29.5.12

Il fascismo antiborghese (di Antonio Baglio)

Quella che segue è la recensione a un libro di Thomas Buzzegoli, La polemica antiborghese nel fascismo (1937-1939), pubblicato con la prefazione di Gianpasquale Santomassimo da Aracne di Roma nel 2007. E' tratta dal sito della Società italiana per la storia contemporanea e utile, nella sua brevità, a ricordare un passaggio importante dell' "Italia proletaria e fascista".
(S.L.L.)
Il figlio unico, acquarello di P.Pullini esposto
alla Mostra Antiborghese del PNF, 1940 
Tra le battaglie promosse dal regime fascista nella fase di «accentuazione totalitaria» degli ultimi anni '30, la campagna antiborghese occupa un posto non secondario. Lungi, infatti, dal ridursi ai semplici provvedimenti di abolizione del lei in favore del voi o all'introduzione del passo romano, la cui pedissequa «traduzione» di segno staraciano era destinata a destare ilarità e ad assumere a tratti toni macchiettistici, la polemica antiborghese rivelava radici più profonde.

Sulla ricostruzione di questa campagna, sugli obiettivi ed i risvolti nell'opinione pubblica si sofferma il volume di Buzzegoli, avvalendosi di una corposa documentazione archivistica incentrata sulle carte del PNF e del Minculpop e di uno spoglio accurato della pubblicistica di regime. La polemica fu, infatti, veicolata dal PNF e dalle sue organizzazioni di massa, i GUF e i sindacati in particolare, con ampio risalto e dispiegamento di mezzi propagandistici.
Ben radicata nel sentimento di molti fascisti della prima ora, la questione antiborghese, sopita per il noto sostegno tributato dalla piccola e media borghesia al regime, sarebbe riemersa nell'ultimo scorcio degli anni '30. L'obiettivo - e, diciamo pure, l'ossessione - di incidere sul carattere ed il costume degli italiani in direzione della loro fascistizzazione portava ad un attacco diretto alla mentalità borghese («spirito di soddisfazione e di adattamento, tendenza allo scetticismo, al compromesso, alla vita comoda, al carrierismo») ed ai valori che esprimeva, considerati antitetici rispetto alla morale fascista. La ricostruzione della campagna attraverso le riviste di regime consente di seguire i termini e le sfumature di un dibattito che chiamava in causa la borghesia principalmente come categoria politico-morale. Si preferì evitare l'attribuzione alla polemica di una specifica caratterizzazione politico-sociale, anche se fu inevitabile l'emergere in ristretti ambiti d'interpretazioni «radicali» (come nel caso della posizione di Berto Ricci su «Gerarchia» e nel volume Processo alla borghesia) e di accenti anticapitalistici. Dalla critica ai valori borghesi all'attacco alla razza ebraica il passo era breve: la questione antiborghese tendeva ad assumere una valenza razzista-antisemita. Ed è proprio su questo terreno d'incontro/innesto con la campagna razziale che la polemica avrebbe assunto toni ben più seri ed inquietanti.
L'ambito di ricezione privilegiato della campagna antiborghese fu rappresentato dal settore dei giovani, per la carica contestataria connaturata al fattore generazionale. Proprio nella seconda parte del volume, ampio spazio è riservato alla coniugazione della campagna antiborghese sul versante dei GUF.
Nel complesso, il lavoro di Buzzegoli si muove lungo le coordinate ben definite tracciate dalla ricostruzione defeliciana della questione, con l'innesto delle suggestioni interpretative provenienti dagli studi più recenti in tema di GUF (si veda il documentato saggio di La Rovere). Un aspetto originale della ricerca è dato dall'aver gettato luce sull'umorismo antiborghese e sulle ossessioni della stampa fascista.

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