16.7.13

1945, Italia liberata. A Roma e Milano la rivoluzione teatrale

Un’idea dell’atmosfera di rinnovamento, non solo politico e sociale, ma anche culturale, nella giovane Italia che usciva dalla guerra e voleva rompere col fascismo, in due rievocazioni da “la Repubblica”.
La prima, di Luciano Lucignani, è parte di un più ampio articolo che recensisce un libro di storia del teatro. La seconda, firmata odb e dunque di Oreste Del Buono, era un pezzetto di colore all’interno di uno “speciale” che rievocava, quarant’anni dopo, la nascita del “Piccolo Teatro” e il clima efferverscente in cui essa avvenne nella Milano del dopoguerra. (S.L.L.)
1945, Teatro Eliseo di Roma 
I Parenti terribili. Regia di Luchino Visconti
Da sinistra a destra: Morelli, Cervi, Pagnani,
Pierfederici, Braccini (foto Barzacchi)
Quella sera all'Eliseo (di Luciano Lucignani)
Chi c’era sa che la sera del 30 gennaio 1945 segnò una data storica per lo spettacolo italiano. All' Eliseo di Roma si presentava per la prima volta al giudizio del pubblico e della critica un giovane regista, che aveva al suo attivo soltanto un film rimasto fino a quel momento semiclandestino. Il regista era Luchino Visconti, il film Ossessione, e lo spettacolo teatrale Parenti terribili di Cocteau. Fu una serata di quelle che restano nella memoria. Gli spettatori furono sorpresi, affascinati, provocati. La critica, il giorno dopo, risultò divisa: chi gridava al miracolo e chi reagiva, scandalizzato. Ma nessuno, di certo, avrebbe più dimenticato quel palcoscenico riempito d' un gran letto disfatto, e quell' atmosfera equivoca, di sensualità morbosa, che aleggiava su tutto. Ma soprattutto indimenticabile sarebbe stata lei, la protagonista, un'Andreina Pagnani mai vista così sconvolgente: discinta, spettinata, brutta, senza un filo di trucco, isterica e becera.
Lo choc era inevitabile. In una sola sera lo spettacolo italiano aveva fatto un balzo di qualche decennio, aggiornandosi alle più moderne messinscene europee. D' un colpo, tutto il teatro che aveva goduto diritto di cittadinanza fino al giorno prima (quello dei "grandi attori", Ricci, Ruggeri, Cimara, Benassi, come quello degli "autori di poesia", Betti, Fabbri e come quello di certi registi, di vecchia e recente nomina) appariva relegato in soffitta, ed era chiaro a tutti che avrebbe avuto qualche difficoltà ad uscirne.
Due anni più tardi un altro avvenimento veniva a confermare il nuovo indirizzo che la vita teatrale italiana andava assumendo. La sera del 14 maggio 1947, a Milano, Paolo Grassi e Giorgio Strehler inauguravano con L'albergo dei poveri di Gorkij il Piccolo Teatro di via Rovello, prima scena stabile, economicamente sostenuta dal comune e dallo stato, del nostro paese. Per le vecchie compagnie girovaghe, per i repertori raffazzonati e per gli spettacoli spediti in scena con una settimana di prove si annunciavano tempi difficili. L'esempio di Milano, sia pure con qualche ritardo, come poi si è visto, sarebbe stato seguito da altre città…

“la Repubblica”, 5 settembre 1984
1947, Piccolo Teatro di Milano,
Lilla Brignone e Gianni Santuccio
nei "Giganti della montagna"
 Regia di Giorgio Strelher

E, nelle altre sale, fischi (odb – Oreste del Buono)
Dario fo nell'immediato dopoguerra non aveva ancora deciso di dedicarsi totalmente al teatro. Oltre che all'Accade mia di Brera si era iscritto al Politecnico, facoltà di architettura. Ma venne naturalmente coinvolto nel movimento di protesta contro la restaurazione teatrale. In realtà non si trattava di restaurazione, era semplicemente la continuazione di quello di prima, ma era passato del tempo. Dunque era peggio di prima, tutti bolsi tromboni. Ricorda Dario Fo che Paolo Grassi arrivava a Brera a distribuire biglietti di teatro perché lui e gli altri andassero a far cagnara. Beato Dario Fo! Mi dispiace, però, di non avere usufruito allora di quella agevolazione economica.
Il movimento fischiatori ce lo pagavamo di tasca nostra, come si poteva, i futuri architetti Paolo Tilche e Giuliano Rizzi, il futuro grande fotografo Aldo Castaldi e il sottoscritto senza futuro allora come oggi. Facemmo anche un manifesto firmato e affisso. Ma la punta di diamante nelle proteste fu il pittore Cesare Peverelli.
Quando la polizia cominciò a intervenire e a prelevar gente, ricordo una notte di furore, arte, e passione con il grande Cesare che invocava: «Rivoglio la mia fidanzatina», poiché la ragazza che stava con lui aveva attirato l'attenzione degli agenti. Così l'attirò anche lui e fu splendido. I critici teatrali del “Corriere lombardo” Arrigo Benedetti e di “Milano sera” Giorgio Strehler si interessarono benevolmente alla sua disavventura e anche al fenomeno. Il critico teatrale Enzo Ferrieri ci invitò a casa sua e volle saper tutto. Perché si fischiava? La risposta era facile e difficile insieme. Perché il teatro di allora, anche e soprattutto quando recitavano attori famosi tipo Ruggeri e Ricci con il loro birignao e quei trasparenti, quegli allestimenti miserandi non corrispondeva ad alcuna idea di rinnovamento. Ma che teatro si desiderasse non lo sapevamo. Ce la prendemmo persino con Elsa Merlini che alcuni tra noi avevano clamorosamente sostenuto alla prima rappresentazione di Piccola città di Wilder al Nuovo nel 1940. Nella ripresa all' Odeon la massacrammo: ricordo il suo sederotto che si divincolava in veli rosa fuori dalle pieghe del sipario, mentre i suoi la tiravano indietro per impedirle di scendere in platea a sbranarci. Uno ne morse, però. Uno dei suoi. Quando ci dissero che presto si sarebbe aperto il nostro teatro, e sarebbe stato il Piccolo, deponemmo i nostri fischietti e le nostre chiavi non inglesi come i partigiani avevano già deposto le armi. (o.d.b.)

Il Piccolo Teatro ha 40 anni speciale de “la Repubblica”, maggio 1987

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