14.11.12

In sala di proiezione. Il desiderio segreto di Mussolini (di Luigi Freddi)

Luigi Freddi (il primo a sinistra) con Benito Mussolini
in visita ai terreni prescelti per la costruzione di Cinecittà
Tra i cosiddetti “gerarchi di celluloide”, cioè i caporioni fascisti che si occupavano di cinema, Luigi Freddi ebbe certamente il suo peso, prima come “direttore generale della cinematografia, poi come vicepresidente e presidente di Cinecittà. Sul finire degli anni Quaranta, a guerra finita e fascismo sconfitto, pubblicò un volume, Il cinema. Miti esperienze e realtà di un regime totalitario, in cui tracciava un bilancio, senza nulla rinnegare. Criticava anzi “l’iniquo memorialismo” di certi suoi ex camerati, che frugando “nelle tombe e fra i relitti di un tempo che fu”, hanno ottenuto il “risultato di lordare se stessi”. Secondo lo storico Claudio Carabba, che utilizza Freddi come fonte, “quando in qualche pagina gli capita di rievocare i memorabili incontri con Benito medesimo in persona, gli addirittura spunta la lacrima sul ciglio” (Il cinema del ventennio nero, Vallecchi 1974). Nel brano che segue, che racconta del duce osservatore puntuale e pignolo dei propagandistici Cinegiornali prodotti settimanalmente dall’Istituto LUCE, l’affetto per Mussolini assume una nota ironica e confidenziale, ma la conclusione aneddotica lo mostra come l’uomo che “ha sempre ragione” (giusto lo slogan escogitato da Leo Longanesi). (S.L.L.)

Ogni martedì il Presidente dell'Istituto LUCE portava al Duce i giornali che venivano visionati nella sala di proiezione.
Le scene che più gli piacevano, nei documentari di attualità, erano quelle che riguardavano il pattinaggio sul ghiaccio. Allora non sapeva trattenere esclamazioni di meraviglia e di ammirazione di fronte alla perizia ed all'eleganza di certe esibizioni. Io credo che Mussolini non abbia mai desiderato di essere un altro. Se una volta può averci pensato, ha desiderato certo di essere Sonia Henie!
Altre scene che lo interessavano erano quelle riguardanti le corse al trotto. Forse ciò derivava dalla sua origine romagnola: in Romagna, infatti, questo sport suscita addirittura il fanatismo.
Una volta mi permisi di osservare che, in fatto di corse di cavalli, mi pareva che fossero da preferire quelle al galoppo, dove l'impeto non ha freni e lo sforzo fisico dell'animale e l'abilità del fantino devono raggiungere il massimo rendimento. Mi gratificò d'uno sguardo che pareva dire: «Non capisci niente!». Alla fine della proiezione ritornò inaspettatamente sull'argomento, generalizzandolo: «È dove c'è una remora che la volontà e la capacità si provano!».

In Claudio Carabba, Il cinema nel ventennio nero, Vallecchi, 1974)

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