11.10.12

Un viaggiatore arabo nella Sicilia normanna (Stefano Malatesta)


Disegno di Bruno Caruso
La dolce vita di Guglielmo il Buono
L’Oriente è una vecchia passione per gii occidentali, mille volte descritto e raccontato. Conosciamo invece poco dei repertorio letterario sull'Occidente, visto con gli occhi dell'Oriente. Adesso Sellerio ripropone dopo oltre 50 anni «Viaggio in Spagna, Sicilia Siria e Palestina. Mesopotamia, Arabia, Egitto», (con illustrazione di Bruno Caruso) di Ibn Gubayr, un viaggiatore arabo-spagnolo della fine del XII secolo. Miniera aperta al plagio di scrittori arabi ed europei, il libro è stato ampiamente copiato dai maggiori viaggiatori musulmani del Medioevo, da al Abdari al famoso Ibn Balliteli Conosciuto in Europa solo all'inizio dell'Ottocento, venne ripresa dallo storico siciliano Michele Amari, che l'ha considerato una fonte primaria per la conoscenza della corte normanna in Sicilia.
La nave su cui viaggia Ibn Gubayr arriva in vista dell'isola alla fine del 1184, passando davanti al "Monte di fuoco" (l'Etna). Ma all'altezza di Messina il mare s'ingrossa e i musulmani sono costretti a chiedere aiuto ai rumi, ai cristiani della città. « Restammo meravigliati », racconta ibn Gubayr, «quando sentimmo che questo re rumi era rimasto ad osservare i musulmani poveri che stavano a guardare dalla nave e non avevano di che pagare lo sbarco, perocché i padroni delle barche alzavano le pretese per metterli in salvo. Egli dunque, informatosi del caso loro, fece dare a quei poveretti cento ruba'i di sua moneta perché potessero scendere a terra ». Più tardi lo stesso re rumi s'informa di persona sullo stato e sulla situazione dei naufraghi: « Se così non era, di certo si sarebbe fatto man bassa su quanto era sul legno e forse sarebbero stati fatti prigionieri tutti i musulmani che vi si trovavano ».
Il re rumi è Guglielmo II d'Altavilla detto «il Buono ». Cento anni dopo la conquista normanna, in un periodo in cui la civiltà occidentale sta diventando progressivamente sempre più intollerante, la Sicilia appare, in parte anche agli occhi di un seguace dell'Islam, come un'oasi di quiete, prosperità e comprensione. « Il re di questo popolo è ammirabile per la sua buona condotta e per il suo avvalersi dell'opera dei musulmani, e nel tenere al servizio giovani eunuchi i quali tutti, o almeno la maggior parte, mantengono in segreto la loro credenza e stanno attaccati alla legge dell'Islam. Ripone molta fiducia nei musulmani e si affida a loro nelle sue faccende e nelle cose più gravi, al segno che il sovrintendente della cucina è un musulmano. Dispone di un corpo di schiavi negri musulmani retti da un qa'id. Fanno da visir e da ciambellani i paggi suoi di cui ha un numero grande; costoro sono i pubblici ufficiali del regno e hanno titolo di cortigiani. E non c'è reame della Cristianità dove il re « meni vita più molle, più deliziosa e più comoda di qui. Rassomiglia ai musulmani per il vivere immerso nei godimenti del regnare, per l'ordinamento legislativo, per il cerimoniale, per la distribuzione dei gradi nei suoi ottimati, per il rispetto alla maestà del reame e la pompa sua manifesta ».
Anche se non aveva raggiunto una fusione tra le razze, la Sicilia norman¬na era un grande punto d'incontro di culture. Vesti bizantine — ricorda lo storico inglese Denis Mack Smith — erano ricamate con iscrizioni arabe e indossate da potentati anglo-normanni. Edifici dei tipo della basilica latina erano sormontati da cupole greche e tappezzati internamente da sontuosi mosaici, mentre artigiani arabi progettavano le decorazioni per le chiese cristiane, scegliendo soggetti tratti da temi esoterici della mitologia persiana. (Nell'abbazia di Monreale la navata è latina, le colonne sono moresche e i duecento capitelli hanno subito l'influsso di artisti toscani, pugliesi, bizantini, arabi e provenzali) Le lingue usate a Corte erano il francese e il latino, ma Guglielmo — dice Ibn Gubayr — sa leggere e scrivere l'«arabo».
La capitale del regno era al Madinah, chiamata Palermo dai cristiani. Qualche anno prima un altro grande viaggiatore e geografo musulmano, al-Idrìsi, l'aveva definita « la più grande e la più bella metropoli del mondo e le sue bellezze sono infinite... Tutt'intorno alla città vi sono abbondanti corsi d'acqua ed ogni genere di frutti, i suoi edifici abbagliano lo sguardo, le sue difese sono inespugnabili ».
Ma anche per la Sicilia il momento della grandezza e della tolleranza sta per finire. E di questi mutamenti Ibn Gubayr, prima di lasciare l'isola, coglie i primi segni: lo sfruttamento del lavoro degli arabi, le forti tasse a cui sono sottoposti. Inoltre, « tra le prove più dure a cui è messa la popolazione di Sicilia è che ogni volta che l'uomo si adira col figliolo o con la moglie, o la donna con la figliola e la persona contro cui si sono sdegnati va per dispetto a rifugiarsi in una chiesa, questa persona è fatta cristiana e battezzata, e il padre non ha più modo di riavere il figliolo, né la madre la figliola. Essi di continuo devono andare cauti colla famiglia e coi figlioli per timore di trovarsi a tale stretta ». Pochi anni dopo migliaia di musulmani perseguitati, anche per le loro ribellioni contro il governo normanno, cominceranno ad abbandonare la Sicilia, lasciando l'interno spopolato e incolto: l'inizio di un lunghissimo periodo di declino.

“la Repubblica” (nel mio ritaglio manca la data, ma 1980).

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