18.2.13

Vi ricordate quel 18 aprile? (di Rina Gagliardi)

Sul “manifesto”, alla vigilia di un voto politico che si presumeva decisivo e non lo fu per niente, sei articoli rievocavano Sei elezioni della prima Repubblica. Quello dedicato al 48, chiaro nel dettato e nell’individuazione dei nodi, è opera di Rina Gagliardi. (S.L.L.)

«Noi siamo quelli che nel '48 truccarono le elezioni in Italia...». E' una scena tra le più efficaci di JFK, quella dell'incontro di Jim Garrison con la «gola profonda» di Washington: una rivelazione storica, sia pur detta en passant? una fantaaffermazione provocatoria, in sintonia con la radicalità del film? Nulla ditutto questo, probabilmente. O forse, più che di un'allusione a giganteschi brogli elettorali, si tratta di una verità politica, per altro largamente nota: l'intervento americano (oltre a quello della Chiesa) determinò pesantemente tanto il clima della campagna elettorale quanto il suo esito, la sconfitta del Fronte popolare.
Dunque, il voto più infuocato (e più importante) della storia repubblicana d'Italia non fu, in realtà, un voto libero: fu un voto dominato dalla paura, dal ricatto, dall'ingerenza esterna. Le sinistre non avrebbero comunque potuto vincere: se avessero vinto, se avessero ottenuto il conforto della maggioranza degli elettori, si sarebbe scatenata una spaventosa guerra civile, in un paese ancora ferito e affamato - e il risultato finale sarebbe stato duplice, un'occupazione militare straniera e una dittatura di destra. Questa fu la percezione della gente, di quei molti che, paventando massacri e disoccupazione, abbandonarono il Fronte. Questa, forse, fu anche la preoccupazione di Palmiro Togliatti: il leader comunista, a quanto riferiscono molti testimoni, non si augurava affatto la vittoria, e arrivò a dire a Franco Rodano, dopo il 18 aprile, che «andava bene così». Non intendeva dire, naturalmente, che davvero quei risultati erano i «migliori» che si potessero auspicare: ma che bisognava prender atto che la storia del paese aveva intanto preso un'altra direzione. Era finito, il 25 aprile 1945. Era lontana, l'Italia della resistenza popolare al fascismo, delle nuove speranze sociali, della rottura radicale col passato. Ed era battuto, in realtà, non il «socialcomunismo», non il pericolo comunista, ma l'occasione concreta di una democrazia più avanzata e più audace.
Tra la fine del '47 e i primi mesi del '48, si delineano i «due fronti», e le rispettive forze di cui dispongono. Anche se nessuna scelta strategica (collocazione internazionale, rottura dell’unità nazionale antifascista, unità sindacale) è stata definitivamente sancita, tutto si muove verso una contrapposizione sempre più violenta. Da un lato, il blocco anticomunista: la De, che ne costituisce il perno, la Chiesa, gli amici americani, appunto, i partiti laici, come il Pri, l'estrema destra neofascista e liberal-qualunquista. Dall'altro lato, il fronte delle sinistre: comunisti e socialisti, questi ultimi indeboliti da robuste scissioni che certo la confluenza nel Psi degli azionisti non bilancia e non compensa. In mezzo, le liste di «Unità socialista» che si vuole «terzaforza» ma non lo è nient'affatto sulla reale posta in palio, la sconfitta del Fronte popolare. Una situazione, anche da questo sommario richiamo, del tutto squilibrata, anzi impari. Né gioca a favore della sinistra l'evoluzione del quadro internazionale - l'Urss completa il processo di «satellizzazione» dell'Europa orientale, mentre, con l'espulsione di Tito dal Cominform, esplode la crisi jugoslava, che ha un più che significativo risvolto nella questione di Trieste.
Tutti i partiti tengono in questa fase le loro assise nazionali. Nella Democrazia cristiana (Napoli, novembre '47, II congresso) tramontano le velleità riformiste della sinistra interna, raccolta attorno a Dossetti e ai collaboratori di «Cronache sociali»: vincono De Gasperi e Scelba, in un clima dominato dalle tematiche dell'«ordine pubblico» e della «difesa della libertà». Alla sua destra è il Pli, col suo nuovo leader Roberto Lucifero, a incaricarsi di catturare l'elettorato più biecamente conservatore: l'alleanza con i resti dell'«Uomo qualunque» in disfacimento produrrà le liste del «Blocco nazionale», «l'unica forza sicuramente e organicamente anticomunista». Alla sua sinistra, le liste del Pri (che conferma nel suo XX congresso l'alleanza con la Dc) e quelle di «Unità socialista», che sono il frutto della confluenza di due gruppi: il Psli (i «piselli») di Saragat e l'Usi, dove confluiscono nuovi fuorusciti dal Psi ed ex azionisti. La scelta unitaria del Fronte popolare, invece, viene sancita nel VI congresso nazionale del Pci e nel XXVI congresso nazionale del Psi, che si svolgono a due settimane di distanza l'uno dall'altro.
I comitati civici diventano rapidamente uno dei fattori-chiave dello scontro elettorale. Vengono fondati l'8 febbraio, giorno di inizio della campagna elettorale, da Luigi Gedda, presidente dell'Azione cattolica: un esercito di quasi trecentomila volontari, che si appoggiano alle oltre ventimila parrocchie esistenti nel paese, e svolgono la loro crociata in apparente indipendenza sia dalla Chiesa che dalla Dc. Oltre alla funzione ideologica ricattatoria («Coniglio chi non vota»), i comitati svolgeranno una funzione cruciale: trascinare tutti, «anche i meno colti, gli analfabeti e i vecchi» davanti alle urne, e farli votare senza errori.
La Chiesa fa la sua parte: la circolare Schuster e il breviario Siri stabiliscono che votare comunista è «peccato mortale».
Last, but not least, l'America. Il piano Marshall, cioè, e prima ancora l'Unrra, gli aiuti provvisori, 300 milioni di dollari per cibo e medicinali che - viene dichiarato formalmente da Marshall in marzo - verranno sospesi in caso di vittoria delle sinistre. I «treni dell'amicizia» che corrono per l'Italia. Lo slogan che sta scritto su tutte le locomotive, Questo treno cammina grazie al carbone americano. E i progetti previsti dal National Security Council: in caso di vittoria del Fronte, si avrà la «mobilitazione delle forze Usa, anche attraverso la coscrizione obbligatoria», l'occupazione immediata della Sicilia e della Sardegna a tutela della «sicurezza» nel Mediterraneo, la necessaria assistenza finanziaria e militare ai gruppi clandestini anticomunisti. Vi fa pensare a qualcosa quest'ultima espressione?

Dc
48,40
Pci-Psi
31,03
Psdi
7,09
Monarchici
2,79
Pli
3,83
Pri
2,49
Msi
2,01
Altri
2,36


“il manifesto” 1° marzo 1992

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