13.4.14

La cosmesi dagli Egizi al Rinascimento. Una mostra a Padova nel 1984 (Silvia Giacomoni)

I flaconi della cosiddetta Dama di Callatis (Romanìa),
grande assente alla mostra padovana del 1984
oggi al Museo di Costanza
PADOVA
Peccato che la dama di Callatis abbia rifiutato l'invito ad esporre il suo eccezionale beauty-case nella vetrinetta che le spetterebbe. Così non possiamo verificare se farebbe davvero invidia a Tutu, la moglie dello scriba Ami, vissuta tanti secoli prima di lei, ma in Egitto, non nella provincia romana che oggi chiamiamo Romanìa. Nella scatola da toeletta di Tutu, troviamo i sandali, tre tappi, un pettine, un piatto a forma di conchiglia, due spilli, un vaso per cosmetici in terracotta, un altro da viaggio in alabastro e un terzo ad anse, sempre di alabastro. E che direbbe della dama di Callatis la matrona di Vigorovea che qui ha spedito, occupando un' intera vetrina, i suoi meravigliosi balsamari in vetro soffiato, la coppa millefiori, la pinzetta di bronzo e la sua bottiglietta a duplice testa di Medusa?
Siamo a Padova nello splendido salone del Palazzo della Ragione, dove oggi si è inaugurata la mostra "Un' arte per la bellezza": più di trecento oggetti - alcuni rari, altri stupendi, molti mai esposti precedentemente al pubblico - che testimoniano la storia della cosmesi nel bacino mediterraneo; la storia della bellezza occidentale, si può dire, a partire dagli egizi per arrivare agli italiani del Rinascimento, con un breve, non vizioso, giretto, tra i "primitivi": gli africani, gli australiani. Trecento oggetti godibili in sè, da un punto di vista estetico, anche da chi spregia le estetiste. Ma che per essere tutti legati a quella straordinaria propensione che hanno gli uomini e le donne di tutti i tempi e paesi a voler essere "belli", e a fare coincidere la bellezza con un'idea tanto complessa e personale di eccellenza, richiameranno orde di curiosi, d'ogni genere e grado: si può prevederlo.
Si può prevedere, anche, che le reazioni del pubblico più innocente, nel guardare le vetrine, leggere i cartelli didascalici, compulsare il catalogo, saranno improntate alla gioiosa meraviglia di scoprire quanto poco siamo cambiati, rispetto agli egizi, i mesopotamici, i greci e tutti gli altri: anche loro necessitavano di dopobarba, fondi tinta, e aggeggi speciali per nettarsi le orecchie. Andavano ai fanghi, esaltavano gli occhi, usavano cerette per depilarsi e prodotti speciali contro la traspirazione. Si prende una grande confidenza, con gli antichi, se anziché leggerne i testi oppure osservarne le immagini distorte da canoni estetici che non sono più i nostri, pensiamo al loro corpo. Ci paiono fratelli quei costruttori egizi che rifiutavano il lavoro (scioperavano?) perché non avevano ricevuto il quantitativo pattuito (nel contratto nazionale) di olio solare. Da questa confidenza, il rammarico per l' assenza della dama di Callatis, la "pitonessa" vissuta sul Mar Nero ai tempi di Traiano, sofferente di osteoporosi e reumatismi, morta che aveva passato da poco i cinquant'anni.
E' importante, la dama di Callatis, perché il ritrovamento del suo sarcofago, una dozzina di anni fa, ha messo in moto un meccanismo di studio che vivifica questa mostra padovana e apre inedite strade di ricerca nel nostro paese. A studiare il suo sarcofago eccezionale - della "pitonessa" si eran conservati, oltre allo scheletro, gli occhi bistrati, l'epidermide, il polmone destro, un pezzo di cervello, il muscolo interno della coscia sinistra - fu chiamato il chimico Giuseppe Donato, supervisore scientifico di questa mostra ma oggi soprattutto direttore dell'Istituto di Tecnologia applicata ai beni culturali del Cnr. Donato, è naturale, si chiese il perché di tale conservazione e, con gli esperti della sua équipe, si mise a studiare i vegetali e le essenze conservate nel sarcofago: i lauri, gli incensi, la mirra... e i cosmetici conservati nel beauty-case. La curiosità si era innescata.
Oggi Donato è fiero di aver saputo riprodurre con pazienza certosina quattro unguenti classici, partendo dalle ricette di Plinio e Dioscoride: metapio, reale, rhodio e mirto-alloro. Unguenti che sono profumi a base di olio. Donato avaramente ne mette a disposizione qualche stilla, racchiusa in gocce di plastica: si sentono arcane suggestioni, annusandosi il dorso della mano spalmato di metopio. Il reale è meno stravagante. Una giovane donna lo trova rassomigliantissimo all'ultimo profumo di Balmain. La Dermatrophine, che è tra gli sponsorizzatori della mostra insieme con Olivetti, li metterà in produzione?

A queste domande, Donato sorride e spiega l'impossibilità della cosa, la necessità di partire dall'olio di olive colte d'agosto, la macerazione dei ventotto componenti per tre giorni consecutivi seguita dalla spremitura: operazione da ripetere dodici volte. E poi il mescolamento dei ventotto componenti tra loro. Miliardi, verrebbe a costare, un unguento del genere, sul mercato di oggi. Il lavoro di Donato ha un altro senso; è solo un esempio di archeologia sperimentale, per cui si producono oggetti, strumenti, quali li foggiavano gli antichi non per dare sfoggio di bravura, ma per poterli misurare con l'uso; quanti alberi può tagliare, una selce? Che effetto ha sul corpo, un unguento? Effetto estetico, effetto terapeutico, effetto micidiale; il figlio di Donato, che è medico, spesso interviene sul padre con pesanti dosi di cortisone. Quanto agli effetti magici, ahinoi, e a quelli simbolici, bisogna proprio che ci rinunciamo.

"la Repubblica", 3 maggio 1984

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