24.4.13

Umberto Terracini davanti al Tribunale speciale (1927)

TERRACINI - Mi ricordo che posso fregiarmi del titolo di avvocato e voglio fare sfoggio di giurisprudenza. Oh! non della vecchia giurisprudenza delle vecchie sentenze emanate sotto i vecchi regimi, ma della giurisprudenza nuovissima, quale balza dai giudicati di Tribunali già ispirati ai nuovi principi di etica e di politica. Ecco vi è una sentenza emanata, or non è molto, da un Tribunale posto assai più in alto di questo...

PRESIDENTE - Come? Come?

TERRACINI - ...da un Tribunale che a differenza di questo, è un Tribunale costituzionale...

PRESIDENTE - Badate a ciò che dite!

TERRACINI - Signor Presidente, ella non può essere che d'accordo con me, poiché parlo del Senato costituito in Alta Corte di Giustizia, cioè della magistratura somma fra tutte e la cui esistenza e funzionamento sono previsti e stabiliti dalla stessa Costituzione dello Stato. Orbene in codesta sentenza, che il governo volle fosse larghissimamente diffusa a conoscenza e ad ammonimento di tutti i cittadini, è detto che nessun capo o dirigente di partito o di altra organizzazione può essere ritenuto penalmente responsabile di atti commessi da soci o da seguaci dei partiti e delle organizzazioni in questione, quando non ne possa venire provata concretamente la reità. Il Tribunale ha certamente compreso: mi riferisco alla sentenza della Commissione Istruttoria presso l'Alta Corte di Giustizia nel procedimento contro il generale Luigi De Bono, accusato di complicità nell'omicidio dell'Onorevole Matteotti ed assolto per insufficienza di prove. Ora io chiedo: è valida per noi questa giurisprudenza? Il pubblico accusatore nella requisitoria ha implicitamente sostenuto di no. E, in quanto a me, io non ho alcun dubbio su quello che sarà il responso del Tribunale. Eppure anche dinanzi a queste previsioni di accettazione integrale delle richieste del pubblico accusatore, previsioni del massimo di pena, io non posso celare un certo qual intimo compiacimento. Né vi è da stupirsene. Infatti, se prendiamo coteste conclusioni che furono sino adesso formulate in linguaggio giuridico e le traduciamo in linguaggio politico qual è il significato che ne balza?

PRESIDENTE - Lasciate stare la politica e attenetevi alla materia della causa.

TERRACINI - Signor Presidente, io chiedo di poter almeno sul finire di questo processo che trova la sua origine e la sua ragion d'essere esclusivamente in cause e necessità di ordine politico, io chiedo di potere, sia pure per un solo momento, fare quello che per sei giorni ci è stato proibito: parlare politicamente.
Io dicevo: quale è il significato politico delle conclusioni del pubblico accusatore?... Niente altro che questo : che il fatto puro e semplice della esistenza del Partito Comunista è sufficiente, di per se stesso, a porre in pericolo grave e imminente il regime. Oh! eccolo dunque, lo Stato forte, lo Stato difeso, lo Stato totalitario, lo Stato armatissimo! Esso si sente minacciato nella sua solidità, di più, nella sua sicurezza, solo perché di fronte a lui si leva questo piccolo Partito, disprezzato, colpito e perseguitato, che ha visto i migliori fra i suoi militanti uccisi o imprigionati, obbligato a sprofondarsi nel segreto per salvare i suoi legami con la massa lavoratrice per la quale e con la quale vive e lotta. Vi è da meravigliarsi se io dichiaro di fare mie, integralmente, queste conclusioni del pubblico accusatore?

PRESIDENTE - Adesso basta su questo argomento. Avete altro da dire?

TERRACINI - Avrei finito se non mi sentissi impegnato a seguire il pubblico accusatore sul terreno delle previsioni. Non di quelle sentimentali, però, alle quali egli si è soffermato e nelle quali mi è troppo facile avere contro di lui la vittoria. Non la gioia ed il plauso accoglieranno la nostra condanna, ma la tristezza e il dolore, io ne sono certo. Ma è una previsione politica (ancora una volta, Signor Presidente) quella che io faccio: noi saremo condannati perché riconosciuti colpevoli di eccitamento all'odio fra le classi sociali e di atti incitanti alla guerra civile. Ebbene, non vi sarà alcuno, domani, che leggendo l'elenco pauroso delle nostre condanne non si convinca che questo processo e il verdetto che sta per concluderlo, non siano essi stessi un episodio di guerra civile, un possente eccitamento all'odio fra le classi sociali. (Il Presidente interrompe energicamente.)
Ma ciò non può dirsi, nevvero? Allora io voglio concludere con un pensiero più gaio, Signor Presidente, signori giudici, questo dibattimento è stato davvero la più caratteristica e degna commemorazione dell'ottantesimo anniversario dello Statuto, che voi ieri, fra salve di cannoni e squilli di fanfare, avete solennizzato per le vie di questa capitale.

In Virgilio Savona, Michele Straniero, Canti dell’Italia fascista, Garzanti, 1979

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