2.8.14

Catullo, Carmina, XXXIX. Il riso di Egnazio (S.L.L.)

Un nuovo, ridente assaggio dalla mia traduzione dei carmi catulliani, munito di una breve postilla esplicativa. (S.L.L.)  
Il busto di Catullo a Sirmione
XXXIX.
Egnatius, quod candidos habet dentes,
renidet usque quaque. si ad rei ventum est
subsellium, cum orator excitat fletum,
renidet ille; si ad pii rogum fili
lugetur, orba cum flet unicum mater,
renidet ille. Quidquid est, ubicumque est,
quodcumque agit, renidet: hunc habet morbum,
neque elegantem, ut arbitror, neque urbanum.
Quare monendum est te mihi, bone Egnati.
Si urbanus esses aut Sabinus aut Tiburs
aut parcus Umber aut obesus Etruscus
aut Lanuvinus ater atque dentatus
aut Transpadanus, ut meos quoque attingam,
aut quilubet, qui puriter lavit dentes,
tamen renidere usque quaque te nollem:
nam risu inepto res ineptior nulla est.
Nunc Celtiber es: Celtiberia in terra,
quod quisque minxit, hoc sibi solet mane
dentem atque russam defricare gingivam,
ut quo iste vester expolitior dens est,
hoc te amplius bibisse praedicet loti.

Il riso di Egnazio
Visto ch’Egnazio ha denti bianchi suole
ridere d’ogni cosa. In faccia al banco
dell’imputato, quando l’oratore
suscita il pianto, Egnazio se la ride.
Al lutto di un pio figlio, mentre piange
la madre orbata dell’unico conforto,
Egnazio se la ride. Sempre, ovunque,
qualunque cosa accada, se la ride.
Ha questa malattia inelegante,
anzi, io credo, da vero screanzato.
Io ti devo avvisare, buon Egnazio:
se fossi tu sabino o tiburtino,
un romano di Roma, un umbro parco,
un etrusco grassone, un lanuvino
scuro dai grandi denti, un transpadano,
per citare una volta i miei parenti,
uno qualunque che si lavi i denti
con acqua pura, ti consiglierei
di non ridere. Niente di più scemo
di un riso scemo. Ma tu sei spagnolo.
Nella terra di Spagna quel che ognuno
piscia, suole sfregarselo al mattino
sopra denti e gengive, a farle rosse,
e dunque questa vostra dentizione
tanto è pulita, quanto è più abbondante
il piscio che vi avete incorporato.

Postilla
Egnazio, la cui hispanidad è evidente perfino nel nome, assai simile a quello dello spagnolo fondatore – diversi secoli dopo - dei Gesuiti, compare in due carmi catulliani, nel 37 come zazzeruto e rivale in amore del poeta, qui nel 39 in una caricatura dal ritmo rapido e incalzante. Delle etnie e delle cittadinanze che, con parodistica enfasi, qui sono enumerate si citano caratteristiche fisiche o morali che erano ormai luogo comune, ma non sempre se ne individua la ragione: che gli etruschi, specie se ricchi, tendessero al grasso per via dell'alimentazione è notizia che trova conferma in immagini e testimonianze, meno facilmente si spiega la fama attribuita agli abitanti di Lanuvium, nell'antico Lazio, di grandi dentature e carnagione scura.
Il tutto si chiude con una stoccata finale di irrisione per le abitudini igieniche attribuite agli Iberici, esattamente come l'altra poesia dedicata allo stesso cattivo soggetto. Evidentemente la cosa aveva impressionato il poeta.

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