9.4.14

I due mestieri di Primo Levi (Italo Calvino)

Primo Levi ha raccolto in volume (L'altrui mestiere, Einaudi) una cinquantina di scritti apparsi sui giornali (soprattutto su “La Stampa”) che rispondono alla sua vena d'enciclopedista dalle curiosità agili e minuziose e di moralista d'una morale che parte sempre dall'osservazione.
Tra le pagine degne d'un'antologia ideale indicherei subito Segni sulla pietra, che comincia con una "lettura" dei selciati dei marciapiedi torinesi come documento mineralogico, antropologico, storico, e termina con amare riflessioni sull'indistruttibilità della gomma da masticare. L'occhio di Primo Levi si posa sulla città come quello del paleontologo futuro che nelle stratificazioni dell'asfalto scoprirà "come gli insetti del pliocene nell'ambra, i tappi-corona della Coca-Cola e gli anellini a strappo della birra in lattine". E' questo il metodo con cui (La mia casa) egli descrive anche l'appartamento in cui è nato e tuttora vive (caso di sedentarietà simile a quello delle patelle che "si fissano a uno scoglio, secernono un guscio e non si muovono più per tutta la vita"). Questi due pezzi e altri del volume esemplificano una "letteratura della memoria" quale può nascere da una mente ordinata e sistematica, in cui dalla concretezza e precisione dei dettagli non manca di scaturire una nota di pathos lirico, pur sobrio e controllato.
Proseguendo nella mia scelta, indicherò Stabile/instabile, che comincia come un elogio del legno, per poi spiegare la sua naturale instabilità al contatto con l' ossigeno dell' aria e rievocare un episodio di fabbrica: un caso d' autocombustione di segatura. Il pezzo dunque esemplifica due altri "generi letterari" rappresentati variamente nel libro: quello della "voce d' enciclopedia", scritta con un'eleganza degna della tradizione italiana dei Redi e degli Algarotti (in questa linea raccomando un capitolo sulla gommalacca, Dominum servavit) e quello delle "memorie d'un chimico industriale", che è un tipo di racconto solo suo, di cui già avevamo avuto dei precedenti nel volume più primoleviano di tutti, Il sistema periodico. (Come in una detective-story, in ogni racconto il chimico deve risolvere un caso misterioso). Nella chiusa del racconto, torna la vena del moralista: "I contorni di questa stabilità fragile, che i chimici chiamano metastabilità, sono ampi. Vi stanno comprese, oltre a tutto ciò che è vivo, anche quasi tutte le sostanze organiche, sia naturali, sia di sintesi; ed altre sostanze ancora, tutte quelle che vediamo mutare stato a un tratto, inaspettatamente: un cielo sereno, ma segretamente saturo di vapore, che si annuvola di colpo; un'acqua tranquilla che, al di sotto dello zero, congela in pochi istanti se vi si getta un sassolino. Ma è grande la tentazione di dilatare quei contorni ancora di più, fino a inglobarvi i nostri comportamenti sociali, le nostre tensioni, l'intera umanità d'oggi, condannata e abituata a vivere in un mondo in cui tutto sembra stabile e non è, in cui spaventose energie (non parlo solo degli arsenali nucleari) dormono di un sonno leggero".
Tra gli oggetti dell' attenzione enciclopedica di Levi, i più rappresentati nel volume sono le parole e gli animali. (Qualche volta si direbbe che egli tenda a fondere le due passioni in una glottologia zoologica o in una etologia del linguaggio). Nelle sue divagazioni linguistiche dominano le amene ricostruzioni di come le parole si deformano con l'uso, nell'attrito tra la dubbia razionalità etimologica e la sbrigativa razionalità dei parlanti. La storia più straordinaria è quella della parola "benzina" (da "benzoino" o "incenso di Giava"). La più inaspettata, quella dell'espressione d'uso colloquiale nell'Italia settentrionale "leggere la vita" a qualcuno, nel senso di dirgli in faccia tutto quel che si merita. (Credo che questo sia il vero significato della frase e non quello di "sparlare, spettegolare" che ne dà Levi, il quale dice d' averla sentita usare solo in ambito femminile e mai in prima persona; posso assicurargli che, almeno in Liguria, è frequente sentire un uomo dire "gli ho letto la vita" proprio nel senso di "gli ho detto il fatto suo"). Comunque, il senso letterale della locuzione non è chiaro: perché "leggere"? e perché "la vita"? Da riscontri vari, spaziando dalla fraseologia tedesca ai dizionari dialettali piemontesi, Levi è arrivato a questa conclusione: l'espressione originaria era "leggere il Levitico". Pare che nei conventi, a mattutino, cioè a notte alta, "dopo la lettura delle Sacre Scritture e in specie del Levitico, il priore si rivolgesse poi individualmente ai singoli monaci, lodandoli per i loro adempimenti, e più spesso rimproverandoli per le loro mancanze". Per cui leggere "il Levitico" o "i Leviti" avrebbe preso il significato di fare una ramanzina.
Resta da dire degli scritti che riguardano più direttamente la letteratura. Anche qui la capacità d'osservare è la grande dote di Primo Levi: si veda Il pugno di Renzo, in cui dimostra che nei Promessi sposi i gesti dei personaggi sono tutti sbagliati o impossibili, come gesti d' un cattivo attore. E l'osservazione non è fine a se stessa, ma può servire da chiave per capire qualcosa di più: "Il Manzoni sembra disposto ad ammettere certe soluzioni recitative solo 'quando due passioni schiamazzano insieme nel cuor d'un uomo'; ma in quello 'schiamazzo' si legge chiara l'avversione cattolico-stoica dell'autore per le passioni di cui il personaggio, pur così amato, è schiavo". Insomma, la stessa disposizione di spirito anima in Primo Levi l'abito mentale scientifico, la misura dello scrittore e del moralista. Un capitolo, Ex chimico, è dedicato al passaggio dalla sua prima professione a quella di scrittore ed enumera le lezioni valide per entrambe. "L'abitudine a penetrare la materia, a volerne sapere la composizione e la struttura, a prevederne le proprietà e il comportamento, conduce ad un insight, ad un abito mentale di concretezza e di concisione, al desiderio costante di non fermarsi alla superficie delle cose. La chimica è l' arte di separare, pesare e distinguere: sono tre esercizi utili anche a chi si accinge a descrivere fatti o a dare corpo alla propria fantasia".


“la Repubblica”, 6 marzo 1985

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