13.12.13

Braque. L’emozione ha le sue regole (di Francesco Poli)

«Nel mio ricordo è Braque che ha realizzato il primo dipinto cubista. Aveva portato dal Sud un paesaggio mediterraneo che rappresentava un villaggio sul bordo del mare, visto dall’alto». Così scrive Matisse nella Testimonianza contro Gertrud Stein, redatta nel 1935 da un gruppo di artisti e critici per smentire gli ingiusti giudizi contro il pittore normanno che si leggono nell’Autobiografia di Alice Toklas. Matisse (che peraltro è il primo a parlare di pittura fatta di «piccoli cubi») fa riferimento a uno dei paesaggi de L’Estaque esposti nel novembre 1908 nella galleria di Kahnweiler, in cui le distorsioni spaziali cézanniane vengono portate all’estremo fino alla soglia della rottura della logica prospettica tradizionale.
Anche se la precedente esperienza fauve è significativa, è a partire da questa mostra che inizia la fase cruciale della sperimentazione artistica di Georges Braque, quella dell’invenzione e dello sviluppo analitico e sintetico della scomposizione cubista, in stretta collaborazione con Picasso, dal 1909 al 1914. E in questa invenzione il contributo di Braque è stato per certi aspetti più determinante, in particolare per quello che riguarda l’inserimento di caratteri tipografici, e l’invenzione nel settembre 1912 dei papiers collés.
Dopo aver creato insieme i presupposti per una radicale rivoluzione del linguaggio plastico pittorico, le strade dei due artisti si dividono. Mentre Picasso continuerà in maniera travolgente a dominare la scena con un’evoluzione continua sempre provocatoria della sua ricerca, Braque dal dopoguerra in poi, porterà avanti il suo lavoro con mirabile coerenza, con evoluzioni e variazioni mai eclatanti, riassorbendo la straordinaria tensione innovativa dell’eroica stagione cubista all’interno di una più tranquillizzante e meditata dimensione pittorica.
Gli aspetti fondamentali del suo linguaggio (la frammentazione dei piani spaziali, la composizione intesa come una partitura visiva, la separazione fra colore e forme, l’elaborata fisicizzazione delle materie pittoriche) rimangono costanti. Nel 1915 Braque viene gravemente ferito in guerra e ricomincia a dipingere solo nel 1917. Questo trauma sembra cambiare definitivamente il suo carattere, tanto che molti (tra cui per esempio Breton) pensano che la sua energia inventiva si sia inesorabilmente affievolita. Ma è un giudizio sbagliato, basato anche su un improponibile confronto con l’effervescenza vitalistica di Picasso. Per capire veramente l’arte di Braque bisogna guardare tutto l’insieme della sua produzione, bisogna capire quello che è il peculiare registro della sua sensibilità, del suo raffinatissimo senso della misura («la regola che corregge l’emozione»), della sua sottile ironia metalinguistica, e della sua profonda integrità allo stesso tempo etica ed estetica. E ci si può rendere conto di questo, nel migliore dei modi, visitando la magnifica esposizione che si aperta al Grand Palais, la più importante e completa retrospettiva sull’artista dopo quella del 1973 all’Orangerie.
La mostra, che ha una classica impostazione cronologica, è divisa in una serie di sezioni che documentano con opere della più alta qualità, le principali fasi della sua lunga avventura creativa: la coloratissima esperienza fauve; tutti i passaggi essenziali delle sperimentazioni cubiste (dal protocubismo cézanniano alla frammentazione analitica, dai papiers collés alle solide composizioni sintetiche); le nature morte e le figure degli Anni 20 (tra cui le classicheggianti Canéphores) ; le nature morte e gli interni con figure degli Anni 30; l’affascinante serie di figurazioni lineari ispirate alla Teogonia di Esiodo (1930-32) ; i sorprendenti e sghembi Billards del 1944-49; le complesse e stratificate composizioni dei grandi Ateliers (1949-56) che sono un mirabile sintesi della sua sapienza pittorica; e infine, degli ultimi anni, i semiastratti Oiseaux, con forti valenze poetiche metafisiche, e i melanconici paesaggi quasi figurativi, di una accentuata orizzontalità senza futuro.
L’impostazione cronologica impone un senso filologico e documentario alla visita, certamente utile ma troppo istituzionale (Braque è un monumento storico per i francesi), ma impedisce, per certi versi, una visione meno eterodiretta. E quindi è consigliabile alla fine del percorso ritornare indietro e guardare in modo più libero le singole opere secondo criteri più anarchici, e forse così si può arrivare a scoprire il vero segreto della visione estetica di un grande artista come Braque. E in questo senso è bene ricordare quello che ha detto Giacometti per rendere omaggio a Braque, in occasione della sua morte: «Di tutta la sua opera, io guardo con più interesse, curiosità e emozione i piccoli paesaggi, le nature morte degli ultimi anni. Io guardo questa pittura quasi timida, imponderabile, questa pittura nuda, di una ben diversa audacia, di una ben più grande audacia di quella degli anni lontani; pittura che secondo me si situa al vertice dell’arte d’oggi con tutti i suoi conflitti». Forse, questa interpretazione esistenzialista di un artista che ha sempre (apparentemente) evitato ogni valenza personale esplicita nel proprio lavoro, è la più vera.


“La Stampa” 30 settembre 2013

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