11.2.14

Juan Gelman, un poeta nelle tragedie dell’Argentina (Maria Teresa Carbone)

Juan Gelman con la nipote Macarena
15 gennaio 2014
Aveva 83 anni. Un lunghissimo esilio e una vita segnata dalla tragedia, di cui è impastata la sua opera poetica. La morte ieri a Città del Messico
Di Juan Gelman, il grande poeta argentino scomparso ieri ottantatreenne a Città del Messico, l'amico Eduardo Galeano ha notato, nel Libro degli abbracci: “Scrive sollevandosi sulle proprie rovine, sopra la propria polvere e impurità”. Sintesi efficace di un'opera che è impastata nella tragedia e che non ne è mai sopraffatta.
Nato nel 1930 a Buenos Aires in una famiglia ebrea da poco emigrata dall'Ucraina, Gelman si iscrive a quindici anni al partito comunista e a venticinque è tra i fondatori di un movimento letterario il cui nome è un programma, “El pan duro”. Col passare del tempo, alternando scrittura poetica (la sua prima raccolta, Violín y otras cuestiones, è del '56) e attività di giornalista e traduttore, l'impegno di Gelman non si attenua, anzi: si avvicina al movimento dei Montoneros, che nel '75 gli chiedono di denunciare all'opinione pubblica mondiale la violazione dei diritti umani in Argentina sotto la presidenza della vedova di Perón, Isabel. Proprio per questo incarico lo scrittore è lontano al momento del golpe che nel 1976 porta al potere i militari.
Cominciano anni dolorosissimi: non solo Gelman è costretto a un esilio dal quale, in definitiva, non tornerà più, ma suo figlio e la nuora, incinta, vanno ad aggiungersi all'interminabile lista dei desaparacidos. Solo nel 1990 i resti del giovane verranno ritrovati e alcuni anni dopo, nel '98, lo scrittore ritroverà, dopo avere pubblicato sui giornali argentini e uruguayani una lettera aperta, la nipote mai conosciuta, Macarena.
Di quella lunga fase, segnata dalla sofferenza e al tempo stesso dalla volontà tenace (“una ossessione”, secondo la sua stessa definizione) di mantenere saldo il contatto con la poesia, Gelman dirà nel corso di una intervista: «È stata una scrittura con continui soprassalti e interruzioni. Durante la ricerca avevo la testa, il cuore, il sangue rivolti altrove».
Eppure nascono in quegli anni testi poetici di rara potenza, nei quali Gelman non teme di plasmare, contorcere, la lingua, a sua immagine e somiglianza. Come nella splendida raccolta del 1980 Si dulcemente, dove il poeta inserisce un neologismo, “deshijándome”, “disfigliandomi”, che espone la tragedia sua, e dell'Argentina, più di mille discorsi.

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