27.4.14

Berlinguer: “Ne valeva la pena”. Intervista a Mixer (1983)

Si tratta della celebre intervista televisiva rilasciata a Giovanni Minoli, conduttore di "Mixer", l'11 giugno 1983. E' ricordata soprattutto per alcune battute (quella sul “giocatore di poker” soprattutto), ma ci sono – a mio giudizio – passaggi assai più importanti. (S.L.L.)

Onorevole Berlinguer, in una battuta nota, l'onorevole Pajetta ha detto che lei, di nobile famiglia sarda, si è iscritto fin da ragazzo alla direzione del Pci. La considera una critica o un complimento?
«Un complimento, non del tutto vero, perché all'inizio della mia milizia comunista ho fatto il segretario di sezione».

Sempre parlando di potere, in televisione lei recentemente ha ammesso, sia pure con molta reticenza, che rifare il segretario del partito comunista, dopo dieci anni, le fa ancora piacere. Ecco, ma perché tanta reticenza nell'ammetterlo?
«Mi ha dato soddisfazione l'ampiezza del consenso con la quale sono stato designato».

Ma per lei cosa è il potere?
«Il potere è uno strumento insufficiente ma necessario per realizzare gli ideali in cui credo io e in cui credono i miei compagni».

Ma a lei cosa piace invece di più del potere?
«Mi piace la possibilità di far avanzare la realizzazione di questi ideali».

E di meno?La cosa che le dà più fastidio?
«Di meno, parlando non soltanto a titolo personale ma parlando come segretario del partito comunista, mi dispiace che il nostro potere sia ancora insufficiente, insufficiente per la realizzazione dei nostri obiettivi».

Senta onorevole Berlinguer, ma che differenza c'è tra l'austerità che predicava lei e il rigore invocato oggi dalla Confindustria e dalla Democrazia cristiana?
«Il punto fondamentale è chi paga, prevalentemente, le spese della fuoriuscita dalla crisi e del risollevamento economico e sociale del Paese. Da questo punto di vista noi rifiutiamo che a pagare siano i soliti, siano gli operai, siano le masse popolari; e riteniamo che, se sacrifici devono esserci, e tutti in misura proporzionale vi debbono contribuire, debbono servire a raggiungere determinati traguardi e non a far tornare indietro il Paese».

Ecco, però, a proposito di questo rigore, si dice che lei avrebbe in testa, per dopo le elezioni, quel governo diverso, composto da tecnici e personalità scelte fuori e dentro i partiti, una sorta di governo del presidente, diciamo, al quale il Pci darebbe il suo sostegno. È vero o no?
«Abbiamo indicato dei criteri di formazione del governo diversi di quelli seguiti sinora, in base ai quali il presidente del Consiglio dovrebbe scegliere liberamente, e non attraverso le imposizioni e designazioni delle segreterie dei partiti, i ministri, fra uomini di partito e al di fuori del partito. Questo ritengo che sia un criterio valido per qualsiasi governo, compreso un governo di alternativa democratica».

Quindi, non c'è un'alternativa tra governo diverso e governo dell'alternativa?
«No, non mi pare. Perché il problema che abbiamo posto, ripeto, di criteri non più fondati sulla lottizzazione, sulla spartizione dei ministeri deve riguardare qualsiasi governo, anche un governo che non sia di alternativa democratica».

In complesso, lei come giudica oggi la stampa italiana?
«Nella media, non inferiore, per certi aspetti superiore, per esempio per quanto riguarda la ricchezza dei notiziari politici, a quella di altri Paesi. Il difetto più importante...». 

Troppo...
« ...no, non direi, perché mi pare che il popolo italiano conserva un interesse politico maggiore di quello che vi è nella maggior parte degli altri Paesi dello stesso occidente. Troppo, forse, nel senso che qualche volta prevale il commento sull'informazione».

Ecco, ma qual è il giornalista italiano che lei preferisce?
«Luigi Pintor, dal punto di vista delle qualità giornalistiche».

L'unico?
«No, lei mi ha detto quello che preferisco...».

E perché?
«Perché mi pare che abbia veramente la stoffa del giornalista di alta qualità».

Senta, onorevole Berlinguer, qual è l'ultimo romanzo che ha letto e che le è piaciuto?
«La "Cronaca di una morte annunciata" di Garçia Marquez».

Perché le è piaciuto?
«Mi sembra una combinazione felicissima di poesia e di crudo realismo».

E l'ultimo film che ha visto e che le è piaciuto?
«L'ultimo è E.T.».

E perché le è piaciuto?
«È un film pieno di poesia, di fantasia e soprattutto è un film che mi pare faccia appello ai sentimenti migliori dell'infanzia».

Alla televisione, lei che programmi segue?
«I telegiornali, lo sport, qualche film».

Senta, ma lei pensa che l'arrivo delle televisioni private abbia migliorato o peggiorato, complessivamente, la qualità dei programmi proposti al pubblico?
«Dal punto di vista spettacolare, migliorato. Dal punto di vista culturale, non direi, o comunque non ancora».

Parliamo dell'evoluzione del suo modo di essere comunista. Nel '44 lei fu arrestato a Sassari per la rivolta del pane, e rischiò la pena di morte - leggo - "per insurrezione armata contro i poteri dello Stato, per devastazione e saccheggi, per detenzione di armi, associazione e propaganda sovversiva". Era colpevole o innocente?
«Fui prosciolto in istruttoria per non avere commesso il fatto».

Ecco, ma allora era più giusto... voglio dire era più ingiusto quello Stato che, comunque, dopo tre mesi, l'ha processato e l'ha assolto, per non aver commesso il fatto, o lo Stato italiano di oggi che, più o meno per le stesse imputazioni tiene per esempio quelli del 7 aprile e tanti altri, come Negri e altri, da tanti anni in prigione senza giudicarli?
«Penso anch'io che sia un'assurdità questa detenzione così lunga».

Senta, Franco Piperno, l'ex leader di Potere operaio, qui a Mixer ha detto che l'elemento scatenante del terrorismo fu la politica del compromesso storico, nella versione diciamo tradizionale, perché impediva all'opposizione di avere il suo spazio. Lei cosa ne pensa?
«Penso che l'analisi sia sbagliata, ma confermi che uno dei bersagli del terrorismo era il Pci».

E il compromesso storico nel suo insieme...
«No, il Pci con tutta la sua politica e tutta la sua strategia realmente innovativa dell'assetto sociale e politico italiano».

E' morto Moro, però, per il compromesso storico.
«È morto Moro, perché Moro era l'interlocutore più valido e più intelligente del Pci».

Senta, nel '76, a Giampaolo Pansa, il giornalista che la intervistava, lei disse di sentirsi più sicuro sotto l'ombrello della Nato. Lo pensa ancora?
«Sì, ma nel senso che precisai allora. Che, se l'Italia facesse parte del Patto di Varsavia, e non della Nato, evidentemente non potremmo realizzare il socialismo così come lo pensiamo noi. Ciò non vuol dire che qui, sotto l'ombrello della Nato, nell'ambito del patto Atlanlico, ci si voglia far realizzare il socialismo».

Onorevole Berlinguer, ma qual è il suo peggior difetto?
«Forse una certa spigolosità del carattere».

E la qualità a cui è più affezionato?
«Quella di essere rimasto fedele agli ideali della mia gioventù».

E la cosa che le dà più fastidio sentir dire di lei?
«Che sarei triste, perché non è vero».

Lei ha una famiglia di origini nobiliari e tradizioni massoniche. Ecco, in che rapporto è con queste tradizioni?
«Dell'origine nobiliare, non mi importa niente».

E delle tradizioni massoniche?
«Mio padre si iscrisse alla massoneria, mi pare, nel 1925-26, nel momento in cui la massoneria fu vietata dal fascismo».

Quindi, in funzione antifascista. E lei è massone?
«No, per carità».

Ma, se lo fosse, si meraviglierebbe a dirlo?
«Non lo sono. Quindi non riesco a mettermi nello stato d'animo di chi lo è».

Senta, ma il «grande maestro» della massoneria, Corona, a Nizza ha detto che non c'è incompatibilità tra essere massone e essere comunisti. Vero?
«Secondo me c'è incompatibilità, perché essere iscritti alla massoneria significa addirittura giurare fedeltà ad una associazione i cui interessi, i cui obiettivi possono entrare in conflitto, in contrasto con quelli del partito comunista, cioè di un'altra associazione alla quale si aderisce liberamente».

Onorevole Berlinguer, per lei cos'è più importante nella vita: la politica o la vita privata?
«La politica, però non la politica in senso generico, perché io non ho fatto la scelta della politica. Io ho fatto la scelta della lotta per la realizzazione degli ideali comunisti».

Ecco, ma la famiglia quanto conta nella sua vita, allora?
«Conta molto».

Lei ha quattro figli. A quanto del suo essere padre, e anche marito, ha rinunciato, per fare politica?
«A una parte, certamente. E me ne rammarico continuamente».

Non ha mai pensato che non ne valeva la pena proprio per davvero?
«Non valeva la pena di rinunciare? No, questo non l'ho mai pensato e spero di non pensarlo mai».

Se un suo figlio le dicesse: «Non sono comunista», lei come reagirebbe?
«Rispetterei il suo giudizio e la sua opinione».

Ma i suoi figli sono comunisti?
«Lo chieda a loro».

Lei non lo sa?
«No, io in genere non rispondo a domande che riguardano i miei familiari. Chi vuol saperne qualche cosa, chieda a loro».

Ma lei si sente tollerante, in casa, oppure autoritario? Cioè, ha un rapporto di che tipo?
«Cerco di essere comprensivo».

Onorevole Berlinguer, qual è l'uomo politico italiano, vivente, che lei stima di più?
«Pertini».

Perché?
«Mi pare che, a parte la sua... le sue doti personali, egli abbia costituito e costituisce tuttora un punto di riferimento e di fiducia fondamentale per le istituzioni democratiche».

E il suo avversario politico più duro, ma più leale, incontrato nel corso della sua vita politica, lunga oramai. Chi è? Italiano, naturalmente.
«Un avversario leale è stato Zaccagnini».

Senta, lei come definirebbe Craxi? Una definizione breve.
«Un buon giocatore di poker».

De Mita?
«Persona astuta, anche intelligente, ma un po' imbonitore».

Fanfani?
«Fanfani: uomo di spirito, tanto che è riuscito a risorgere sempre dopo non poche sconfitte».

Senta, ma lei ha degli amici veri, che non siano comunisti ?
«Sì, diversi».

In Berlinguer. Parole e immagini, I libri dell'Altritalia, 1994


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