27.2.13

Palmiro Togliatti. Un patriota (di Luciano Canfora)

Nel 1992 – recuperata in archivi moscoviti - venne resa nota una lettera di Palmiro Togliatti a Vincenzo Bianco, funzionario dell’Internazionale Comunista, in cui si affrontavano tre temi: la probabile imminente invasione angloamericana dell’Italia, la questione delle frontiere italo-yugoslave da definire a guerra finita, il trattamento in Russia dei prigionieri italiani. Fu l’occasione di una dura polemica, specie sull’ultimo punto, contro il leader del Pci, accusato di insensibilità nazionale e di complicità con l’Urss di Stalin per le sofferenze subite e anche per le morti dei soldati italiani dell’armata d’invasione nei campi di prigionia dell’Urss. Il neonato Pds, il maggiore partito nato dall’eredità del Pci, cercò di sottrarsi alla pressione della stampa di destra e alla generalizzata richiesta di condanne e di autocritiche, accentuando la rottura con la tradizione rappresentata da Togliatti. E dire che il segretario del Pds, Achille Occhetto, alla morte di Togliatti nel 1964, in rappresentanza della Fgci aveva proclamato: “Compagno Togliatti, nel tuo nome l’Italia sarà socialista”. Sul “manifesto”, dopo la pubblicazione integrale della lettera, che fino ad allora era stata resa nota per brani, Luciano Canfora pubblicò questa brillante difesa del segretario comunista. (S.L.L.)

Per il testo della lettera vedi
La principale manipolazione di cui è stata fatta oggetto la lettera di Togliatti a Bianco del 15 febbraio '43 è consistita nell'estrapolarla dal suo contesto testuale e storico. Ora finalmente la conosciamo per intero ed è nota anche una delle lettere di Vincenzo Bianco cui essa risponde. (Credo che ce ne siano, o ce ne siano state altre, giacché la replica di Togliatti tratta
anche punti che Bianco non tocca). E possiamo finalmente capire, in primo luogo, che essa è profondamente unitaria e univocamente ispirata in modo lungimirante in tutte e tre le sue parti: quella sull'eventuale sbarco americano in Italia, quella sulla frontiera jugoslava e quella sui prigionieri dell'Armir. Il filo logico e motivo ispiratore è limpido e radicalmente antifascista e anti-imperialista.
1) Se ci saia l'invasione alleata dell'Italia «bisogna spiegare che non si tratta affatto di invasione, ma di aiuto che viene dato al popolo italiano per riconquistare la sua libertà».
2) «Noi siamo coi popoli della Jugoslavia contro Mussolini, cioè contro il governo italiano (…) sino alla partecipazione diretta del popolo italiano alla lotta armata contro le bande mussoliniane e contro l'esercito stesso». Onde ogni ridimensionamento delle conquiste territoriali operate dall'Italia nel '18 - se davvero si verificherà, a guerra finita - dovrà essere messo chiaramente sul conto della borghesia italiana, che, agevolando la disastrosa guerra mussoliniana, «avrà dimostrato anche in questo di essere una classe antinazionale».
3) I prigionieri. Qui Togliatti mette in chiaro ripetutamente che le perdite di vite umane si verificheranno eventualmente, nei campi di prigionia, a causa delle «condizioni oggettive»; lo ripete due volte: «in conseguenza delle dure condizioni di fatto», e ancora, alla fine, «nelle durezze oggettive». «Condizioni oggettive» per tutti: russi, prigionieri italiani, esuli politici (come lo stesso Togliatti). In Russia si muore di fame, si è allo stremo: in un paese distrutto dagli invasori e martoriato dalla guerriglia e dalla controffensiva il disagio materiale è estremo per tutti, dentro e fuori dei campi. Ma qui Togliatti soggiunge una considerazione in stretta sintonia con quanto detto prima: come l'invasione americana sarà benvenuta e sarà da considerarsi in realtà aiuto e liberazione, come la perdita di territori conquistati nel '18 dovrà risultare limpidamente frutto della politica irresponsabile del fascismo e delle classi che lo hanno sostenuto, così la tragedia dell'Armir - a somiglianza delle tragedie di Adua e di Dogali cinquant'anni prima - saranno la dolorosa medicina che farà ravvedere quei ceti, anche popolari, che hanno costituito la base di massa del fascismo e ne hanno approvato financo le aggressioni contro altri popoli, dall'Etiopia alla Francia alla Russia.
È il motivo che Togliatti svolge da Radio Mosca in discorsi notissimi da tanto tempo agli studiosi. Come quello del primo gennaio '43 (dunque di appena un mese precedente la lettera di cui oggi si discorre): «Colui che non lascerà Hitler a tempo, colui che non abbandonerà a tempo il bandito che lo trascina alla perdizione, sa ormai quale tragica catastrofe lo attende. Gli italiani già lo stanno provando. I popoli che non vogliono esser ridotti a un branco di schiavi in camicia nera sanno ormai che cosa debbono fare». Siamo al tornante decisivo della la guerra. Dopo Stalingrado. In Occidente si è prodotta, nel novembre '42, la prima grossa crepa nello schieramento nazifascista»:  l'ammiraglio Darlan, il più autorevole collaboratore di Pétain e suo «successore designato», si è consegnato, con la flotta francese, agli Alleati ad Algeri ed ha assunto il comando di quanto ancora restava dell'«impero» francese. Come risposta i nazisti rompono la finzione della Repubblica indipendente di Vichy e completano in un baleno l'occupazione dell'intera Francia metropolitana. E' l'inizio della Resistenza in grande stile. In questa situazione nuovamente in  movimento la principale preoccupazione e cura politica di Togliatti è che in Italia accada qualcosa di analogo, che dall'interno dell'Italia si sviluppi un moto di massa contro la guerra, che scardini dall'interno il regime fascista e salvi il paese dalla catastrofe.
Giustamente egli vede il colossale e criminale passo falso mussoliniano di mandare a morire in Urss centinaia di migliaia di giovani - in una guerra d'aggressione contro un paese che nessun motivo di contenzioso aveva o aveva avuto con l'Italia - l'inizio della fine del regime. I precedenti storici erano ovvi. Nel radio-discorso del 12 gennaio '43 rievoca il precedente napoleonico: «Napoleone organizzava una spedizione contro la Russia e trentamila italiani dovevano lasciare le loro ossa in un paese pieno di neve e di ghiaccio che non avevano mai visto né conosciuto».
Quello di Togliatti è dunque autentico «patriottismo», non già nel senso bieco, consono alla mentalità fascista che oggi rischia di tornare di moda con l'avallo dell'inquilino del Quirinale, ma nel senso più genuinamente progressista e internazionalista: «Quanto più largamente penetrerà nel popolo la convinzione che aggressione contro altri paesi significa rovina e morte per il proprio»: è questa la lungimirante premessa da cui muove, nel momento risolutivo del conflitto, l'antifascista Togliatti.

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