23.5.14

Meditazione su un manico di scopa (Jonathan Swift)

Il povero manico che oggi vedete ingloriosamente giacere in quell'angolo dimenticato, io so che un giorno fu fiorente in una foresta; era pieno di linfa, pieno di foglie, pieno di rami; ma ora invano il solerte artificio dell'uomo tenta di gareggiare con la natura, legando quel fastello di ramoscelli secchi al suo arido tronco; nella migliore delle ipotesi esso è ora il rovescio di quello che era un tempo, un albero capovolto con i rami a terra e le radici per aria; maneggiato da qualunque sudicia donnetta, e destinato a eseguire il suo faticoso lavoro, deve, per capriccio della sorte, far pulite le altre cose e sporcare se stesso; infine, ridotto a un moncherino dalle serve, viene buttato fuori dalla porta o condannato come ultimo uso ad accendere il fuoco.
Quando io mi accorsi di ciò guardai bene e dissi fra me: certamente l'uomo è un manico di scopa. La natura lo ha creato forte e vigoroso, in floride condizioni, con i capelli in testa, che sono rami appropriati a questo vegetale ragionevole, finché l'ascia dell'intemperanza non gli ha tagliato via i verdi rami e non lo ha ridotto un arido tronco. Allora egli ricorre all'arte e si mette una parrucca, stimandosi in base a un innaturale fastello di capelli, tutto coperto da una polvere che mai la sua testa produsse; e adesso questo nostro manico di scopa vorrebbe comparire in scena, orgoglioso di quelle spoglie di betulla che mai aveva portate, e tutte coperte di polvere, sebbene spazzata e raccolta dalla camera della signora più raffinata; e noi osiamo anche deridere e disprezzare la sua vanità, giudici parziali come siamo delle nostre squisite virtù, e dei difetti altrui.
Ma una scopa è il simbolo di un albero che sta in piedi sulla testa: mentre un uomo che cosa è, di grazia, se non una creatura capovolta, con le facoltà animali che continuamente scavalcano le razionali, con la testa al luogo dei piedi, un essere che striscia in terra, e pure si erge, con tutti i suoi difetti, a universale riformatore e correttore degli abusi, a oppressore delle angherie; che fruga in ogni sudicio angolo della natura, portando alla luce le corruzioni nascoste, e una gran polvere dove prima non c'era, prendendo intensamente e incessantemente parte proprio a quelle porcherie che pretende di spazzar via? I suoi ultimi giorni sono spesi al servizio delle donne, e generalmente delle meno degne. Finché, ridotto al moncone, come la sua sorella scopa, non sarà messo a calci fuori la porta, o adoperato per accendere il fuoco, al quale altri possono scaldarsi.


In André Breton, Antologia dello humour nero, Einaudi, 1970 (prima edizione in francese 1966)

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