7.10.12

Che fine ha fatto il processo a Galileo (di Domenico Del Rio)

In un vecchio articolo di “Repubblica” c’è una spiegazione del perché, nonostante le postume e oltremodo tardive riabilitazioni, gli uomini del Vaticano, così precisi, e papa Ratzinger, che viene dritto dritto dal Sant’Uffizio, non siano in grado di procedere alla revisione del processo a Galileo. Ma forse l’orribile sorte ottocentesca delle carte processuali potrebbe essere stata in qualche modo incoraggiata dall’altissimo per cancellare tracce d’abominio. Oppure la loro macerazione potrebbe essere un’invenzione recente degli archivisti papalini per continuare a nascondere una storia ignominiosa. (S.L.L.)   

Galileo Galilei
 Vergogna, signor Sabatier!
La revisione del processo a Galileo non si farà. Non si può fare. Infatti, non esistono più gli atti processuali del Sant'Uffizio del 1633. Sono finiti al macero per mano del cartaio parigino Sabatier nel giugno del 1817. Ad assicurarsi che i documenti fossero "ridotti in minuti pezzi" c'era il Cameriere segreto di Sua Santità, monsignor Marino Marini, inviato apposta dal cardinale Consalvi nella capitale francese per recuperare le carte degli archivi vaticani, asportate dalle truppe napoleoniche. E' quanto si viene a sapere dal recentissimo volume I documenti del processo di Galileo, edito dalla Pontificia Accademia delle Scienze (Ex Aedibus Academicis in Civitate Vaticana, MCMLXXXIV, pagg. XXVII-280, lire 35.000).
Il volume pubblica, in pratica, documenti già conosciuti dagli studiosi. Li presenta con estremo rigore filologico, con grande maestria archivistica, come si addice agli esperti vaticani. I curatori, Sergio M. Pagano e Antonio G. Luciani, hanno rovistato minuziosamente nei "fondi" dell' Archivio segreto vaticano, della Biblioteca apostolica, delle antiche Congregazioni del Sant' Uffizio e dell' Indice. Tutti gli incartamenti superstiti che riguardano Galileo e che si trovano in Vaticano sono presentati qui: corrispondenze varie, estratti di altri documenti, sunti, pareri, comunicazioni di vescovi e di inquisitori, ecc.
Ma gli atti del processo non ci sono. E' una storia che nell' introduzione al volume viene ampiamente raccontata. Tutto si incentra su un volume indicato come Codice del processo di Galileo, che ha peregrinato per vari archivi vaticani e che contiene appunto i documenti pubblicati ora. Si tratta soltanto, in verità, di una parziale raccolta di alcuni documenti tolti dai fascicoli del processo vero e proprio e messi insieme ad uso della Congregazione dell'Indice. E tutti a pensare, invece, che lì si trovasse per intero la documentazione processuale. Tutti a tener d'occhio quel volume, catalogato per la precisione col n. 1181, per poterlo riavere, dopo che sotto Napoleone era andato a finire a Parigi. Nell'estate 1810, mentre veniva trafugato e portato in Francia l' intero archivio del Sant' Uffizio, depositato alla rinfusa dentro casse di legno, il volume n. 1181 ebbe, invece, un trattamento particolare: "Venne spedito in un apposito pacco all' imperatore o piuttosto al suo ministro dei Culti, il conte Bigot de Prèameneu, insieme ad altre reliquie archivistiche quali il Liber diurnus vaticano, i rotoli pergamenacei dei processi dei Templari e la Bolla di scomunica contro Napoleone". Il prezioso volume fu esaminato dal bibliotecario imperiale Antoine Alexandre Barbier, che propose all' imperatore di pubblicarlo: "La publication des ces pièces est digne du règne de Votre Majestè".
Del progetto poi non si fece nulla. Dopo l' abdicazione di Napoleone (11 aprile 1814), il re Luigi XVIII ordinò di restituire al papa i suoi archivi. Monsignor Marini, inviato a Parigi, si preoccupò subito del cosiddetto volume del processo. Ne chiese notizie al conte di Blacas, Maestro della casa reale, che disse di averlo visto nella biblioteca di palazzo, ma con una scusa o l' altra tentennò a consegnarlo all' ansioso monsignore, finché arrivarono i Cento giorni. Marini si affrettò a ritornare in Italia. Caduto per la seconda volta Napoleone, il monsignore fu rimandato di nuovo nella capitale francese in cerca del volume e di tutte le altre carte degli archivi vaticani. Chiese notizie al conte de Pradel, che aveva sostituito il Blacas, ma non riuscì a saper nulla. Si affrettò allora a recuperare un primo grosso blocco di documenti vari e li spedì a Roma, via terra, su dei carri. Lasciò a Parigi, a continuare l' opera, il conte Giulio Ginnasi e se ne ritornò in Vaticano, dove fu nominato Cameriere segreto di Sua Santità con una pensione annua di 120 scudi. Il Ginnasi, che d'archivi era piuttosto inesperto, raccolse tutto quello che potè e lo inviò a Roma, in un migliaio di casse, con quattro convogli. Ma poiché la Segreteria di Stato aveva dato ordine di liberarsi delle carte inutili, per risparmiare sul carico e sulla spesa, il Ginnasi aveva venduto ai pizzicagnoli parigini i registri delle Bolle papali della Camera e della Dataria Apostolica. Il Marini corse a Parigi e dai negozianti riuscì a recuperarne 2.400. Ma anche il monsignore, che pur era così bravo, fece la sua bella sciocchezza. Sempre per ubbidire all' ordine della Segreteria di Stato di risparmiare sulla spesa, "vendeva a un fabbricante di carta parigino, un tale Sabatier, parecchi volumi dei processi del Sant'Uffizio e molti altri pacchi di Mandata e Iura diversa per il prezzo di 458 franchi; altri 2.600 volumi di processi dell' Inquisizione furono da lui venduti per 4.000 scudi circa, ed anzi egli volle che fossero ridotti in minuti pezzi in sua presenza. Queste operazioni portarono il totale dei volumi contenenti processi inquisitoriali distrutti a 4.158".
Ed è qui che viene avanzata l' ipotesi degli attuali curatori vaticani: "E' facile ipotizzare, fra le perdite (supposto che fra la serie dei processi vi fossero pure i fascicoli galileiani del Sant'Offizio), anche quella del materiale documentario concernente i rapporti fra Galileo e l' Inquisizione, se non addirittura quasi tutti gli atti processuali; doveva essere del resto convinzione diffusa che le memorie del processo fossero contenute unicamente nel volume tanto gelosamente custodito". Il quale volume finalmente venne fuori, ma solo nel 1843. Il conte di Blacas, che frattanto era diventato duca, se l' era tenuto per sé. Alla sua morte, avvenuta appunto nel 1843, la vedova lo trovò fra le carte del defunto duca e, più scrupolosa del marito, lo fece pervenire al Vaticano. Dove attualmente si trova all' Armadio X della Miscellanea dell' Archivio segreto, col numero 204. Ma i curatori vaticani che ora l' hanno pubblicato, così precisi nella loro scienza archivistica, gli hanno dato un titolo un po' ambiguo. L' hanno intitolato I documenti del processo di Galileo Galilei.
Non sono "i" documenti. Sono alcuni documenti. Gli atti processuali veri e propri sono stati probabilmente macerati dal signor Sabatier, cartaio parigino, nell' anno 1817, su incauta ordinazione di un monsignore vaticano.

“la Repubblica”, 6 luglio 1984

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il processo di Galileo Galilei assomiglia a quello subito da Gesù? Galileo oltre una somiglianza funzionale aveva in quel momento anche una somiglianza fisica con Gesù di Nazaret? Cfr. Ebook (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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