8.2.13

Le tre versioni di “Faccetta nera” e l’unica di “Zikipaki zikipù” (S.L.L.)

Le riflessioni che seguono nascono da un bell’articolo di Gianluca Gabrielli sulla legislazione coloniale razzista adottata per combattere il “madamato” e il “meticciato” e le ho già “postate” in questo blog. Le riprendo per il comodo degli appassionati di canzonette.
Ragionando su quell’articolo mi dissi: “Forse qualche anticorpo all’infezione razzista lo si trova dove meno lo si aspetta”; e mi ricordai, appunto, delle mie amate canzonette. Di Faccetta nera, innanzitutto, e delle sue tre versioni.
Nel 1935, mentre si preparavano le operazioni militari contro l’Abissinia, i giornali pubblicavano notizie sulla schiavitù, cui sarebbero state sottoposte non poche giovani africane, vendute dalle stesse famiglie. Circolavano opuscoletti di missionari cattolici che rendevano la cosa ancora più credibile. Tutto era considerato utile a giustificare l’aggressione imminente.
La leggenda vuole che in questo clima un verseggiatore dialettale, Giuseppe Micheli, scriva in romanesco un testo con l’intenzione di presentarlo al concorso che si tiene ogni anno a Roma in occasione della Festa di San Giovanni. Non se ne fece nulla, ma qualche tempo dopo la canzone – musicata da Mario Ruccione – fu cantata al teatro Capranica da Carlo Buti. Seguirono subito dopo altre interpretazioni e, attraverso la radio, la diffusione e il successo nazionale.
Che le cose siano andate esattamente così non è affatto certo. Nel volumetto Il Duce e il fascismo nei canti dialettali d’Italia, una raccolta che Francesco Fichera pubblicò nel 1937, si può leggere infatti: “Faccetta nera, una canzone che ha avuto momenti di fervore nazionale e ha destato tra le folle il più sincero entusiasmo è diventata, purtroppo, argomento di lite fra gli autori essendo state insinuate grandi accuse di plagio”.
Come che sia, il testo romanesco venne trasposto nell’idioma nazionale con qualche modesto rimaneggiamento di carattere politico. Due le differenze importanti. Dove la versione romanesca fa “La legge nostra è schiavitù d’amore,/ ma libertà de vita e de penziere” in quella italiana si canta “La legge nostra è schiavitù d'amore,/ il nostro motto è libertà e dovere”. Nella stessa strofe salta il riferimento ad Adua. Pare che Mussolini in persona avesse ordinato di parlare il meno possibile di quell’antica sconfitta, almeno fino alla riconquista della storica località, che sarebbe stata celebrata da un’apposita canzonetta (“Adua è liberata, /è ritornata a noi…”).
Ma anche nel nuovo testo Faccetta nera sarebbe ben presto diventata “politicamente scorretta”. La bella abissina può essere liberata dalle antiche forme di schiavitù, ma non si sogni neppure di diventare “romana” e di indossare la “camicia nera” nelle sfilate; dovrà servire i nuovi padroni. Così nel 1936, prima delle leggi razziste sul madamato e sul meticciato, viene dato da cantare a Buti e pubblicato dall’editore Campi di Foligno, un nuovo testo “purgato”. L’edizione a stampa spiega che si tratta del testo ufficiale e che è stato consegnato «alla Procura del Re ai sensi della legge sulla Stampa del 1932». Ma l’operazione non va in porto. Con le nuove parole Faccetta nera non piace ai radioascoltatori che inviano all’Eiar lettere di protesta. Il Minculpop consiglierà ai programmisti di diradarne l’emissione, ma accetterà che sia alla radio che nei fonografi prevalga il vecchio testo che invita a fraternizzare cameratescamente.
Un scarto dal razzismo ufficiale ho avvertito anche in un’altra canzoncina di quel tempo che ho sempre trovato molto gustosa, Zikipaki Zikipù. Ho a lungo creduto che ne fosse autore Rodolfo De Angelis, specializzato in canzoncine satiriche da varietà e cafe-chantant. E invece no: la musica è di Vittorio Mascheroni e il testo di quel Peppino Mendes che in altre canzoni esalta il ritorno ai campi e la campagna demografica del regime (vedi Reginella campagnola). Zikipaki Zikipù non si svolge in una italica colonia, ma addirittura in India, dove l’italiano non ci sta a pensar su e si porta sotto un albero una bella indù. Aggiunge: “meglio un figlio mezzo indiano che… senza eredi”. L'italica virilità e la produzione di figli per la patria (“otto milioni di baionette”) per un po’ la vincono sulla “guerra al meticciato”. Solo per un po’.
Per gli appassionati ho posposto all’articolo di Gabrielli i tre testi di Faccetta Nera e quello di Zikipaki Zikipù .
Sul tema suggerisco un link in questo stesso blog:

Le tre versioni di Faccetta Nera

1. Il testo romanesco
Si mo’ dall’artipiano guardi er mare
moretta che sei schiava fra le schiave
vedrai come in un sogno tante nave
e un tricolore sventola’ pe’ te

Ritornello
Faccetta nera
bell’abissina
aspetta e spera
che già l’ora s’avvicina.
Quanno staremo
vicino a te,
noi te daremo
un’antra legge e un antro Re!
-
La legge nostra è schiavitù d’amore,
ma libertà de vita e de penziere.
Vendicheremo noi, camicie nere,
li morti d’Adua e libberamo a te.

Ritornello
Faccetta nera etc.
-
Faccetta nera piccola abissina,
te porteremo a Roma libberata,
dar sole nostro tu sarai baciata,
starai in camicia nera pure te.

Ritornello
Faccetta nera
sarai romana
e pe’ bandiera
tu c’avrai quella italiana
Noi marceremo
insieme a te
e sfileremo
avanti ar Duce e avanti al Re!»

2. Il primo testo in italiano
Se tu dall'altipiano guardi il mare,
Moretta che sei schiava fra gli schiavi,
Vedrai come in un sogno tante navi
E un tricolore sventolar per te.

Ritornello
Faccetta nera,
Bell'abissina
Aspetta e spera
Che già l'ora si avvicina!
Quando saremo
insieme a te,
noi ti daremo
Un'altra legge e un altro Re.
-
La legge nostra è schiavitù d'amore,
il nostro motto è libertà e dovere,
vendicheremo noi camicie nere,
gli eroi caduti liberando te!

Ritornello
Faccetta nera, etc.
-
Faccetta nera, piccola abissina,
ti porteremo a Roma, liberata.
Dal sole nostro tu sarai baciata,
Sarai in Camicia Nera pure tu.

Ritornello
Faccetta nera,
Sarai Romana
La tua bandiera
Sarà sol quella italiana!
Noi marceremo
Insieme a te
E sfileremo avanti al Duce e avanti al Re

3. Il testo italiano purgato e rimaneggiato
Se tu dalle ambe or guardi verso il mare
moretta ch’eri schiava tra gli schiavi
vedrai come in un sogno vele e navi
e un tricolor che sventola per te.

Ritornello
Faccetta nera
ch’eri abissina,
aspetta e spera
- si cantò - l’ora è vicina
Or che l’Italia
veglia su te
noi ti portiamo
un’altra legge e un vero Re!
-
La legge nostra è libertà o piccina
e ti ha recata una parola umana
avrai la casa e il pane o morettina
e lieta potrai vivere anche te.

Ritornello
Faccetta nera
ch’eri abissina
aspetta e spera si cantò
l’ora è vicina.
Or che l’Italia
veglia su te
avrai tu pure a Imperatore
il nostro Re.
-
Faccetta nera il sogno s’è avverato
non sei più schiava e più non lo sarai
dal ciel d’Italia, libera, vedrai
il sol di Roma splendere su te

Ritornello
Faccetta nera
ch’eri abissina
tornò l’Impero
ed or l’Italia è a te vicina.
La nostra Patria
veglia su te
e lo giuriamo
al nostro Duce e al nostro Re.
*****
Il testo di Zikipaki Zikipù
Zikipaki era nata fra gli indù,
era figlia del gran capo di laggiù.
Bella bajadera, piccola e leggera,
somigliava al padre Zikipù.

Ma un bel giorno, non so proprio come fu,
Zikipaki s’è trovata a tu per tu
con un tipo strano, era un italiano:
Zikipaki non ci vide più.
Disse: “Tu, proprio tu,
o mi baci oppur lo dico a Zikipù”.
Ah, Zikipaki o Zikipù,
l’italiano non ci stette a pensar su.
Se la prese per la mano,
la condusse più lontano
sotto un albero, laggiù:
“Dimmi il tuo nome, o bella indù”.
“Zikipaki sono e non scordarlo più!”.
E per meglio ricordar,
tosto lui si mise a far
“Zikipaki, Zikipaki, Zikipù!”.
L’italiano spesso si recò laggiù
a trovar la bella figlia dell’indù.
Ma l’ardore passa, lei divenne grassa,
Zikipaki lui non vide più.
Ma in sua vece un giorno venne un grosso indù
con un bel marmocchio di color caucciù.
“Questo signorino esser tuo bambino.
Presto, fila e non tornare più!”.
E il caucciù, come fu,
somigliava tutto al nonno Zikipù.
Ah, Ziki-Paki o Ziki-Pu,
l’italiano non ci stette a pensar su.
Se lo prese piano piano,
lo portò lontan lontano
al paese suo laggiù.
Appena giunto, disse:“Orsù,
dopo tutto è un italiano che c’è in più”.
E a chi stava a domandar
rispondeva: “Fu per far
Zikipaki, Zikipaki, Zikipù!”.
Meglio un bimbo mezzo indiano
che passar la vita invano
senza eredi su per giù.
E, se la moda di lassù,
la nazione a popolar non pensa più
si può sempre ricordar
la canzone che sul far
“Zikipaki, Zikipaki, Zikipù”!

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