata con altri mezzi.

Recupero oggetti rubati
Nel pieno di una civiltà mercantile in espansione (e in presenza di una rivoluzione industriale incipiente), Fielding dice spiega sostiene — in questo romanzo — che fra il furfante e il mercante e il politicante non c'è mica poi tanta differenza. L'arte dell'uno è la «continuazione» di quella dell'altro. Le stesse «virtù» che servono alla fortuna di un ladro possono servire al successo di un primo ministro (il Primo Ministro al quale Fielding si riferisce è il molto chiacchierato Walpole, in carica dal 1715 al 1717 e poi dal 1721 al 1742). È vero: l'autore di Tom Jones e di Amelia ha anche qui un tono sempre ironico e irridente. Scherza sempre. Ma talvolta si ha proprio 1' impressione che faccia terribilmente sul serio. Si chiede: è proprio sicuro che Alessandro Magno, con tutto quello che ti ha combinato, era meglio del mio Jonathan Wild, il Grande? Se Fielding si pone (ci pone) la domanda, è — naturalmente — per rispondere di no. Anzi, per aggiungere che se un'alternativa c'è, è un'alternativa crudele. Si può essere o Grandi senza bontà o Buoni senza grandezza. «Tertium non datur». In mezzo non ci si sta.
Grande, grandissimo — e quindi _ cattivissimo — è Jonathan Wild, personaggio realmente esistito in quella Londra del primo Settecento che noi ci immaginiamo (ed effettivamente era) formicolante di briganti e di furfanti, di ladri e di puttane, di mantenuti, di manutengoli, assassini, tagliaborse, ricettatori, ricattatori, impiccati e impiccatori. Fra queste figurine tutte simpatiche, anzi irresistibilmente deliziose ad incontrarle nella pagina scritta (ma chissà poi ad averci a che fare nella vita reale) Jonathan Wild ci sguazza. Anzi, ci costruisce sopra addirittura un piccolo impero. Un'impresa commerciale. Un'Agenzia per il recupero non degli oggetti smarriti, ma degli oggetti rubati.
Ti hanno rubato — a te fortunato abitante di quella Londra settecentesca — un gioiello, una tabacchiera, un bastone da passeggio (sembrano i furti più frequenti)? Bene, rivolgiti con fiducia alla benemerita Agenzia di Jonathan Wild. Lui non sa niente, naturalmente. Ma per farti un favore, si informerà. Vedrà cosa si può fare. Cercherà di riscattare gli oggetti. Rivolgiti a lui. Con fiducia, tanto è lui stesso che li ha fatti rubare. Dai suoi uomini di fiducia. E per sé, cosa vuole? Niente, quasi niente: un regalino, una percentuale minima del valore dell'oggetto rubato (e recuperato).
E' forse ricettazione, questa? No, è pura filantropia. La legge non ha niente da dire. Finché non si scaltrisce, la legge, finché non vengono emanate disposizioni più penetranti, più severe, che definiscono anche questa come ricettazione: e per il nostro Jonathan è finita.
Sarà impiccato nel 1725. Ma non prima di aver spedito a sua volta sulla forca più di un compagno sospetto di scarsa fedeltà. Non prima di aver insidiato e rovinato la pacifica esistenza familiare del suo amico (si fa per dire) Heartfree — la vera antitesi di Wild, un Buono senza grandezza. Non prima di aver soggiornato nel famoso carcere di Newgate (famoso anche per tutta una letteratura ribaldesca scritta dagli ospiti di questa benemerita istituzione) costituendo lì dentro altre bande, provocando altri scontri, allacciando altre alleanze (la turbolenza carceraria, come si vede, ha una lunga storia).
Non meraviglia che un personaggio del genere abbia suscitato molto interesse. Da buon giornalista, Daniel Defoe ne racconta, nello stesso anno (1725), le gesta, con stile sobrio e secco, in un volumetto riproposto in italiano (Daniel Defoe, La vera storia di Jonathan Wild, Sellerio).
Passano tre anni, e John Gay si ispira a lui — a Jonathan Wild — per la raffigurazione di Peachum, protagonista dell'Opera dei mendicanti (1728). Passano un paio di secoli, e la memoria di Jonathan Wild, il Grande, non è ancora morta: da John Gay a Brecht, dall'Opera dei mendicanti all'Opera da tre soldi. E con Brecht siamo al culmine della spregiudicatezza (ideologica) e dell'imbarazzo (pratico). E' sua, di Brecht, la domanda storica (e retorica): «che cos'è mai la rapina a una Banca di fronte alla fondazione di una Banca?»
Brecht vuole evidentemente indicare (ne ha tutto il diritto) la contiguità — se non addirittura la continuità — di pratica bancaria e eli spregiudicata spietatezza finanziaria. Brecht vuole evidentemente dire (e fa bene a dirlo) che sovente è difficile distinguere un politicante da un mercante, e un mercante da un furfante.
Proprio come Fielding intendeva dire (anzi esplicitamente proclamava) che il Primo Ministro di sua Maestà, Walpole, non era mica poi tanto meglio del suo simpaticissimo Jonathan Wild.

Nella bottega di Alì Babà
Eppure c'è una differenza fra il banchiere e il mercante, fra il politicante e il furfante. Anzi, a pensarci bene, le differenze di rilievo sono due. Primo: il banchiere, il politico mentre fanno tutto quello che possono per il proprio interesse, devono fare qualcosa anche per noi. Devono renderci dei servizi, devono assolvere a delle funzioni. Il furfante, no. Non è tenuto a niente. Non è tenuto a tanto.
Secondo: il Primo Ministro, il Presidente di una Banca lo possiamo controllare, lo possiamo perfino cambiare (in certi regimi cosiddetti «borghesi», beninteso); il capobanda, no. Anche il potentissimo Primo Ministro Walpole cade, nel 1742. Tant'è vero che nella seconda stesura del romanzo (1754), quella che leggiamo in traduzione, Fielding attenua di molto gli accenti aggressivi nei suoi confronti.
Se andiamo a comprare nella bottega aperta da Ali Babà, è probabile che lui benevolmente ci imbrogli. Ma se ci rivolgiamo ai briganti nella loro caverna, ci capiterà sicuramente di peggio.
E poi — diciamocelo — i banchieri sono per definizione squallidi e rispettabili. I briganti sono per definizione pittoreschi e divertenti. Jonathan Wild — il personaggio — è irresistibilmente simpatico. Jonathan Wild, il Grande — il romanzo — è paradossalmente attraente.
Ma non è una buona ragione per abbandonarci a quella fatuità «letteraria» che consiste nello spararle grosse (tanto non costa niente). Nel dire: ma sì, in fondo sono tutti uguali, governanti e mercanti: tutti briganti (vedi? lo dice anche Fielding; vedi? lo dice anche Brecht).
In fondo può essere vero. Ma a noi interessa quel tratto di superficie dove si inscrivono le fragili, provvidenziali «differenze» che sono la civiltà. Dove Ali Babà e diverso dai briganti della cave. E, in fondo in fondo, anche più simpatico.


“la Repubblica”, ritaglio senza data, ma 1981

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