19.2.13

Borgese. L'uomo che inventò i Crepuscolari (Antonio Debenedetti)

Giuseppe Antonio Borgese (1882 - 1952)
Un'analisi «cosmopolita» della Sicilia e dei suoi scrittori
I lettori del siciliano Giuseppe Antonio Borgese, autore d'un romanzo epocale quale Rubè e dell'indimenticata raccolta critica La vita e il libro, troveranno stavolta il loro scrittore visto e analizzato dalla parte delle radici. Ivan Pupo, un valente ricercatore universitario che sa come mettere a buon frutto la sua assidua frequentazione di archivi e biblioteche, ha infatti raccolto pagine dimenticate, testi ancora inediti o dispersi in periodici difficilmente reperibili del prolifico G.A.
Non è andato però a caccia di documenti rari come tali. Ha mirato, invece, a riesumare confidenze, memorie, ritratti, lettere e recensioni che hanno come tema comune la terra d' origine d' un uomo tanto più interessante perché «dalla personalità non facile». È nato cosi un volume insospettatamente ampio, Una Sicilia senza aranci (Avagliano), che esamina sotto varia prospettiva e da più angolazioni i rapporti di Borgese con un'isola considerata da taluni critici d'Oltralpe come la terra promessa del moderno romanzo italiano. Bastino i nomi di Verga, Pirandello, Capuana, De Roberto, Tomasi di Lampedusa, Brancati, Vittorini, Sciascia e Bufalino.
Di là dalla tesi, che Pupo viene sostenendo anche attraverso un ampio e dotto saggio introduttivo, il libro ora edito propone scritti d'una catturante leggibilità.
Così l'ampio reportage, percorso da una straordinaria e commossa forza evocativa, che G.A. scrisse nell'emozione d'una visita a Messina, poche ore dopo il devastante terremoto del 1908. «Ho visto la città subissata, dal mare, nell' alba (...). Era come se due strati di nuvole occupassero il cielo: alto il primo ed immobile e piovoso, l' altro (...) che pareva (...) dovesse crollare sul mare nericcio, ribollente ma senza spuma. Poi vennero, gemendo sventura e implorando soccorso, le prime barche (...)».
Poeta, critico, romanziere, giornalista, uomo politico e professore universitario (fu lui a dare una scrollata decisiva agli steccati che dividevano la scrittura accademia da una comunicazione mossa da più immediate esigenze cronistiche), Borgese sa mettere a frutto quando occorra le sue varie anime con risultati mirabili.
Fa soprattutto spicco, in questa variegata silloge, l'uomo di libri che Borgese fu più d'ogni altra cosa. Il critico che, in un articolo pubblicato sulla “Stampa” nel settembre 1910 (l' altro suo giornale fu “Il Corriere della Sera”), applicava a tre poeti di minor fama l'etichetta di «crepuscolari» poi divenuta popolare insieme col nome del Gozzano. Ne si dimentichi che G.A. si accorse per primo, in maniera significativa, del talento di Moravia dettando parole rimaste essenziali nella fortuna degli Indifferenti.
Qui, nel volume costruito da Pupo, a venir saggiati sono autori isolani del calibro di Verga e Pirandello ma anche l'ormai negletto Rosso di San Secondo. Tanto che, dopo averne ritrovato il nome, verrebbe voglia di riprenderne in mano l'opera.
È inevitabile chiedersi, una volta si sia passata qualche ora spigolando in questa Sicilia senza aranci, se Borgese abbia ceduto e in quale misura alle lusinghe di quella «sicilitudine» cui nessun altro degli scrittori «suoi conterranei ha saputo resistere». In una breve ma densa prefazione Massimo Onofri, critico sempre illuminante del nostro e suo sostenitore appassionato, invita a una risposta equilibrata, finanche salomonica. Dice, insomma, un sì comprensivo anche d'un freddo invito alla cautela. «Che le sirene dell' isola si siano fatte senz'altro sentire è, con questo libro sotto gli occhi, realtà difficilmente contestabile (...). Ma non si può non cedere a un dubbio: che Borgese abbia proiettato, sul grande specchio della "sicilianità", le problematiche che (...) tra la fine degli anni Venti e l'inizio dei Trenta, gli stavano a cuore». La Sicilia, insomma, senza dimenticare più vasti interessi cosmopoliti.

“Corriere della Sera” 21 dicembre 2005

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