18.3.14

In morte di Riccardo Schicchi. Anarchia e pornografia (Valdo Gamberutti)

Riccardo Schicchi con Moana Pozzi
«Signori della legge, nelle orecchie/ non sentite questo grido potente/ che le infuocate Madonìe lontane/ vi mandano per mezzo dei venti? Liberate Schicchi».
Non Riccardo. Ma suo nonno, Paolo, anarchico siciliano, “il leone di Collesano”: barba d’ordinanza, cappello, tratti gentili. Infaticabile promotore di idee di rivolta, direttore e diffusore di opuscoli, fogli, giornali, manifesti: “La battaglia”, “Il Satana”, “L’avvenire anarchico”, “Fra la putredine borghese”, “Il vespro anarchico”. Condannato, esiliato, processato e incarcerato più volte per vilipendio alla religione, incitamento alla disobbedienza e all’odio di classe, antifascismo. Il poeta Ignazio Buttita lo ha gridato in versi: «Liberate Schicchi!». E, ancora in versi, lo ha celebrato Sandro Pertini: «Noi ci auguriamo di viver la tua vita/ e di morire in piedi combattendo/ la sorte, o Paolo, da te sempre ambita». A 72 anni, nel’37, Paolo è in carcere, a Palermo, con la salute a pezzi e quasi cieco. Caduto Mussolini, finita la guerra, continua la sua lotta con un obiettivo: «L’unione di tutte le sante forze proletarie per la rivoluzione». Muore a 85 anni, mentre alcuni parenti bigotti diffondono la leggenda di una sua mai avvenuta conversione al cattolicesimo.
“Inconvertibile” e anarchico è stato, e ha voluto essere, anche il nipote Riccardo. Sarebbe romantico, e facile, tracciare netti parallelismi. Ma a quella radice, a quel nonno, Riccardo Schicchi si richiamava con orgoglio. Forse perché sembrava regalare un senso ed un destino a tutto il suo percorso. In guerra perenne contro la morale comune, così amava raccontarsi, con il sorriso morbido e perenne, il candore furbesco, i toni carezzevoli, e la gentilezza disarmante .
Un ideologo, un anti-crociato folle e allampanato: il “fabbricatore ” italiano del porno di massa, non ci stava ad essere considerato soltanto un geniale imprenditore, ineffabile e paraculesco, interessato pioniere della trasgressione popolare, nel tempo giusto, al momento giusto. Per lui il porno non poteva essere diviso dalla sua “aura ” ideale, dalla sua origine rivoluzionaria: svelare l’ipocrisia, denudare il potere. Strategia di marketing, anche quella, o vero movente di un’esistenza “contro”? Riccardo Schicchi ha attraversato con passo felpato e, insieme, inarrestabile,
tutte le contraddizioni che si muovono tra il profitto e i valori, la convenienza spicciola e la purezza del nostro pensiero. Ha incarnato - nel suo corpo e in tutti i corpi che è riuscito a “svelare” - l’ambiguità della pornografia, indissolubilmente sospesa tra gesto libertario e commercio, sfruttamento ed emancipazione. Ha creato le sue “dive future” a tavolino, si è detto, ma sempre coinvolgendosi appieno, senza risparmio. Intrecciando, in ogni passaggio, in ogni sdoganamento progressivo (dai mugolii alla radio ai primi nudi integrali sui giornaletti, dai film porno agli spettacoli dal vivo interrotti dall’irrompere della polizia) la vita e il patinato immaginario che ha continuato a creare, produrre, moltiplicare, vendere. Un immaginario che, coscientemente o meno, non può non appartenerci.
Cicciolina e Moana erano “installazioni ” viventi e permanenti, non semplici interpreti di film porno: Schicchi ha saputo espandere la pornografia, ne ha reciso i confini, atto dopo atto, provocazione dopo provocazione. L’ha resa domestica e onnicomprensiva: “corpo del reato” e dibattito a ciclo continuo, estetica sdoganata, codice assoluto. Ci riguarda tutti e non si torna indietro. Ed è anche bello non riuscire mai a comprendere, pensando alla vicenda di Schicchi, dove finisce l’anarchico e inizia il mellifluo incantatore, quanto ci sia del martire, del corsaro o del pappone. Ma è certo che la sua è una storia eroica e tutta sbilanciata in avanti, a cercare di rimuovere il prossimo ostacolo. Fino ad Internet, fino all’atomizzazione del “porno -sistema”, alla sua invasività capillare e definitiva, priva però di un centro, di una propulsione, di un volto riconoscibile e di un nuovo senso, oltre l’interminabile masturbazione generale.

Non era più di questo mondo, e di questo porno, da un po’, Riccardo Schicchi. Anche lui, come suo nonno, negli ultimi anni non vedeva più, dopo essersi speso e consumato, arricchito e impoverito, per «far vedere di più a tutti». Anche lui, avrà detto a se stesso, come il poeta, prima di andarsene: «Liberate Schicchi!». E solo libero - nel suo bene e nel suo male - possiamo pensarlo.

"pubblico", 10 dicembre 2012

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