27.4.13

Ramadan (di Alfonso M. Di Nola)

Il digiuno islamico, detto Ramadan dal nome del mese in cui originariamente cadeva in piena estate (e infatti il termine stesso significa in arabo «calore»), è una forma di digiuno particolarmente rigida per le osservanze imposte al fedele durante le ore diurne di un intero mese. Nasce e diviene il quarto dei cinque pilastri o fondamenti dell'Islam nel clima particolarmente polemico del periodo medinese, quando nella vita del Profeta e nel comportamento della primitiva comunità si verificò la definitiva rottura con le tribù (banu ) ebraiche inizialmente legate al nuovo messaggio religioso. All'origine i fedeli avevano assunto dagli Ebrei un digiuno espiatorio, detto «Ashura», che cadeva il decimo giorno del primo mese in corrispondenza del Kippur ebraico. L'Ashura anche dopo l'introduzione del Ramadan è tuttora celebrato come uso facoltativo e supererogatorio. D'altra parte il Ramadan assunse caratteri che lo differenziano radicalmente dall'espiazione ebraica, tutta tesa ad ottenere alla fine dell'anno la cancellazione delle proprie colpe. Il Ramadan si caratterizza, invece, per gli aspetti essenzialmente mortificatori sui quali prevale tuttavia un senso gioioso della vita beduina che si distacca dagli affari quotidiani, raggiunge una tregua dei conflitti e delle lotte tribali e tutta diretta nell'avvertire il segno centrale della storia islamica della salvezza che è la Rivelazione del Corano. Tale Rivelazione, secondo lo stesso testo coranico, avviene in una «Notte Santa» che è la Notte del Destino, «più bella di mille mesi», nella quale «scendono gli angeli con il permesso di Dio, a fissare ogni cosa», «notte di pace fino allo spuntare dell'aurora», «notte benedetta», cadente nel mese di Ramadan. Siamo ben distanti dai dieci giorni «tremendi» che accompagnano il Kippur e infatti anche in Italia i fedeli osservanti vivono in una gioia intensa il digiuno e le astensioni che caratterizzano l'irruzione della Parola di Dio nel mondo e l'inizio della predicazione del Profeta.

Divenire timorati di Dio
Il passo coranico che, abolita l'Ashura, istituisce le regole fondamentali dei trenta giorni del Ramadan, recita: «O voi che credete, v'è prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che furono prima di voi (gli Ebrei), nella speranza che voi possiate divenire timorati di Dio, per un numero determinato di giorni... il digiuno è un'opera buona per voi... E il mese di Ramadan, il mese in cui fu rivelato il Corano come guida per gli uomini e prova chiara di retta direzione e salvazione, non appena ne vedete la nuova luna, digiunate per tutto quel mese». La dottrina delle varie scuole islamiche arricchisce con minute prescrizioni il comando coranico del Ramadan, che resta essenzialmente la fase periodica della intensificazione del rapporto fra l'uomo e il suo Signore in un clima di tesa presenza nel quale la mortificazione, pur essendo elemento basilare, viene superata dalla costante e prolungata esperienza della presenza di un dio non visibile. In questo senso mi sembra interessante ricordare il comportamento singolare degli studenti islamici nelle Università italiane quando riescono, in un ambiente incline alla distrazione e al rumore, a sigillarsi nel segreto dei significati centrali del loro mese festivo. L'elaborazione delle scuole, pur nella minuta casistica diversificata da tradizione a tradizione, libera da ogni estremismo punitivo il digiuno, anche se esso, negli ambiente rigoristi ed estremisti, può occasionalmente divenire un momento di tensione contro i non credenti e un momento di affermazione di una islamicità integralista, simile a tutti gli altri integralismi compreso quello cristiano. Già nel Corano particolari dispense sono concesse agli ammalati e ai viaggiatori, a condizione che essi provvedano ad una successiva sanatoria della sospensione dell'obbligo. Inoltre il digiuno con altri adempimenti integrativi (elemosine, offerte, sacrifici), può validamente sostituire l'obbligo del pellegrinaggio alla Mecca; ha numerose altre efficacie quando, prolungato oltre il termine mensile, agisce come sanatoria di colpe e delitti anche di sangue purché involontari.
Secondo la interpretazione della scuola più diffusa, quella sciafiita, il digiuno deve essere osservato dai fedeli in pieno possesso delle loro facoltà e, se donne, da quelle libere da mestruazioni e da perdite puerperali. E valido quando il fedele abbia raggiunto il pieno sviluppo fisico, ma è pure considerato valido quello del ragazzo che abbia, però, raggiunta la capacità di intendere. Si esige che all'alba di ciascun giorno si formuli l'intenzione (niya), ma secondo l'opinione di altre scuole è sufficiente formulare l'intenzione al principio del mese una volta per tutte.

Un pasto abbondante
Interrompono il digiuno e lo rendono invalido l'immissione cosciente ed evitabile nel corpo di ogni sostanza materiale, quali l'ingestione di cibo o di bevanda, il fumo del tabacco, l'inglutizione dello sputo che potrebbe essere espulso, l'immissione di liquidi negli orifizi del corpo a mezzo di spruzzamento o di gocce, la ritenzione di feci e di urina, il deliberato e intenzionale vomito, salvo nel caso in cui sia prescritto dal medico, il rapporto sessuale, la masturbazione con esclusione
della polluzione notturna involontaria, la mestruazione, le perdite ematiche del puerperio, la mente impura, l'ebbrezza alcolica e l’alcolismo. Il digiuno è interrotto al tramonto del sole e subito, in un primo pasto di interruzione detto fatur, bisognerebbe consumare preferibilmente datteri maturi o cibi dolci, mentre in pratica ho avuto occasione di osservare che, all'interruzione, ci si nutrisce con pasti abbondanti e succulenti, trascurando la severità delle norme. In ogni caso il pasto abbondante, detto sahur, deve essere differito il più possibile al di là della mezzanotte, e in linea teorica bisognerebbe astenersi, nel corso di esso, da discorsi indecenti, da maldicenze, da calunnie, da menzogne e da insulti. Dopo il giorno di digiuno il fedele deve recitare il Corano per sé e per gli altri e durante tutto il mese deve frequentare la moschea per l'osservanza dei riti prescritti. Il Ramadan, la cui casistica di minima non abbiamo potuto evitare, diviene così il nucleo della vita religiosa e civile dei Musulmani e per un mese intero dalla Cina agli Stati uniti d'America li porta ad un recupero della propria identità storica che nel corso dell'anno è stata assoggettata a obliterazioni e dimenticanze. Nella solennità dei suoi ritmi, è periodo nel quale alcune città, soprattutto nell'Africa settentrionale, restano completamente sigillate nelle loro osservanze e in un silenzio che è parte integrale delle devozioni del deserto.
Il trasferimento di folle di Musulmani in Europa ha comportato un adattamento dell'uso alle nuove realtà sociali e, pur essendo cresciuto il numero dei non osservanti, la massima parte degli immigrati continuano nel rispetto del Ramadan come in quello della salat o preghiera quotidiana.

“il manifesto”, 16 febbraio 1995

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