6.3.14

Haiti. L’oro maledetto (Marina Forti)

Haiti
Articolo non nuovissimo, ma profetico. Le imminenze che annunciava sono in pieno svolgimento. Il neocolonialismo non è finito e con esso torna quella schiavitù da cui gli abitanti di Haiti un tempo si erano liberati. (S.L.L.) 
Lamothe
Una nuova disgrazia si abbatte su Haiti: l’oro.
Oro, argento, rame: «Il nostro sottosuolo è ricco di minerali. Ora è venuto il momento di tirarli fuori», ha dichiarato di recente il primo ministro haitiano (e imprenditore delle telecomunicazioni internazionali) Laurent Lamothe. In un discorso al senato, Lamothe ha detto che i giacimenti minerari racchiusi nel nord del paese sono stimati in oltre 20 miliardi di dollari. Una grande ricchiezza naturale nella poverissima Haiti, dove oltre metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e gran parte del bilancio dello stato deriva dagli aiuti internazionali. E dunque, ben vengano investitori - lo slogan del suo governo, dopotutto, è «Haiti è aperta al business».
Il suo governo infatti ha già cominciato a distribuire concessioni, anche se con pochissima informazione pubblica. In un lungo e documentato articolo sul blog del “Guardian” leggiamo che oltre un terzo del territorio del nord di Haiti, almeno 1.500 chilometri quadrati, sono stati dati in concessione a compagnie minerarie statunitensi e canadesi. Eurasian Minerals ha acquisito 53 licenze e raccolto oltre 44mila campioni di terreno (siamo nella fase delle prospezioni); il presidente della compagnia, David Cole, ha dichiarato che Eurasian ha ormai il controllo su oltre 1.100 miglia quadrate. Esperti del settore dicono che i giacimenti haitiani sono tali da far passare in secondo piano il rischio geopolitico (quale rischio, poi, in un paese presidiato da 10mila caschi blu delle Nazioni unite, e retto da un governo che considera prioritario garantire gli interessi degli imprenditori).
Dunque leggiamo che le compagnie minerarie hanno finora speso 30 milioni di dollari per scavare e fare sopralluoghi, attratti in particolare dai depositi d’oro - in gran parte del tipo alluvionale, parte della stessa fascia mineraria che contiene il più grande giacimento d’oro delle Americhe, quello di Pueblo Viejo nella confinante Repubblica Dominicana. In lista d’attesa per aprire miniere ci sono i grandi nomi: Newmont Mining, Majescor, Vcs Mining.
Per avere un’idea della corsa all’oro haitiana prendiamo uno dei siti indicati per le future miniere. Nel villaggio di Lakwèv, vicino alla frontiera con la Repubblica Dominicana, gli abitanti dicono che ogni tanto arrivano persone sconosciute, «di solito un paio di bianchi grandi e grossi insieme a un paio di haitiani», prendono campioni di rocce e terriccio «senza neppure chiedere di chi è quel terreno», e se ne vanno - riferisce l’articolo del Guardian. Il villaggio stesso nel frattempo vive di una corsa all’oro minore, miserabile: gallerie scavate con mezzi artigianali in cui si addentrano adulti e bambini, a scavare nella terra rossastra. Una giornata può rendere qualche grammo d’oro; una volta alla settimana arrivano commercianti dalla città (o dalla repubblica confinante) e gli comprano quei pochi grammi per circa 700 dollari l’oncia, metà del prezzo di mercato - che ormai supera i 1.500 dollari. Nel villaggio per altro non c’è presenza alcuna dello stato - insegnanti, ambulatori, amministrazione locale.
La domanda è: quando le grandi compagnie minerarie saranno passate alla fase operativa e avranno aperto le loro miniere, chi trarrà beneficio dalla nuova eldorado? Le casse dello stato e gli abitanti di Lakwèv? C’è da dubitarne. L’ente nazionale per le risorse minerarie, che dovrebbe monitorare il settore, non ha il budget e i mezzi per farlo. Gran parte dei siti minerari sono del tutto fuori dal controllo pubblico. Estrarre minerali implica l’uso di sostanze tossiche come cianuro e arsenico, ma nessuno farà rispettare degli standard di sicurezza sui reflui. Implica anche togliere la terra a chi ci abita.
Secondo le leggi in vigore, nessuna miniera può essere aperta senza firmare un contratto, ma l’ex ministro delle finanze Ronald Baudin - ora consulente di Newmont - ha annunciato che per non «danneggiare le imprese» saranno firmate delle deroghe. La «maledizione» delle risorse naturali si sta per ripetere.

il manifesto, venerdì 1 giugno 2012

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