28.4.12

Saffo creativa (di Maria Corti)

Che ci sia oggi in tutti i paesi d'Europa, e non solo d'Europa, un esplodere del genere «biografia», non è notizia nuova, anche se il fenomeno attende di essere approfondito e motivato in chiave socio-culturale. Fra i vari possibili modi di scrivere una biografia due fondamentalmente prendono spicco: la biografia storico-erudita (o saggistica in forma biografica) e la biografia creativa (o invenzione in forma biografica); in questa, i documenti noti o scoperti divengono materiale per una personalissima decodifica ad opera di un artista (unico caso in cui l'operazione è concepibile).
In Italia, forse per la dominante antica tradizione filologica, il secondo tipo suscita sospetto, disagio, rifiuto, analoghi a quelli riservati alla lettura dell'opera di un artista da parte di un altro artista; anche se si sa benissimo come ad Ezra Pound e a Eliot, per esempio, dobbiamo illuminazioni sui poeti dello Stilnovo introvabili in saggi degli addetti ai lavori. Un esempio? Lo scrittore svedese Olof Lagercrants ha pubblicato una sua sottile lettura della Commedia di Dante, tradotta negli Stati Uniti (From Hell to Paradise, New York 1966), in Germania e in altri paesi europei, non in Italia.
Si accoglie con piacere, quindi, il libro del poeta Grytzko Mascioni, Saffo (Rusconi, pagg. 270), presentato da Lidia Storoni Mazzolani, la quale con acume definisce in poche parole l'operazione dell'autore: di ogni momento lirico o narrativo della poesia di Saffo egli «ha immaginato lo spunto». Una lettura della storia, dei possibili referenti solo in funzione della poesia, a suo servizio e specchio, a sua interrogazione e potenziamento.

Suggestiva immaginazione
Direi che Mascioni ce l'ha fatta: dentro il lettore resta qualcosa di significativo che non c'era prima e i messaggi di Saffo, i pochi conturbanti e luminosi frammenti si potenziano, acquistano il mirabile spessore di ciò che ha dietro a sé una «tranche de vie». Questo può succedere perché gli autori di biografie di questo tipo il loro libro lo hanno vissuto, non solo scritto. Mi viene alla mente al proposito ciò che diceva Le Sage, autore del Gil Blas: «Credetemi, gli studiosi devono sempre rispettare le persone dotate di natura artistica, anche se hanno seri motivi per lamentarsene».
Mascioni ha lavorato a due livelli: quello del contesto geografico, storico-sociale, economico delle isole dell'Egeo, e di Lesbo in particolare, e quello della poesia del tempo, con attenzione alle probabili letture di Saffo (da Omero ed Esiodo a Callino di Efeso, Mimnermo, Alcmane, Archiloco, l'amico Alceo). Pertinente il rimando alla Yourcenar là dove, nella Vita di Adriano, la scrittrice afferma che non è possibile conoscere bene qualcuno se non si conosce la sua biblioteca.
A entrambi i livelli Mascioni proietta sulle fonti, lette e citate in un ricco apparato di note, una suggestiva forza di immaginazione. È lui stesso a scrivere nelle iniziali «istruzioni per l'uso»: «Ci si muove nella zona del probabile, non dell' assolutamente certo; e se l'autore si prende qualche libertà interpretativa, lo fa nel quadro che le testimonianze consentono». Un esempio di tale tecnica può essere la resa dell'incontro, ben probabile ma non documentato, fra Saffo e Alceo al santuario di Mésson, situato a circa quattro miglia da Pirra dove Alceo era in esilio. Il tutto conferma la nostra, per così dire, catalogazione del libro fra le «biografie creative».

Più verde dell'erba
Le traduzioni dei testi di Saffo e dei vari poeti entrati nel discorso sono dello stesso Mascioni e mi sembrano belle. Se mai, qualche volta è il testo prosastico ad essere un tantino enfatico, là dove il lirismo prende la mano allo scrittore e gli gioca il tiro di trasferire alla sua prosa i moduli e gli stilemi alti della lirica classica; ma è capitato anche a Quasimodo e prima ancora a Carducci. Per fortuna, qui accade di rado.
Una biografia costruita in funzione del personaggio poetico in quanto riflesso nella poesia ha un sicuro dato al suo attivo, rispetto alla biografia storico-erudita: falciando gli elementi secondari, eliminando fasi intermedie del quotidiano e ricucendo sopra i vuoti, tale biografia opera un po' come la poesia epica rispetto alla storia, sostituisce alla catena del tempo reale quella, a minori anelli, del tempo culturale. Le cose risultano semplificate, ma nette; non si conoscerà il vasellame di Pìttaco, signore di Lesbo, né il numero delle scolare di Saffo, né i passi delle loro danze, ma l'essenziale c'è: da un lato, la visione di un'epoca di crisi e rinnovamento seguita al crollo della società a direzione aristocratica; d'altro lato, il ruolo di Saffo e degli altri poeti dentro questa società nuova che scopre nella vita come nell'arte i valori individuali e primi fra tutti i valori lirici.
Va detto però che la parte migliore del libro è quella in cui Mascioni dà sfondi e commenti alla poesia d'amore di Saffo, agli itinerari lirici e drammatici della sua omosessualità in una cultura isolana che accettava della omosessualità maschile e femminile la codificazione sociale, ma non ne contemplava l'inquietante uso lirico e drammatico impersonato da Saffo.
Senza esitazioni e senza compiacimenti Mascioni riesce a rendere la profonda impressione di solitudine che emana dai frammenti lirici di Saffo e si ripete col ripetersi delle avventure d'amore tutte vertiginose, rimbalzando a ogni fine su lei. Uno scenario per divinità diviene l'amore, dove le scene, perché divine, sono rinnovabili all'infinito. Persino dello sposo di Anattoria, la fanciulla amata sino alla disperazione, Saffo dirà: «Simile agli dei mi appare / colui che innanzi a te / siede e da presso / t'ascolta mentre parli dolcemente / e affettuosa sorridi». Ma la visione della divinità, come è noto, porta morte: «M'inonda il sudore e tremando / mi faccio più verde dell'erba. / E poco, mi manca a morire». Le fanciulle amate da Saffo e descritte come dolci e bellissime formano un coro terribilmente drammatico, prima ancora del dramma.
Era difficile trattare questi temi con elegante misura, poiché solo una sottile tramezza separa la sublime Saffo dalla rozza Andromeda e dalla furba Atthis. Mascioni c'è riuscito e qui ogni arabesco scompare dalla sua prosa; vi è rimasto così il riflesso di una storia remota, ma che Saffo stessa sapeva immortalare: «il ricordo di me ne sono certa / rivivrà nella mente di qualcuno». Saffo ha dato alle inquiete vicende della sua vita quella forma di giovinezza eterna che un giorno vide nelle fanciulle di Lesbo.

“La Repubblica”, s.i.d. (ma 1982)

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