28.6.12

1791. La rivolta degli schiavi a San Domingo (Massimiliano Santoro)

Vincent Ogé
LA COLONIA DELL’EGALITÉ.
Nell'ottobre 1790 il mulatto Vincent Ogé sbarca a Santo Domingo per imporre, con le idee o con la forza, l'applicazione della Dichiarazione dei diritti alla gens de couleur libres. Giovane, ricco, istruito, Ogé aveva vissuto a Parigi i primi momenti rivoluzionari all'ombra della Società des Amis des Noirs di Gregoire, Brissot, Condorcet. Alla Grande Rivière, dove Ogé raduna un migliaio di mulatti con un discorso infuocato, hanno luogo i primi scontri con i coloni bianchi, che temono ogni riferimento anche indiretto alla Dichiarazione dei Diritti come una minaccia alla loro prosperità. Il 31 ottobre, dopo l'uccisione di un bianco e di due soldati, Ogé fugge nella parte spagnola dell'isola. Verrà giustiziato il 9 febbraio '91, ma ormai le idee della Dichiarazione dei Diritti si sono diffuse tra i mulatti.
Ancora nel 1790 Santo Domingo è la più ricca colonia francese, forse tra le più ricche colonie europee di tutti i tempi. Grande come il Belgio, la parte francese dell'isola di Hispaniola assicura alla Francia i 3/4 della produzione mondiale di zucchero e ne alimenta 1 /3 del commercio estero. Possiede 800 zuccherifici, 3117 caffetterie, 789 cotonifici, 3151 colorifici, 370 forni a caldo, 16.000 cavalli, 12.000 capi di bestiame: un giro d'affari di 200 milioni di lire tornesi. Un governatore di nomina regia e un intendente l'amministrano; un consiglio superiore della magistratura svolge la funzione di parlamento sovrano in un regime di limitata autonomia nel quale l'esclusiva del commercio con la metropoli regola le leggi economiche.

L'aristocrazia razziale
Più di 500 mila schiavi lavorano per assicurare alla metropoli le derrate coloniali che la crisi finanziaria del decennio 1780-90 rende ancora più preziose. Tra il 1783 e il 1789 la produzione di zucchero raddoppia. E cresce il numero degli schiavi: nel 1771 ne venivano importati 10.000 all'anno, 27.000 nell'86, più di 50.000 nell'89 quando la popolazione di schiavi nati in Africa supera i creoli. Aumenta anche la gens de couleur libres: 12.000 nel 1780; 28.000 nel 1789.
Ma a fronte di una tale produzione di derrate coloniali, quella di alimentari per il consumo interno è insufficiente: la colonia importa tutto dalla metropoli o, di contrabbando, dalle colonie limitrofe. Tutto è sacrificato allo zucchero. 30.000 coloni bianchi sono al vertice di un universo gerarchico chiuso, in cui l'aristocrazia della pelle rappresenta il limite invalicabile di un sistema razziale che nega per sempre ai discendenti di schiavi, per quanto indiretti, la dignità di essere umano. Un Code Noir, promulgato nel 1685 - riconfermato nel 1724 e aggiornato poi da una magistratura locale più legata ai coloni bianchi che non alla metropoli - impone restrizioni razziali che sanciscono un regime ben lontano dal modello di stato aristocratico illuminato del XVIII secolo.
La popolazione della colonia è distinta in tre classi. La prima, intoccabile, dei bianchi, tutti uguali, perché tutti possono accedere a cariche pubbliche, proprietà e privilegi. La seconda, i mulatti, suddivisa all'interno in una gerarchia genetica che distingue a seconda della vicinanza o meno al seme bianco. Spesso liberi da più generazioni e, talvolta, di pelle bianca, i mulatti rappresentano quasi un terzo nella gerarchia coloniale: intraprendenti e dinamici, proprietari di piantagioni e schiavi, non sono concessi loro né cariche pubbliche né una vita sociale comune con i bianchi. Le leggi della colonia impongono loro un abbigliamento modesto e un nome africano, perché nessuno dimentichi la loro origine. Terza classe: gli schiavi. Una linea invisibile separa la prima classe dalle altre due e per quanto vicino possa essere un mulatto a un bianco non potrà mai essere considerato come tale. Pregiudizio necessario alla stabilità sociale della colonia: su di esso si basa la superiorità dei bianchi che giustifica la schiavitù.
Ma pure i bianchi non sono uniti al loro interno. Quando, nel settembre 1789, giunge a Le Cap la notizia della Rivoluzione si dividono in due fazioni: i Petits blancs, commercianti, intendenti, piccolo borghesi, artigiani fanno proprie le prime rivendicazioni del Terzo Stato, pur nell'ostinazione di una separazione razziale contro i mulatti; i Grands blancs, proprietari di terre e ricchi burocrati, si schierano con il governatore per l'Ancien Régime, timorosi che la Rivoluzione possa attentare al sistema schiavista. Con il progredire della rivoluzione metropolitana e l'affermazione dei petits blancs, ai quali si aggregano, progressivamente, i proprietari di terra residenti in colonia, l'ostilità verso le gens de couleur libres si accentua: spesso benestanti, a volte più ricchi dei petits blancs, in netta ascesa economica, i mulatti rappresentano una minaccia crescente. Concedere loro diritti avrebbe significato rinunciare alla superiorità razziale; non concederli avrebbe potuto spingere i mulatti a fare fronte comune con gli schiavi. L'indecisione porterà i coloni alla rovina: attaccati da tutti i lati saranno incapaci di trovare una soluzione politica al problema.
In questo clima di conflittualità crescente, il 23 agosto 1791, esplode la rivolta degli schiavi. L'insurrezione ha inizio nelle mornes intorno a Cap-Francais e da qui dilaga nelle pianure del nord: in soli otto giorni più di 800 zuccherifici e 600 caffetterie vengono distrutti. A fine agosto solo Le Cap resiste alla furia della rivolta: dentro la città i bianchi torturano e uccidono i neri che cadono nelle loro mani; fuori, i neri massacrano i bianchi rimasti a difendere le piantagioni. Quando Bouk-mann, il grande capo della rivolta, viene catturato, decapitato ed esposto sulla pubblica piazza, i neri si dividono in due grosse bande agli ordini di Biassou e di Jean-Francois. Ma l'insurrezione perde parte dello slancio iniziale e i bianchi riescono a circoscrivere la ribellione fortificando alcune piantagioni dell'ovest. In tale fase di stallo il nero Toussaint Louverture decide di partecipare all'insurrezione agli ordini del'incerto Biassou.
Tussaint L'Ouverture
Un uomo chiamato Toussaint
Colto e consapevole dei valori della cultura bianca, il vecchio schiavo unisce al carisma del capo la prudenza di chi conosce il potere dei coloni. L'opera di riorganizzazione e addestramento degli schiavi trasforma i gruppi disordinati di Biassou e Jean Francois in un esercito più strutturato. Nel resto della colonia i mulatti continuano a combattere i bianchi, non esitando a servirsi dei loro schiavi per prevalere.
Quando, il 25 luglio 1792 i commissari coloniali Sonthonax, Polverel e Ailhaud si imbarcano per Santo Domingo - al comando di 6.000 soldati per riportare l'ordine e far applicare il decreto del marzo 1792 che concede ai mulatti l'eguaglianza giuridica - la colonia è ormai un territorio diviso in zone dominate da bianchi, neri e mulatti: a nord i coloni bianchi contendono a Toussaint il possesso delle grandi pianure; a ovest il predominio dei mulatti di Rigaud e Beauvais, che hanno occupato Port Au Prince è incontrastato. A sud una nuova insurrezione di schiavi sta guadagnando terreno.
La proclamazione della Repubblica e la dichiarazione di guerra contro Spagna e Inghilterra sono nuovi elementi di turbamento: molti coloni schiavisti passano agli inglesi pur di difendere il loro mondo. I capi ribelli Toussaint, Jean Francois e Biassou si arruolano nell'esercito spagnolo in cambio di una promessa di libertà. Nel settembre 1792 Martinica e Guadalupa proclamano l'indipendenza e innalzano la coccarda bianca; nel giugno 1793 il governatore Galbaud fugge da Santo Domingo con un gruppo di coloni monarchici. Grazie al blocco navale inglese, l'isola rimane isolata. Davanti all'ipotesi di un'occupazione, con le istituzioni locali allo sbando, il commissario Sonthonax proclama l'abolizione della schiavitù e del Code Noir nei territori del nord sotto la sua autorità. Il16 piovoso, anno II, (4 febbraio 1794): «La convenzione Nazionale dichiara abolita la schiavitù in tutte le colonie. Tutti gli uomini, senza distinzione di colore, residenti in dette colonie, sono dunque cittadini francesi. Come tali, godono di tutti i diritti assicurati in forza della costituzione».
Nel giugno 1794, giunge a Santo Domingo la notizia del decreto, mutandone radicalmente il panorama politico: petits e grands blancs cessano di costituire un blocco politico-militare compatto, mentre i neri accrescono enormemente il loro potere, finalmente riconosciuti come uomini liberi. Solo allora Toussaint sposa la causa della Rivoluzione Francese e giura fedeltà alla Repubblica. Dopo 5 anni di guerra contro bianchi, mulatti, francesi, inglesi, spagnoli; allontanati Sonthonax e Polverel, sconfitto il generale Hedouville, si siederà sulla poltrona di governatore (1798), dittatore incontrastato di quello che rimane di Santo Domingo.
Come uomo politico Toussaint si dimostra deciso e autoritario; prudente con i bianchi di cui sa di non poter fare a meno per la ricostruzione della colonia; irremovibile con i neri che costringe a un lavoro duro e disciplinato nelle piantagioni che già avevano coltivato da schiavi. Vera utopia coloniale, già a suo tempo auspicata da Philosophes e Phisiocrates, la politica tentata da Toussaint L'Ouverture si scontra la diffidenza dei bianchi, che non credono alle promesse del governatore, e il rancore dei neri che, costretti ad abbandonare colture più redditizie, lavorano poco e malvolentieri. L'equilibrio economico-sociale che ne deriva   genera malcontento dall'una e dall'altra parte. E il Direttorio diffida dell'ascesa politica di Toussaint e teme le velleità indipendentistiche dei neri, mentre gli interessi economici del paese impongono una rivalutazione del problema coloniale e un riavvicinamento con commercianti atlantici e grands blancs rifugiati in Francia. Il 5 novembre 1797 Toussaint invia al Direttorio una lettera accusando i proprietari bianchi di connivenza con gli inglesi e minaccia una resistenza a oltranza nei confronti di chiunque cerchi di ripristinare la schiavitù a Santo Domingo. Il 21 gennaio 1800 Toussaint prende possesso della parte spagnola dell'isola e divide la colonia in 8 dipartimenti sotto il suo controllo. Di fatto è una dichiarazione d'indipendenza.  Ma la Francia consolare non è disposta a tollerare il nuovo corso, né un governatore nero che rifiuta qualunque dipendenza politica.
Tra il novembre e il dicembre 1801 salpano dalla Francia 94 navi, un'armata di 35.000 soldati al comando di Leclerc, cognato di Bonaparte.
Sarà una disfatta. In un anno moriranno i nove decimi degli effettivi, per le imboscate o l'epidemia di febbre gialla. Quando, il 2 novembre 1802, Leclerc soccombe alla malattia le truppe francesi che, pure erano riuscite a deportare in Francia Toussaint L'Ouverture, non sono più in grado di sostenere la situazione. Il 9 novembre 1803 Dessailine proclama l'indipendenza di Haiti; entro la fine dell'anno non un solo bianco sopravviverà al terrore che accompagna la nascita del nuovo stato.
La relazione che lega le colonie alla Rivoluzione, la Rivoluzione all'insurrezione dei mulatti, l'insurrezione dei mulatti alla rivolta degli schiavi è evidente. Un evento condiziona l'altro, sconvolge la vita della colonia, fino all'abolizione della schiavitù a cui nessuno pensava nelle prime giornate rivoluzionarie. Tra il 1789 e il '94 la questione delle colonie e dei diritti dei mulatti viene dibattuta all'Assemblea Nazionale ma pochi sembrano conoscere a fondo il problema.
La questione della validità per i neri liberi della Dichiarazione dei diritti, era stata posta per la prima volta il 22 ottobre 1789 da una delegazione di mulatti che aveva chiesto all'Assemblea l'applicazione della Dichiarazione dei diritti a tutti gli uomini liberi. Avevano ottenuto applausi e promesse. Il 2 marzo 1790 si decide di demandare la soluzione a una Commissione per le colonie, presieduta da Barnave, un Amis des Noirs della prima ora la cui posizione è netta. La Francia ha bisogno delle colonie, è necessario preservare il monopolio del commercio della borghesia francese sulle colonie per portare a termine con successo la Rivoluzione. Per questo occorre non urtare i coloni, ostili a questo monopolio, sulla questione dei mulatti ma, anzi, concedere loro piena autonomia. L'Assemblea accetta. Si arriva, il 15 maggio 1791, a sancire il diritto di voto dei mulatti nati da genitori liberi. Ma il decreto non verrà mai applicato e il 24 settembre è annullato.
Ma si sarebbe potuto fare altrimenti? Si poteva correre il rischio scontentando i coloni bianchi, di una secessione delle colonie? Ancora nel 1791 solo pochi conoscono con precisione la situazione di Santo Domingo e costoro sono contro qualunque apertura ai mulatti, timorosi di rompere il delicato equilibrio politico-razziale esistente in colonia prima della rivoluzione. II dibattito si trascina per anni e quando il 24 marzo 1792, l'Assemblea nazionale decreta l'eguaglianza giuridica dei mulatti è tardi.
Tra il 1789 e il 1792 si sono sviluppati a Santo Domingo tre diversi movimenti politici che non vengono compresi, in Francia: i petits blancs hanno sposato la causa della rivoluzione con l'intento di abolire l'esclusiva ed espropriare i mulatti; i proprietari mulatti ritenendo di avere ottenuto dall'Assemblea nazionale la piena eguaglianza giuridica sono insorti per ottenere l'applicazione a loro vantaggio della Dichiarazione dei diritti; gli schiavi si son ribellati contro la schiavitù disgregando così l'edificio economico della colonia.
General Leclerc
Un potere d'argilla
L'insurrezione dell'agosto 1791, è un movimento spontaneo che raccoglie malcontento e rancore accumulati in anni di schiavitù e diviene un inarrestabile fenomeno rivoluzionario in virtù della fragilità delle strutture di gestione di un potere, quello dei bianchi, tanto solido sul piano simbolico quanto fragile su quello politico e sociale. I coloni, che avevano basato la loro forza sulla convinzione di un privilegio razziale, riconosciuto da neri e mulatti, non sono più in grado infatti, dopo l'89, di sostituire questo privilegio se non facendo ricorso alle armi, infine impotenti di fronte a una massa di schiavi venti volte superiore. Immagine allo specchio di un'aristocrazia genetica nella quale ritrovare una nobile origine, l'idea della razza era, fino all'arrivo della Dichiarazione dei diritti, radicata in ogni uomo di Santo Domingo, e, in questo senso, coloni bianchi e mulatti avevano l'obiettivo comune di affermare la propria superiorità, in un mondo che comunque dell'Ancien Régime non aveva più nulla: la piantagione aveva preso il posto della signoria, la produzione del consumo, l'industria dell'agricoltura. In un attimo la Dichiarazione dei Diritti muta la semiologia del potere di Santo Domingo e ne scardina la base aristocratico-razziale sulla quale i coloni hanno puntato per controllare, con poche centinaia di soldati bianchi, più di mezzo milione di schiavi: non più privilegi e aristocrazia, ma libertà economica, eguaglianza giuridica, fraternità. Sono i coloni che per primi colgono la portata universale della Dichiarazione e tentano, con ogni mezzo, di impedirne ogni lettura; sono i mulatti che ne reclamano i benefici e, non ottenendoli, insorgono contro i petits blancs. Ma il delicato equilibrio   sociale   è incrinato. Quando gli schiavi rompono le catene, il meccanismo elitario sul quale si basa il potere dei bianchi è già in decomposizione perché privato, appunto, di quei princìpi aristocratici dai quali trovava fondamento.

“il manifesto”, 31 agosto 1991

1 commento:

Suma Qamaña ha detto...

Non esistono schiavi ma esseri umani schiavizzati.

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