14.4.13

Stephen Jay Gould, l'eretico dell'evoluzione (di Marcello Cini)

Il geologo Stephen Jay Gould (1941-2002) in una foto del 1986
Nel gennaio 2001 sulla rivista “Natural History” è comparso il trecentesimo saggio di Stephen Jay Gould, con il quale l'autore si era proposto di terminare la serie mensile, iniziata nel ‘73, (senza mancare mai una scadenza - si vantava nel suo penultimo libro - nonostante la sua prima lunga battaglia vinta contro il cancro che l'aveva colpito negli anni '80) di commenti sui temi più svariati in qualche modo connessi con la scienza, la sua storia e i suoi molteplici nessi con la cultura e la società. Una produzione straordinaria e di enorme successo, che ha rappresentato l'esempio paradigmatico di cosa vuol dire parlare di scienza a un pubblico curioso ma non specializzato. Se c'è stato un autore del ‘900 che ha dimostrato con la pratica quotidiana quanto sia falsificabile la teoria, avanzata negli anni ‘50 da C.P. Snow, dell'incomunicabilità tra le due culture, questo è stato Gould. Non c'è miglior modo di spiegare il peso che questa sua opera di divulgazione ha avuto, soprattutto, ma non solo, nei paesi di cultura anglosassone, che scegliere a caso alcuni dei commenti dei recensori dei suoi dieci volumi che regolarmente hanno ripubblicato via via i suoi contributi mensili, dal primo (Ever since Darwin, '76, Questa idea della vita) fino al penultimo (The Lying stones of Marrakesh, ‘9).
Elogiativi, ma ancora trattenuti, i primi. «Gould è uno scrittore nato - scriveva il celebre biologo P.B. Medewar nella “New York Review of Books” - ha qualcosa di originale da dire e la capacità e l'abilità di dirlo». «Gould è un fenomeno, - scrive Steven Rose sul “Guardian” vent'anni dopo - i suoi saggi vanno dalle riflessioni sulla scienza e l'arte, e dalla ripresa di controversie biologiche del passato, fino al recupero di figure poco note della storia degli studi sull'evoluzione... In ogni caso, basta leggere il primo periodo per essere inevitabilmente catturati».
Ma non è solo a queste raccolte di saggi che Gould ha affidato le sue riflessioni. Accennerò ai tre libri monografici che più mi hanno affascinato. Il primo (The Mismeasure of Man, ‘81) è un'appassionata denuncia delle teorie che pretendono di «misurare» le capacità mentali dell'uomo e le sue abilità cognitive ed emotive con strumenti «oggettivi» e «scientifici». «Gould presenta un affascinante studio teorico del razzismo scientifico - scrive il “Saturday Review” - rintracciandolo attraverso tappe successive, dalla frenologia fino alla teoria del QI ereditario. Egli si sofferma ad ogni punto per illustrare sia la inconsistenza logica delle teorie che la strumentalizzazione, talvolta non intenzionale, ma pregiudizialmente motivata, che ne viene fatta.»
Del secondo (La freccia del tempo, il ciclo del tempo, ‘87) dirò soltanto che si tratta di un contributo fondamentale per la storia della geologia, nel quale si evidenzia il ruolo essenziale che hanno le idee dominanti nella società in una data epoca storica per la formazione dei concetti e delle teorie della scienza, e legano trasversalmente i diversi modi di guardare i fenomeni nelle diverse discipline. Il collegamento tra le idee di Newton e quelle di Hutton, ad esempio, è assolutamente stupefacente.
Il terzo è Wonderful Life (La vita meravigliosa) nel quale l'autore compie una dettagliata analisi di un giacimento di fossili (Burgess shale) degli inizi del Cambriano (circa 570 milioni di anni fa). Da questa analisi appare evidente che in un periodo relativamente breve esplose una straordinaria molteplicità di forme diverse di organizzazione strutturale degli organismi viventi, delle quali solo alcune sopravvissero alla decimazione che seguì qualche decina di milioni di anni dopo. Una di queste specie, alla quale fu dato il nome di Pikaia (dal monte sovrastante) è rappresentata nel giacimento da alcuni piccoli esemplari insignificanti che mostrano di possedere una traccia di rudimentale corda spinale.

E' importante riportare le parole con le quali Gould conclude il libro. «Pikaia è l'anello mancante della nostra storia, la connessione diretta fra la decimazione della popolazione di Burgess e la successiva evoluzione umana... Immaginiamo di riavvolgere indietro il nastro della vita... Se Pikaia non sopravvive nel replay, noi siamo spazzati via dalla storia - tutti quanti, dal pescecane al passerotto all'orangutan.... Perciò se ci poniamo la domanda fondamentale di tutte le epoche - perché esistono gli esseri umani? - una parte essenziale della risposta deve essere: perché Pikaia sopravvisse alla grande decimazione della popolazione di Burgess. Questa risposta non cita alcuna legge della natura, non contiene alcuna affermazione sui cammini evolutivi prevedibili, né alcun calcolo di probabilità basato su regole generali dell'anatomia o dell'ecologia. La sopravvivenza di Pikaia è stato soltanto un evento contingente della ‘storia’.»
Questo messaggio riassume tutta la ricchezza del pensiero scientifico e umano di Stephen Gould.
Il suo contributo maggiore e più conosciuto, frutto della collaborazione con Niles Eldredge, è costituito dalla teoria degli «equilibri punteggiati», che rifiuta il determinismo gradualistico del processo evolutivo darwiniano per sostituirlo con un processo a salti formato da lunghi periodi di stasi nel panorama delle specie separati da rapidi mutamenti dovuti all'estinzione di specie vecchie e alla nascita di nuove. A tal proposito egli commenta: «Il concetto di tempo geologico è considerato indispensabile dai darwinisti ortodossi per applicare la cosiddetta estrapolazione biouniformista: essa consiste nell'osservare i piccoli cambiamenti che si verificano nella storia delle popolazioni locali per poi estrapolarli nella scala dei tempi geologici. Ma se sul piano delle ere geologiche entrano in gioco nuove cause che non possono essere comprese nel tempo breve, allora la strategia darwinista non funziona più. Ecco perché lo stesso Darwin faceva finta di ignorare le estinzioni di massa: la geologia mette in crisi l'aspetto uniformista o estrapolazionista, del pensiero darwiniano.»
Nonostante questa differenza fondamentale, Gould si presenta come un darwiniano che intende valorizzare l'opera di Darwin, pur polemizzando al tempo stesso, oltre che con gli esponenti di alcune correnti antievoluzioniste, anche con i suoi eredi più «ortodossi». Nei confronti del più estremista di questi ultimi, Richard Dawkins (autore del noto Il gene egoista), per esempio, così motiva il suo dissenso: «Secondo me Richard è un iperdarwinista... In natura sono gli organismi che lottano fra loro. Se essi potessero essere definiti come un'addizione cumulativa di quello che fanno i geni, allora si potrebbero ricondurli ad essi. Ma non è così, perché gli organismi hanno miriadi di caratteristiche emergenti. In altre parole i geni interagiscono in modo non lineare; questa interazione definisce l'organismo, il quale non può essere ridotto a una mera sommatoria dell'azione di un gene o di quell'altro».
La polemica di Gould con gli evoluzionisti «ortodossi» tocca un altro punto fondamentale: l'adattazionismo. «Nel lungo periodo - egli osserva - si scopre che la storia della vita sfugge al controllo adattativo. Entrano in gioco infatti nuovi fattori contingenti, come le estinzioni in massa e l'emergere di nuove specie per via dell'equilibrio punteggiato. Il successo a lungo termine nei vari gruppi di organismi dipende più dal tasso di speciazione che dalle morfologie costruite dalla selezione naturale». «E' chiaro - aggiunge - che in natura l'adattamento gioca un ruolo importante. La mano e il piede, per esempio, sono strutture così ben funzionanti solo in virtù della selezione naturale». Tuttavia, «quando si ignora la funzione di qualcosa, sia essa la parte di un fiore o di una talpa, i biologi darwinisti cercano subito di scoprire "a cosa serve" per individuare il processo di selezione naturale. Ma questa ricerca non dà sempre buoni frutti, poiché alcune strutture possono emergere come semplici effetti secondari di altre che hanno scopo adattativo. Ciò non toglie che, una volta manifestatisi questi caratteri secondari si rivelino utili a qualche cosa... Prendiamo il cervello umano: pur assolvendo a funzioni ben determinate, esso è anche un computer straordinariamente complesso che non è necessariamente il frutto della selezione naturale. Di sicuro la selezione non gli ha insegnato a leggere e scrivere, perché queste funzioni sono state acquisite molto recentemente».
Non posso aggiungere altro. E' un giorno triste per me, anche se ho incontrato Gould solo in un paio di occasioni. Ma Gould mi ha dato molto, e posso dire, senza retorica, che il suo pensiero è diventato una parte importante di me.

“il manifesto”, 22 maggio 2002

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