28.3.13

Ti denuncio a Sua Maestà. Le famigerate “lettres de cachet” (Aldo Natoli)

Nel ritaglio di “Repubblica” contenente l’articolo di Aldo Natoli qui trascritto, sulle lettres de cachet, non trovo indicazioni sulla data di pubblicazione. L’anno dovrebbe essere il 1982, quello della prima edizione del libro francese che vi si commenta. (S.L.L.)
Una "lettre de cachet" e sullo sfondo un'immagine della Bastiglia

IL RICORSO AL RE
CONSENTIVA AI PARENTI
DI INTERNARE A VITA
I FAMILIARI “SCOMODI”
CON UNA SEMPLICE
VERIFICA DI POLIZIA
E SENZA ALCUN PROCESSO

Le «lettres de cachet», cioè i decreti reali mediante i quali nel secolo XVIII si poteva imprigionare chiunque, senza procedure giudiziarie e senza appello, erano strettamente legate al disordine che a quel tempo caratterizzava la vita familiare. Quelle «lettres» richiamano irresistibilmente famosissimi archetipi del romanzo settecentesco: dalla Religieuse di Diderot alle Liaisons dangereuses di Choderlos de Laclos, allo stesso marchese di Sade, imprigionato per la prima volta nel 1774, grazie appunto a una «lettre de cachet » dopo la celebre orgia di Marsiglia; che fu una delle sue prodezze di libertino in piena regola prima che il Marchese fosse costretto, nella lunga detenzione a Vincennes e alla Bastiglia, a trasferire nei deliri dell'immaginazione e della fiction il suo «generoso naturale», come avrebbe potuto definirlo l'abate Da Ponte, versatile librettista di Mozart.

Ma il volume recentemente uscito a Parigi da Gallimard-Juillard nella «Collection Archives» (Le dèsordre des familles, lettres de cachet des Archives de la Bastille, presentato da Arlette Farge e da Michel Foucault) ha ben poco a che fare con quegli illustri predecessori, se non come generico substrato materiale.
Qui siamo lontanissimi sia dal calcolato cinismo del seduttore Valmont che dalla raffinata perfidia della marchesa di Merteuil; di sadismo, neanche l'ombra; e nulla fa pensare all'inesauribile e mortale tormento della monaca di Diderot. Ciò non vuol dire che da ognuna di queste pagine non trasudino sofferenza, inganno, frode, abusi di ogni sorta e, naturalmente, crudeltà. Anzi,si potrebbe sostenere che da questi documenti l'infelicità risulti come quotidiana condizione di vita della popolazione minuta di Parigi: artigiani e piccoli commercianti, osti e albergatori, uomini di fatica e venditori ambulanti. Ognuno con la propria famiglia che lo avvolge e non gli dà tregua, ognuno stretto fra la tutela dell'«onore» e il pungolo dell'interesse; pronto a sua volta, a ridimensionare quella famiglia secondo un codice di costume e di convenienze che gli è stato trasmesso dall'aristocrazia, come un contrassegno di status sociale. Tutto questo espresso non con la magica penna di Diderot, ma con la prosa ripetitiva e rituale del pubblico scrivano, che stende a pagamento l'istanza per l’interessato analfabeta.
E questi non chiede altro che l'internamento, l'imprigionamento di un membro della famiglia, colpevole di metterne in pericolo «l'onore» con la sua condotta «scandalosa» e di lederne, l'interesse con un comportamento «dissipato».
La famiglia ricorre dunque al monarca (tutti i documenti si riferiscono al periodo fra il 1728 e il 1758) perché, attraverso un tipico strumento del potere assoluto — la «lettre de cachet», appunto — uno dei suoi membri, designato come colpevole (spes so con testimonianze di parenti e vicini, nonché attestati di preti) veniva imprigionato per direttissima, senza passare attraverso la trafila, la pubblicità e le garanzie della giustizia ordinaria.

Senza processo
Il nome di Michel Foucault sul frontespizio di questo volume ci riporta, naturalmente, alla sua Histoire de la folie, alle origini e alla ricostruzione dei meccanismi di internamento esistenti in Francia fin dal 1656, con la fondazione a Parigi dello Hópital general, da cui dipendevano in particolare la Salpetrière (che due secoli dopo sarà il teatro delle celebri lezioni di Charcot sull'isteria) e Bicetre: luoghi per l'internamento lei pazzi, o presunti tali; veri inferni, come Foucault li ha descritti.
Ma qui in questa ricerca, non di pazzi si tratta, ma di individui dalla condotta disordinata e senza regole (secondo l'accusa), o anche piccoli delinquenti; mentre in certi casi, pur attraverso le formule burocratiche, traspare evidente la pesantezza dell'autorità maritale o paterna che si pretende assoluta come quella del monarca, al quale si chiede ausilio per soffocare e distruggere il tentativo di evadere dalla chiusa strettoia della vita familiare: per esempio una storia d'amore del giovane figlio, o peggio — scandalo inaudito — di una ragazza. E in omaggio a questo tipo di repressione vi sono mariti, padri e madri che chiedono l'internamento della moglie o dei figli in quei luoghi di orrore, anche per tutto il resto della vita.
Molto interessante è l'indagine antropologica condotta dalla Farge e da Foucault sulle motivazioni che determinavano in quei casi il ricorso all'intervento nientemeno che del monarca, in una commistione del massimo potere pubblico con la minuscola intimità della sfera privata. Il pretesto più comune è, come abbiamo osservato, il pericolo che venga intaccato l'onore («l'honneur») della famiglia. La procedura messa in moto dalla «lettre de cachet» era infatti segreta, equivaleva ad un vero e proprio rapimento del malcapitato, il quale non aveva alcuna possibilità di contestare il provvedimento o di opporvisi. «L'honneur» appare qui come una rivendicazione del «Terzo Stato» nascente, mutuata dal modo di vivere della nobiltà; tradisce dunque una mentalità mimetica, una subalternità totale, che non appare nemmeno sfiorata dal movimento illuminista ed è ancora del tutto estranea alla critica radicale di quel movimento alla società dell' ancien regime.

Un romanzo alla Hugo
In alcuni casi, risulta flagrante, nella richiesta di internamento, l'inganno interessato: un certo Nicolas Dubuisson è accusato di essersi abbandonato al «libertinaggio» «fin dall'età di 7 anni». Ma di fatto nessuna accusa grave viene prodotta contro di lui: si afferma che non ha voglia di lavorare, che gli piace vagabondare, che è stato curato a Bicetre per una malattia venerea. Insomma dall'istanza non risulta che il giovane abbia commesso alcun reato; eppure i suoi genitori chiedono al monarca che il figlio venga rinchiuso nuovamente a Bicetre (non per curarsi, questa volta) e il parroco di S. Nicolas des Champs, appoggiando in tre righe la richiesta, precisa: «fino a quando non si sarà ravveduto». Se dobbiamo, come suppongo, credere a Foucault, Bicetre non doveva essere propriamente un luogo di ravvedimento.
Ed ecco un altro caso assai complesso, a giudicare dalla fitta corrispondenza che permette di ricostruirlo: i signori Le Blanc, con l'appoggio del parroco e di un funzionario di polizia, chiedono l'internamento della figlia Marie Toussine per «conduite déréglée»; il poliziotto parla apertamente di prostituzione. Ma l'albergatore presso il quale la detta Marie Toussine alloggiava, dichiara, pronto a confermarlo davanti al magistrato, che nel periodo in cui Marie era rimasta presso di lui, egli pagava regolarmente alla madre di lei una percentuale di ciò che fruttava il mestiere esercitato dalla ragazza (che dunque alla madre era ben noto). Altri albergatori lo confermano. L'istanza di internamento sarà sporta dai genitori solo quando la figlia, abbandonata la prostituzione, si sarà ritirata a vivere onestamente insieme ad un uomo che l'ama. L'istanza sarà accolta. Alla fine, contro il parere dei genitori, la povera Marie Toussine verrà liberata e allora sarà lei a chiedere clemenza per loro. Materia per un romanzo alla Victor Hugo.
Come si vede, il margine di abusi consentito dalla «lettre de cachet» era larghissimo. La polizia, di fatto, aveva pieni poteri e poteva diventare lo strumento di basse vendette e di loschi maneggi (quando non era essa stessa a confezionarli). Colpisce quasi sempre l'immenso divario fra le colpe presunte, quasi sempre generiche e ulteriormente semplificate dallo stile stereotipato dello scrivano, e l'enormità della pena richiesta: non solo l'internamento a vita, ma addirittura la deportazione nelle isole per «condotta depravata», spesso non meglio specificata. Fortunatamente, non mancano alcuni casi in cui appare evidente l'errore commesso, il sentimento ferito, la richiesta di revoca del provvedimento, il ritorno in famiglia di chi è stato costretto con la forza a ricoprire il ruolo del figliol prodigo.
Si capisce dunque facilmente perché la «lettre de cachet» diventasse, in quanto simbolo dell'arbitrio del potere assoluto, uno dei bersagli preferiti della polemica illuminista prerivoluzionaria; e perché, già prima della rivoluzione, nel 1784, con l'ordinanza Breteuil (ulteriormente rafforzata da Sieyès nel 1789) il suo impiego avesse subito importanti limitazioni. Ma bisognerà aspettare fino alla comparsa del Codice napoleonico ( 1804) perché ogni traccia di quell'arbitrio feudale sia definitivamente cancellata. Con l'avvento del dominio della borghesia, la società civile diventerà giuridicamente libera; il dispotismo pubblico non potrà più prolungarsi nella tirannia privata. A meno che questo prolungamento non appaia giustificato dalla ragion di Stato: in questo caso, per un Napoleone si troverà sempre un Talleyrand.

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