21.6.12

Caste e matrimoni (di Elisabetta Barbieri)

L’articolo è tratto dal “Giornale”, ma, pur tra fatalismi e giustificazionismi, illustra una verità sempre più evidente. Neppure il matrimonio funziona più come fattore di mobilità sociale e di rimescolamento tra ceti e classi. L’Italia (e non solo) tende a ridiventare una società castale e non parlo del ceto politico che, invece, non è una casta. (S.L.L.)
Qualche tempo fa, sul Financial Times, Lucy Kellaway sosteneva che sia molto impegnativo mantenere un patrimonio sostanzioso: anzi, sorprendentemente (parole sue) è più difficile che conquistarselo dal nulla.
È più facile diventare milionari che restarlo, ha decretato la bibbia della finanza (è forse una specie di consolazione per chi è a secco?). E potrà anche essere vero, in quelle stanze dove si respira aria di grandi affari, transazioni anzi, ma dalle parti dei comuni mortali, non nella City ma in town, giù, coi piedi per terra, e anche un po' più a sud di Londra (si sa che si è sempre più a sud di qualcuno), in Italia, i grandi patrimoni pare che si conservino benissimo, e si incrementino pure molto, molto meglio di quelli ancora da creare.
Lo dice l'Ocse, che ha pubblicato un rapporto su «crisi e disuguaglianze economiche» e racconta che nel nostro Paese la disparità fra i redditi aumenta, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, molto più che negli anni Novanta. Ma soprattutto non è solo questione di soldi: è la «mobilità sociale» a essere in realtà immobile. E la chiave è il matrimonio: di fronte alla crisi molti decidono di sposare qualcuno economicamente simile, cioè l'operaio sposa l'operaia, l'impiegato l'impiegata, il dirigente la dirigente, il milionario la milionaria, altro che Cenerentola, e Pretty Woman, e tutte quelle favole che forse funzionano in tempi di vacche grasse, non quando il mondo, Wall Street, lo spread e perfino l'Europa ti mettono alle strette. Spiega Stefano Scarpetta, vicedirettore della sezione Lavoro e politiche sociali dell'Ocse all'agenzia Ansa: «In Italia, come in altri Paesi occidentali, i ricchi si sposano con i ricchi. E spesso il professore si sposa con il professore, il medico con il medico e così via». La storia del resto è andata avanti così: i patrizi coi patrizi, i plebei coi plebei, gli aristocratici con gli altri nobili (e attenzione ai titoli, alle terre, agli antenati) e poi, nel Novecento, intellettuali, artisti, commercianti, manager, imprenditori, cumenda, borghesi alti bassi e medi, insegnanti, dottori, politici, artisti, avvocati, magistrati. È anche con le nozze che la ricchezza si accentra nei conti in banca di pochi, ed è per accumulare sempre di più che ci si sposa con chi promette (economicamente) bene.
Dicono che l'Italia abbia riscoperto le caste, come quelle dell'India dai sacerdoti giù giù in fondo fino agli intoccabili, ma appunto è una ri-scoperta, il mescolamento nella scala sociale è un sogno americano, ma solo se tutto funziona alla grande. Altrimenti il romanticismo si dimentica in fretta, è solo un passatempo da adolescenti, da ragazze rimaste a Jane Austen. Le cifre dell'Ocse dicono che lo stipendio medio di quel dieci per cento di persone più ricche sia oltre dieci volte rispetto a quello del dieci per cento più povero, 49.300 euro contro 4.877, mentre alla fine del secolo scorso il rapporto era di otto a uno. Le nozze fanno parte del gioco, perché è più sicuro e più facile sposare chi abbia un reddito simile, cioè anche lo stesso stile di vita, le stesse conoscenze, le stesse abitudini e frequentazioni. Sempre che si ritenga necessario controllare l'estratto conto, prima di legarsi per sempre.

"Il Giornale" 3 gennaio 2012

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