24.8.13

"Il Povero e il Proletario". Roland Barthes e Charlot

Su Mythologies (in italiano Miti d’oggi), il capolavoro di Roland Barthes, ho già “postato” in questo blog qualche appunto (http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2010/10/mythologies-di-roland-barthes-un.html ). Qui riprendo uno degli articoli che compongono quella raccolta come esemplificativo di un approccio alla realtà, di un metodo critico rigoroso nella sua leggerezza, autenticamente marxista. Peraltro l’interpretazione di Charlot, quasi sessant’anni dopo, mi pare conservi tutta la sua freschezza e validità. (S.L.L.)

L'ultima trovata di Charlot è stata quella di aver fatto passare metà del suo premio sovietico nelle casse dell'Abbé Pierre. Ciò viene in fondo a stabilire un'uguaglianza di natura tra il proletario e il povero. Charlot ha sempre visto il proletario sotto le sembianze del povero: da cui la forza umana delle sue rappresentazioni, ma anche la loro ambiguità politica. Tutto ciò è assai evidente in quel mirabile film che è Tempi moderni. Charlot vi sfiora continuamente il tema proletario ma non l'assume mai politicamente; ci fa vedere un proletario ancora cieco e mistificato, definito dalla natura immediata dei suoi bisogni e dalla sua alienazione totale nelle mani dei padroni (poliziotti e principali).
Per Charlot il proletario è ancora un uomo che ha fame, e in lui la rappresentazione della fame è sempre epica: grandezza smisurata dei panini imbottiti, fiumi di latte, frutti che si gettano via con indifferenza appena morsi; derisoriamente, la macchina per mangiare (di essenza padronale) fornisce solo alimenti spezzettati e visibilmente insipidi.
Invischiato nella sua fame cronica l'uomo-Charlot si situa sempre un gradino al di sotto della presa di coscienza politica: lo sciopero per lui è una catastrofe perché minaccia un uomo letteralmente accecato dalla fame; quest'uomo non raggiunge la condizione operaia se non nel momento in cui il povero e il proletario vengono a coincidere sotto lo sguardo (e i colpi) della polizia. Storicamente Charlot riprende a un dipresso l'operaio della Restaurazione, il manovale in rivolta contro la macchina, disorientato dallo sciopero, dominato dal problema del pane (nel vero senso della parola), ma ancora incapace di accedere alla conoscenza delle cause politiche e all'esigenza di una strategia collettiva.
Ma appunto perché Charlot rappresenta una specie di proletario bruto, ancora al di fuori della Rivoluzione, la sua forza rappresentativa è immensa. Nessuna opera socialista è ancora arrivata a esprimere la condizione umiliata del lavoratore con tanta violenza e generosità. Forse solo Brecht ha intravisto la necessità per l'arte socialista di cogliere sempre l'uomo alla vigilia della Rivoluzione, cioè l'uomo solo, ancora cieco, sul punto di aprirsi alla luce rivoluzionaria per l'eccesso «naturale» dei suoi mali. Rappresentando l'operaio già impegnato in una lotta cosciente, inquadrato sotto la Causa e il Partito, le altre opere ci informano di una realtà politica necessaria ma senza forza estetica.
Ora Charlot, conforme all'idea di Brecht, mostra al pubblico la propria cecità in modo tale che il pubblico vede insieme il cieco e il suo spettacolo; vedere qualcuno non vedere è il modo migliore per vedere intensamente ciò che egli non vede: così al teatro di marionette sono i bambini che suggeriscono a Guignol quello che lui finge di non vedere. Per esempio, Charlot nella sua cella, vezzeggiato dai guardiani, conduce la vita ideale del piccolo borghese americano: le gambe incrociate, si legge il suo giornale sotto il ritratto di Lincoln, ma l'adorabile sufficienza dell'atteggiamento lo scredita completamente, fa sì che non sia più possibile rifugiarvisi senza notare la nuova alienazione che contiene. Anche i minimi adescamenti sono in tal modo vanificati, e il povero si trova continuamente tagliato fuori dalle sue tentazioni.
È per questo in fondo che l’uomo-Charlot trionfa di tutto: proprio perché sfugge a tutto, respinge ogni accomandita, e nell'uomo non investe altro che l'uomo solo. La sua anarchia, discutibile politicamente, in arte rappresenta la forma forse più efficace della rivoluzione.

Miti d'oggi, Einaudi, 1974

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