12.4.13

Paradigmi della mafiosità. Don Vito (di Mario Puzo)

Ecco l’incipit del romanzo (grande romanzo), da cui trasse origine una celeberrima trilogia cinematografica. Credo che il segreto del fascino narrativo di questa paginetta risieda nell’assunzione del punto di vista del personaggio protagonista, o comunque di un punto di vista ad esso contiguo. Ciò permette di far emergere l’ideologia della mafia, vale a dire quello che i mafiosi pensano di se stessi e del mondo, ideologia che ha certamente qualcosa di peculiare, di unico, riferibile all’origine siciliana e agli sviluppi siculo-americami, ma ha molto in comune con quelle di tante altre “mafie”. E qui non mi riferisco soltanto alle grandi organizzazioni di assassini, estorsori e trafficanti a origine etnica, ma anche alle “famiglie” e ai “clan” del mondo economico, finanziario e politico, alla mafia come forma di potere.
In questa pagina, insomma, come in molte altre del Padrino, io non vedo affatto l’indiretta apologia che qualcuno vi ha scorto, ma la costruzione di un paradigma. Non solo della mafia, della “mafiosità”. In particolare l'omaggio di tipo feudale, cioè l'offerta di amicizia e fedeltà in cambio di protezione, è la base del potere non solo all'interno delle "mafie", ma in molte altre strutture affette da "mafiosità".(S.L.L.)

Don Vito
A Don Vito Corleone tutti si rivolgevano per aiuto senza mai venire delusi. Non faceva vane promesse e neppure avanzava scuse vili di aver le mani legate da forze più potenti. Non era necessario che fosse amico, e neppure avere i mezzi con cui ripagarlo. Una sola cosa era fondamentale. Che il supplicante, lui, lui stesso, proclamasse la sua amicizia. E allora, non aveva importanza quanto povero o quanto debole fosse, Don Corleone avrebbe preso a cuore i guai di quell'uomo. Nulla avrebbe lasciato di intentato per risolvere il caso. La sua ricompensa? Amicizia, il rispettoso titolo di « Don », e qualche volta il più affettuoso omaggio di «Padrino». Forse solamente in segno di rispetto, ma mai per interesse, qualche umile regalo: un bottiglione di vino genuino o un cestino di taralli pepati preparati apposta per allietare la sua tavola natalizia. Era sottinteso, era una mera questione di buone maniere, che ci si doveva proclamare suoi debitori e che egli aveva il diritto in qualsiasi momento di chiedere di estinguere il debito con qualche piccolo servizio.
Ora in questo grande giorno, il giorno del matrimonio della figlia, Don Vito Corleone stava sulla soglia della casa di Long Beach a ricevere gli ospiti, tutti conosciuti, tutti fidati. Molti dovevano la loro fortuna al Don e in questa occasione intima si sentivano liberi di chiamarlo apertamente «Padrino ». Persino le persone che prestavano servizio erano amici. Il barista era un vecchio compagno il cui regalo consisteva in tutte le bevande alcooliche per il matrimonio e nella sua esperta prestazione. I camerieri erano compari dei figli di Corleone. Il cibo, sulle tavole da picnic in giardino, era stato cucinato dalla moglie del Don e dalle sue amiche e la decorazione ad allegri festoni del giardino grande un ettaro era stata preparata da quelle giovani e intime della sposa.
Don Corleone riceveva tutti — ricco e povero, potente e umile — con le stesse manifestazioni di affetto. Non trascurava nessuno. Tale era il suo carattere. E gli invitati, dal canto loro, proclamavano che stava tanto bene con l'abito da cerimonia, che un osservatore superficiale avrebbe potuto facilmente scambiarlo per il fortunato sposo.

Mario Puzo, Il Padrino, Dall’Oglio, 1970

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