8.5.13

La nascita della nostalgia (di Jean Starobinski)

Rare sono le occasioni in cui si veda il costituirsi dei termini destinati ad aggiungersi al lessico dei sentimenti, ad imporsi, ad entrare nel vocabolario di più lingue. È il caso della parola nostalgia.
Una data ed un luogo precisi possono essere assegnati alla sua lascita: Basilea, 1688. Un autore: il medico Johannes Hofer, di Mulhouse. Un'opera: Dissertatio medica de nostalgia. E la tesi di laurea di Johannes Hofer.
L'autore voleva dedicare una riflessione medica al dolore di cui soffrivano gli svizzeri quando avevano «perso la dolcezza della loro patria». Tale dolore, essi l'avevano «da molto tempo denominato Heimweh (dolore della patria) nella loro lingua», e «i Francesi l'avevano designato come la maladie du pays (malattia del paese)». Ma, aggiunge Hofer, questo male non fu mai adeguatamente studiato dai medici. E poiché si tratta di esporre una cosa nuova (res nova), bisogna avere un nome per designarla. È quello che ognuno ha fatto prima di lui, in simili casi. «A rifletterci bene, non c'è nome più adeguato e che meglio indica il suo oggetto che quello di Nostalgia, greco per la sua origine, e composto di due termini, il primo dei quali, Nostos, significa il ritorno in patria, e il secondo, Algos, designa il dolore o la tristezza». Ecco, per una volta, un neologismo pedante che suona bene, che non appare troppo pesante, e che porta in sé, fin dalla sua origine, la possibilità di essere ripreso nel corpo della lingua volgare, dalla quale ha voluto distinguersi! Sarà accettato dall'Académie frangaise nel 1835 (ma Chateaubriand l'aveva utilizzato molto prima). Fa concorrenza al termine Heimweh in tedesco. Si afferma in inglese, in italiano, in russo, ecc. (...)
Per Johannes Hofer, la nostalgia è una malattia dell'immaginazione. Egli riprende dunque la nozione dell'imaginatio laesa, che aveva avuto largo corso durante il Rinascimento e alla quale si poteva far riferimento in tutti i casi nei quali la rappresentazione del mondo e di sé stessi appariva disturbata. Per molti moderni, tra cui Thomas Willis, il turbamento dell'immaginazione era il risultato di una alterazione materiale dei succhi nervosi e degli spiriti animali. Johannes Hofer propone un'immagine di tipo idrodinamico per stabilire materialmente il corrispettivo fisiologico di un'idea fissa. «La nostalgia nasce da un turbamento dell'immaginazione, da cui risulta che il succo nervoso prende sempre una sola ed unica direzione nel cervello, e, con ciò, suscita una sola e medesima idea, il desiderio del ritorno in patria; quest'idea è legata a manifestazioni talora più violente, talora più moderate». (...)
Il quadro completo della malattia comporta uno stato di tristezza costante, un sonno agitato (in cui spesso si rivedono i luoghi del passato) , uno stato di insonnia completo, di irritabilità di fronte alle ingiustizie e ai soprusi, cui si aggiungono uno stato di abbattimento, l'insensibilità alla sete e alla fame, i sentimenti di paura, le palpitazioni, i frequenti sospiri, la prostrazione e spesso delle febbri intermittenti. Perché, si chiede Johannes Hofer, i giovani svizzeri sono così frequentemente inclini alla nostalgia quando si recano all'estero? Senza dubbio perché la maggior parte di loro non aveva mai lasciato la casa paterna, e perché non aveva mai conosciuto un ambiente diverso. È difficile per loro dimenticare le cure di cui le loro madri li circondavano, i cibi che erano loro offerti ogni mattina. Hofer menziona le zuppe, il latte, ovvero gli alimenti della prima infanzia. Il luogo natale era anche per loro il luogo della libertà... Istruiti dall'ampia letteratura psicologica del nostro secolo, noi riconosciamo in questo quadro la «carenza socio-affettiva», il «bisogno di maternage» delle «fantasie regressive».
Quale buon discepolo delle dottrine classiche, Hofer ha preso in considerazione il cambiamento d'aria, che fa parte delle cause originarie esterne della malattia: «Il cambiamento d'atmosfera non è senza effetti sul sangue e sugli spiriti nervosi; ma l'influenza principale è dovuta ai costumi e alle abitudini straniere, ai modelli a cui non si è abituati». Ciò significa lasciar intendere che i nostalgici non hanno le risorse psichiche necessarie per abituarsi ad un ambiente diverso. Ma attribuire la nostalgia ad una causa morale di tale sorta, non è forse attribuire ai giovani svizzeri una eccessiva pusillanimità? Non equivale ad attentare al buon nome di una razza vigorosa, forte, coraggiosa? Questo è ciò che pensa lo studioso zurighese Johann-Jacob Scheuchzer. Egli ha un'altra spiegazione tutta meccanica. E troverà molti seguaci, poiché un'intera corrente scientifica, dopo Descartes e i suoi discepoli, dopo i trattati sistematici di Hoffmann, propone di considerare gli organismi viventi attraverso lo studio delle leggi del movimento e l'applicazione dei modelli della fisica sperimentale. Facendo ricorso ad una spiegazione di tipo fisico Scheuchzer sposta il dibattito. Il «morale» dei malati non è più in causa. Basta invocare - cioè incriminare - una necessità di ordine materiale: la pressione atmosferica. Gli Svizzeri abitano le più alte cime d'Europa. Respirando, incorporano un'aria leggera, sottile, rarefatta. Una volta scesi in pianura, essi subiscono una pressione maggiore, il cui effetto è accresciuto dal fatto che l'aria interna («che ci portiamo con noi») offre minore resistenza. AI contrario un Olandese, nato nelle pianure, porta in sé un'aria pesante che resiste bene alla pressione delle pesanti brume. Al livello del mare, gli abitanti delle Alpi sono letteralmente oppressi dall'atmosfera: il corpo subisce una compressione, la cirolazione rallenta, il cuore riceve meno sangue, la tristezza prevale, si perde il sonno e l'appetito, presto sopraggiunge la febbre mortale... Quali rimedi? Se non è possibile rimpatriare il malato, congedare il soldato o semplicemente infondergli la speranza del ritomo, il trattamento più logico consisterà nel condurlo su di una collina o su una torre; gli si potranno anche somministrare farmaci contenenti «aria compressa» che nell'acqua sprigionano aria affervescente. Anche il vino nuovo, la birra, con le loro bollicine leggere, si dimostreranno salutari.
La spiegazione di Scheuchzer fornisce allo stesso tempo ragione degli effetti favorevoli del clima svizzero. Ecco dunque definirsi gli argomenti che faranno della Svizzera, per più di due secoli, un luogo di cura. La Svizzera è «l'asilo dei malati» (asylum languentium), assicura Scheuchzer in uno scritto del 1705. Alle sue montagne accorrono, venuti dall'Europa intera, gli individui pieni di aria pesante; essi qui vi guariscono: i canali del corpo si dilatano, la circolazione migliora, tutti i succhi sono dolcemente messi in movimento. Possono essere dei ragionamenti che oggigiorno fanno sorridere. Ma possiamo forse rimproverare ad un medico del XVIII secolo l'ignoranza dei fondamenti che regolano l'equilibrio gassoso tra ambiente e ambiente interno?

"l'Unità", 29 aprile 1995

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