18.7.12

Il pesce che non sa di pesce (di Ettore Tibaldi).

L'ultima parte di un articolo sul mercato ittico del Tronchetto, a Venezia, con indicazioni per gli appassionati e gli acquirenti universalmente valide, dalla Vucciria al porto di Licata ad Aci Trezza. (S.L.L.)
Il pesce non sa, e non deve, sapere di pesce.
La scoperta può sembrare stupefacente, e in questo senso lo è. Quello che è comunemente riconosciuto come odore di pesce può essere ammesso per definire le caratteristiche di alcune preparazioni a base di pesce (cotto, salato, essiccato, affumicato…) ma non può e non deve essere accettato come caratteristica ideale per il pesce destinato al consumo. Gli esperti si esprimono in modo molto più tecnico di quanto io non abbia riferito, ma in termini semplici la questione può essere affermata proprio così.
Credo che sia del tutto opportuno aderire e adottare questo criterio di giudizio, non solo perché è in accordo con le diverse “scale” del gusto adottate dagli esperti assaggiatori, ma anche perché proviene da un ambiente nel quale sono state sviluppate esperienze di altissimo livello. Ho visto personalmente un tecnico capace di “testare” in punta di lingua un trancio di tonno surgelato e di indicare attraverso una sensazione piccante la presenza di istamina (un mediatore chimico che, tra l’altro, è presente nelle carni di pesci che abbiano subito stress immediatamente prima o dopo la morte), poi confermata regolarmente da più impegnative e costose analisi chimiche. Le papille gustative sono ben più sensibili di qualunque strumentazione chimica per giudicare la qualità di un pesce, che semmai può avere odore salmastro (10 punti) o di mollusco, oppure fruttato (9 punti) o neutro (8 punti): quando inizia a saper di pesce (ma anche di muffa, aglio, topo, pepe) sarà bene evitarlo..

“il manifesto” supplemento alimentazione – Giugno 2004

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