11.7.13

Il West dei fumetti. Pecos Bill e altri eroi (Nico Orengo)

L’articolo che segue non è una rassegna sistematica dei fumetti western e dei loro eroi, ma stupirà qualcuno, come ha stupito me, la clamorosa omissione dei due eroi della Dardo e della Collana “Prateria”, capitan Miki e il grande Bleck. In ogni caso Orengo, letterato di vaglia, è un fine esegeta di fenomeni della cultura di massa e la cosa appare evidente anche in questo vecchissimo pezzo per “Repubblica”. (S.L.L.)

Le praterie del Texas frantumate in quadretti, e stinte dei loro colori non perdono suggestione né profondità: i fiumi restano immensi, l'orizzonte lontano, e le mandrie dei bisonti hanno sempre migliaia di capi, anche se, stretta fra i margini, se ne contano soltanto sette.
Il West dei fumetti non deve nulla a quello del cinema, e in più è asportabile, scambiabile, collezionabile. Il bambino degli anni '50 tiene i suoi albi di Pecos Bill sotto l'armadio, li rilegge e li rivive, li presta e li accumula fino al numero 165 del 31 marzo 1955, in cui avviene l'impossibile, quello che a nessun eroe dei fumetti succede mai: Pecos Bill muore gloriosamente, e sale a raggiungere i Cavalieri del Cielo, che cavalcano eterni sulle nuvole.
Amaro destino, ma come poteva sfuggirgli un Pecos Bill tanto diverso da quello originale. Guido Martina, l'ideatore delle storie, ha tolto all'eroe leggendario le sue quattro pistole, e non gli fa più cavalcare i puma, con un serpente a sonagli come frustino. Il Pecos Bill italiano affronta le Colt e i Winchester dei suoi nemici armato soltanto dei pugni, e dell'infallibile, velocissimo lazo. Cavalca Turbine, che all'occorrenza gli dà una mano con qualche attenta zoccolata al malvivente, ed è un apostolo della non violenza poco meno di Gandhi in persona.
Neanche il suo amico Davy Crockett spara volentieri, diverso com'è da Crockett-John Wayne in Alamo: è grasso e linguacciuto, attaccabrighe ma non eccessivamente amante del rischio, da grande guida e insuperabile cacciatore è diventato una spalla comica, destinato alle cadute in acqua e alle padellate in testa. Per fortuna Pecos Bill ha altri due aiutanti che quando si mette male non esitano a dispensare revolverate. Sono Calamity Jane, vigorosa e quasi brutale, e Du Tisné, un gentiluomo con l'aria da moschettiere di cui si intuisce il passato losco, appena redento da Pecos Bill.
Pecos redime molto. In uno degli albi recentemente ristampati da Longanesi, Ombre Gialle, si imbatte in una masnada di cinesi che trasportano del loro compatrioti per venderli schiavi. Sono cinesi tutti sete e babbucce, che per di più hanno cosparso le rive del Fiume Rosso di Pagode, ma pericolosi tali e quali quelli di Edgar Wallace. Eppure il disarmato Pecos Bill riuscirà a sgomi¬narli, a convertirne qualcuno all'onestà e a recuperare una tribù di terribili indiani, i Pawnee, fino a farne etemi amici dell'uomo bianco.
Veramente questi Pawnee proprio terribili non sono: nelle sue avventure Pecos Bill incontra per lo più indiani di poca ferocia, piuttosto inclini al servilismo, meglio se dell'uomo bianco, ma, non trovando altro, anche dei cinesi. Sono indiani creduloni, impacciati, privi anche dell'unica abilità riconosciutagli perfino dagli storici più governativi: di essere straordinari cacciatori. Ecco infatti una .tribù che Pecos Bil distoglie dall'attacco a un fortino semplicemente scatenandogli addosso qualche capo di bestiame.
Ma non mancano per Pecos Bill nemici degni di lui: sono i messicani traditori, gli sceriffi perversi e le gloriose bande di delinquenti, principale risorsa e alimento dell'Epopea del West. Un' altra caratteristica piuttosto italiana di questi albi è la sovrabbondanza di ragazze. Pecos Bill non è certo un donnaiolo, anzi, la sua moralità è cristallina, però è bello, così alto e biondo, con quella esotica mèche nera. Ed essendo eroico e bello, ogni volta che va a cacciarsi in un'avventura ci scappa la ragazza che si innamora. Lui si vede che gli fa piacere, ma non può raccogliere perché è già impegnato e, naturalmente, fedelissimo. Lei si chiama Sue, detta Piccola, e nelle storie occupa un ruolo classico e insostituibile, quello dell'oca che si fa sempre prendere prigioniera in modo che l'eroe debba andare a salvarla.
Intanto il vecchio cow-boy americano batte una strada non troppo diversa. Contemporanee di Pecos Bill, e anche queste recentemente ristampate da Nerbini, sono le avventure di Lone Ranger, di Charles Flanders. Il solitario della Foresta è un Uomo Mascherato del West, che appartiene alla genìa dei vendicatori. In tempi lontani una banda di fuorilegge gli ha ammazzato cinque amici, così lui si mette la mascherina sugli occhi e vendica per anni e anni, riempiendo innumerevoli tavole disegnate.
Lone Ranger spara poco anche lui, e ha l'indiano fedele che lo fa al suo posto, un indiano più scipito che mai, e per di più si chiama Tonto, ma non. ha altri punti in comune con Pecos Bill.
Non è figlio delle praterie, e sfondo alle sue imprese sono più facilmente ranch e cittadine che fiumi e coline; si muove fra tavoli e sedie, porte e finestre, non fra bisonti e serpenti a sonagli, caimani e coyote. Al centro del suo mondo, cioè delle sue vendette, ci sono la ferrovia e la banca, un universo già più lontano dal mito, e lo stesso Lone Ranger, nonostante la sua bellissima maschera, è una figura più fredda di Pecos Bill.
E poi sono venuti Kit Carson, Tex Willer, altri cavalieri della prateria sempre uguali ma ogni volta un po' diversi rnan mano che lo sguardo sul Far West si modificava, e la leggenda veniva raccontata da altre voci in modi nuovi. Una delle ultime serie di fumetti western è quella di Comanche, di Hermann e Greg, due autori belgi. Vallecchi ne ha appena pubblicato una raccolta, che riunisce tre episodi. Qui le tavole sono a colori, e i quadretti si sono dilatati, ogni tanto occupano perfino una pagina intera, così ci stanno davvero grandi mandrie, catene di montagne, intere fattorie. I volti dei personaggi non sono più pochi tratti espressivi, ma ritratti minuziosi, completi di lentiggini e goccioline di sudore, e Comanche, l'eroina, ha sempre qualche bottone della camicetta slacciato.
Questa volta il tema base è quello della ragazza sola con la fattoria, continuamente minacciata da banditi o indiani che gliela vogliono portare via. Meno male che arriva un pistolero a difenderla, e questo è un pistolero che spara. Sono finiti gli eroi col lazo, i cavalieri tanto valorosi quanto poco sanguinari: Red Dust fa fuori qualcuno a ogni pagina, e senza neanche il distacco inquietante di Clint Eastwood, ma proprio volentieri, da bravo ragazzo americano.
Qui, in questo fumetto del '77, si recuperano tutti i punti fermi del vecchio West, e non inganni il travestimento cromatico: c'è il vecchietto, il negro accettato con grande sfoggio di magnanimità (ma si ha continuamente l'impressione che gli tocchi meno minestra che agi altri), gli indiani si chiamano « musi rossi » e sono proprio quegli indiani cattivi che Soldato Blu avrebbe dovuto portarsi via per sempre.
Peccato che a rimetterci è proprio il senso dell'avventura. Pecos Bli e Lone Ranger per far fuori i loro nemici dovevano dar prova di astuzia e inventiva, organizzare trappole e trabocchetti, e la storia si snodava fra apprensioni e sorprese. Red Dust invece, ha solo da tirare fuori la pistola e sparare, e in tre pagine l'avventura è spenta. Meno male che ogni tanto la ragazza Comanche si fa prendere prigioniera da questo e quslo, così anche questo cowjboy da tiro a segno può farsi una bella cavalcata nella notte, illuminata sempre e soltanto dalla «stella solitaria del Texas».

“la Repubblica”, 21 agosto 1978

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