5.12.12

Lelio Basso e i ribelli dell’Amiata. Un documentario (G.Ra.)


Luglio 1948 - Rastrellamento sulle pendici del monte Amiata
Sul finire del 2003, nel quadro del centenario di Lelio Basso (era nato a Varazze nel 1903, il giorno di Natale), fu proiettato un documentario che rievocava i moti dell’Amiata, seguiti all’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, e il processo che ne seguì ove fu proprio Basso, insieme a Umberto Terracini a difendere i ribelli. Riprendo qui dal “manifesto” la recensione del documentario firmata G.Ra. (Guglielmo Ragozzino), seguita da una breve postilla su una vicenda mediatica. (S.L.L.)

Lelio Basso negli anni 40
I moti, la repressione, il processo
Il documentario La democrazia davanti ai giudici è un insolito squarcio di storia patria. Gli autori, Vincenzo De Cecco e Marco Folin hanno raccolto e montato interviste agli «insorti» dell'Amiata, riflessioni degli avvocati, spezzoni di cinegiornali dell'epoca, fotografie, pagine di giornale, interviste di Lelio Basso. Alla fine della proiezione, si vorrebbe rivedere tutto una seconda volta, per afferrare meglio nomi e volti e aspetti particolari delle vicende, a un tempo notissime e altrettanto sconosciute.
L'antefatto necessario è che il 14 luglio del 1948 alle 11,30, Palmiro Togliatti, all'uscita dalla camera dei deputati subì un attentato da parte di un personaggio oscuro, Domenico Antonio Pallante. Mesi dopo Pallante sarà aggredito in carcere da tre detenuti, Guastella, Gaddi e Celestre alla ricerca di qualche vantaggio giudiziario. Scampato all'agguato, Pallante, uscirà dal carcere con l'amnistia del 1953. Il popolo di sinistra, alla notizia dell'attentato alla vita del segretario del partito comunista, scese in piazza, nelle città e nei paesi d'Italia, con manifestazioni spontanee, mentre Togliatti che non aveva perso conoscenza, invitava alla calma. La sconfitta elettorale di tre mesi prima (18 aprile) non era stata dimenticata. Da Mosca una nota di biasimo da parte del Politburo: «come avete potuto lasciarlo solo e indifeso?».
Al governo, Alcide De Gasperi è apparentemente sulle stesse posizioni di Togliatti, mentre Mario Scelba, il ministro degli interni, ha tutte le intenzioni di arrivare allo scontro finale: il Pci fuorilegge. De Gasperi si limita, secondo la leggenda, a telefonare a Gino Bartali, al giro di Francia, esortandolo a vincere e a salvare il paese: Bartali dice: obbedisco; e vince le tre tappe alpine, il 15 il 16 e il 17 luglio, a Briançon, ad Aix-les-Bains e a Losanna, passando da un ritardo su Luison Bobet di venti minuti a un primato di mezz'ora sul secondo in classifica.
Le manifestazioni sono finite; hanno lasciato alle spalle alcuni episodi di sangue; i principali sono a Badia S. Salvatore, sull'Amiata, dove il maresciallo Battaglia e un altro carabiniere sono stati uccisi. Nelle interviste del documentario veniamo a sapere che il probabile uccisore era uno spostato che poco aveva a che fare con i partigiani del tempo di guerra e con il movimento attuale.
C'è però una repressione molto forte. Tutta Abbadia viene sequestrata dalle forze di polizia; centinaia di persone sono arrestate e bastonate a lungo (Lelio Basso ne trarrà lo spunto per un saggio sulla tortura). Qualcuno confessa quello di cui è accusato, per evitare altre botte e intanto Scelba attua la sua soluzione finale: in tutta Italia sono proibite le manifestazioni; avvenimenti, veri e supposti, proteste, assembramenti sono enfatizzati dal governo per mostrare che si tratta di un piano insurrezionale e che una repressione eccezionale è necessaria.
Luglio 1948 - Perquisizioni ad Abbadia San Salvatore
Quella che serve è una copertura giornalistica e la offre un settimanale allora in voga, “l'Europeo”, che accompagna con cronisti e fotografi una serie di false operazioni di polizia, dando loro una parvenza di verità. Tutto questo appare nel documentario, e la nostra ricostruzione non rende l'evidenza e l'emozione del filmato. Adesso tocca a Basso, a Umberto Terracini e ad altri giuristi e avvocati che si uniscono in un'organizzazione che chiamano Solidarietà democratica. Si assiste inoltre a un fitto dialogo tra giuristi di oggi, come Canestrini o Smuraglia e gli avvenimenti e i protagonisti di allora. La linea di Basso, avvocato abilissimo, è quella di fare contemporaneamente un processo politico, un processo alla volontà antidemocratica del governo e un processo tecnico alle storture del procedimento, ai falsi testimoni, alle indebite pressioni degli inquirenti. Da tutti e due i punti di vista, spiegano Canestrini e Smuraglia, il risultato è un modello che negli anni seguenti si cercherà di imitare. E intanto sentiamo i testimoni di allora che rievocano con orgoglio e tristezza le loro vite spezzate da anni di carcere. Uno - la cronaca è davvero senza fantasia - si chiama Fausto Coppi. Al processo che si svolge a Lucca, è condannato a due anni e mezzo di carcere. Un altro, condannato a 29 mesi, nel ricordo, è sereno: era imputato di insurrezione armata, ma è stato condannato per blocco stradale e sequestro di persona. «In verità non ho fatto né blocchi né sequestri. Non ero in paese il 14 luglio. Ma almeno ho evitato l'accusa di insurrezione».
La difesa tecnica e politica di Basso è riuscita a degradare l'accusa, a far scattare le attenuanti, a introdurre dubbi nelle teste dei giudici, nei resoconti dei giornali. A mostrare che i rischi maggiori non erano quelli di un inesistente moto insurrezionale che nessuno aveva architettato, ma una probabile, imminente perdita della democrazia, appena conquistata. Il processo ai moti dell'Amiata servì tra l'altro a sventarla.

“il manifesto”, 21 novembre 2003.11.21
Luglio 1948 - Gli arresti sul Monte Amiata
Postilla
C’è una lievissima imprecisione nell’articolo del “manifesto”. Nella zona delle operazioni non vi furono più cronisti del settimanale “l’Europeo” autorizzati a muoversi, ma uno solo – insieme a un gruppo di fotografi -, Tommaso Besozzi, che due anni più tardi sarebbe stato il primo a smontare la messa in scena organizzata per l’uccisione di Salvatore Giuliano, a Castelvetrano.
Il periodico “L’Europeo” che da alcuni anni si ripubblica per le edizioni RCS, prima come bimestrale poi come mensile, è una sorta di antologia dell’antico settimanale. Ristampando nel numero I del 2006 l’articolo di Besozzi la redazione aggiunge – onestamente – una nota a difesa che lascia trapelare, anche dopo molti anni, un grande imbarazzo. L’articolo, infatti, ha tutta l’aria di una montatura, costruita con lo scopo di avallare la tesi di una insurrezione preordinata e organizzata dai comunisti.
Gli argomenti a difesa usati dal nuovo “Europeo” (immaginiamo dal direttore Protti, che però non firma) sono deboli: i morti – scrive - furono entrambi tra le forze dell’ordine e Besozzi (d’accordo col suo direttore Arrigo Benedetti) fu poi lo sbugiardatore della polizia di Scelba alla morte di Giuliano. Questo merito indiscutibile non è una garanzia per tutto quello che il giornalista aveva fatto prima e avrebbe fatto dopo. C’è peraltro una rivelazione di Protti che comprova l’unilateralità del servizio giornalistico: una grandissima parte del materiale fotografico rimase inutilizzato, proprio quello – aggiungo io - che avrebbe documentato la durezza della repressione. Una parte, dissepolta dagli archivi, è stata usata proprio a corredare la ripubblicazione del 2006. (S.L.L.)  

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