21.2.12

La rosa rossa di Teheran. 1974, il poeta comunista assassinato dallo scià.

Khosro Golesoskhi
In rete non trovo che poche, labili tracce della vicenda di Khosro Golesorkhi, il poeta marxista che il regime dello scià condannò a morte in un processo che si svolse nel 1974 a Teheran, di fronte a un tribunale militare.
Delle sue poesie e dell’ultima parte della sua storia conservo memoria grazie a un ritaglio del 31 agosto 1988, dal quotidiano comunista “il manifesto”. Come ultimo articolo della serie Processo ai processi sotto il titolo Un poeta contro lo schah, viene pubblicato un resoconto del processo che vide la condanna di Golesorkhi, inframmezzato da brevi testi poetici dello stesso. Il pezzo è firmato Said, evidentemente uno pseudonimo, e una postilla avverte che ne esiste anche una versione tedesca.
Golesorkhi fu giustiziato di notte, il 18 febbraio. Non era quello il primo dei processi politici organizzati dagli sgherri di Rezha Palhevi conclusi con la soppressione degli accusati, la novità consisteva nella sua pubblicità, cui il regime era stato costretto dalla pressione internazionale. L’accusa era “cospirazione terroristica”. I dodici, quasi tutti intellettuali, secondo l’accusa, progettavano il sequestro della regina Farah Diba e del principe ereditario durante un festival cinematografico, in cui alcuni di loro avevano possibilità di accesso e movimento in quanto registi. Grazie a questo sequestro essi intendevano ottenere la liberazione di numerosi prigionieri politici. Un’altra accusa si riferiva al progetto di uccisione dello scià durante le sue vacanze invernali a St. Moritz, per il quale alcuni accusati si sarebbero procurati armi.
Le prove erano labili per tutti gli accusati: oltre al ritrovamento di una sola arma in casa di uno di loro, le ammissioni di alcuni appartenenti al gruppo. In regimi come quello dello scià è del tutto evidente che le ammissioni potevano essere estorte con la tortura. Quanto alla mancanza di armi sufficienti a compiere il sequestro, gl’inquisitori sopperivano con l’accenno di uno dei rei confessi che “sarebbero dovute arrivare dall’estero”, ove per estero si intendeva soprattutto l’Unione sovietica. Questo delle armi dall’estero era, del resto, una sorta di ritornello nei processi politici intentati dai tribunali militari di Rezha Palhevi.
Le accuse erano ancora più fragili contro Golesorkhi, personaggio noto, popolare per la sua poesia e l’inflessibile opposizione: a suo carico c’era solo la testimonianza di una donna che in passato aveva fatto parte del suo circolo marxista. Coinvolgere Golesorkhi era assai importante per il regime serviva a mettere in causa marxismo e comunismo, collegandoli al terrorismo.
Il poeta accettò la sfida del regime con vigore. Ho trovato in rete un blog in italiano nel quale un democratico iraniano parlando di coraggio come “virtù sociale” scrive: “Un italiano può anche non saperlo e non immaginarlo. Un iraniano che ha visto Khosro Golesorkhi, intellettuale alto 1.60 per 60 chili, battersi come un leone per mettere sotto accusa il re anziché difendersi in un tribunale che lo stava condannando a morte per crimini non commessi, chi ha visto questa scena dicevo dovrebbe avere idee molto più realistiche sulle forme in cui il "coraggio" si manifesta”. (http://abolrish.blogspot.com/2010/02/un-errore-di-valutazione.html ).
Si trova in rete qualche video costruito con foto del processo, in cui il sonoro è costituito dalla registrazione delle dichiarazioni di Golesorkhi durante il processo, un vero e proprio atto d’accusa contro quel “subimperialismo” del Pavone assai potente per i proventi del petrolio e l’appoggio incondizionato degli Usa. (http://www.youtube.com/watch?v=lz84RQZg9lQ )
L’articolo del “manifesto” da quelle dichiarazioni riprende alcuni importanti passaggi che trascrivo più avanti come appendice. Qui giova ricordare che Golesorckhi era nato nel 1944 e aveva al tempo del processo trent’anni.
Non c’è scritto nell’articolo come il poeta venne “giustiziato”, ma penso di non sbagliare se ipotizzo l’impiccagione, che dai boia di quelle parti è il sistema di assassinio legale preferito.
Quando Golesorkhi fu ucciso, la sua giovane moglie era in prigione e il figlio, di soli tre anni, fu adottato da parenti. Il discorso di Golesorkhi di fronte al tribunale, le sue poesie, le sue critiche sferzanti, ma soprattutto il suo inflessibile coraggio fecero di lui un simbolo nazionale. Golesorchi vuol dire «rosa rossa».
Il giorno della sua esecuzione, migliaia di persone a Teheran, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle università, portarono una rosa rossa all'occhiello. Molti insegnanti e professori osservarono con i loro allievi un minuto di silenzio in ricordo del poeta assassinato. Le enormi proporzioni di questa testimonianza popolare sorprese a tal punto la Savak che non fu in grado di intervenire : tante persone, tante rose, non potevano essere arrestate.
Appendice.
Le dichiarazioni di Khosro Golesorkhi
In  nome del popolo iraniano oppresso, la società iraniana  deve venire a sapere che io vengo qui condannato per le mie idee marxiste. Poiché sono qui presenti anche dei giornalisti stranieri dichiaro di protestare contro quest’accusa e contro questo verdetto di fronte a tutte le istanze giuridiche del mondo. Questo tribu­nale non si è nemmeno data la pena di leggere gli atti che mi riguardano...».
«Qui, in questo processo, di fronte al popolo iraniano, non voglio pietire per la mia vita. Voglio difendere il mio popolo e i miei ideali. Io sono un marxista e Marx dice: in una socie­tà di classe da una parte si accumu­la la ricchezza, mentre dall'altra cresce la miseria; ed è proprio la classe sfruttata che produce ogni ricchezza... E la classe dominante cerca con ogni mezzo di mantenere il potere. Uno di questi mezzi è la giustizia politica.
La giustizia politica in Iran non ha bisogno di prove, né di atti pro­cessuali; le dichiarazioni della poli­zia e le confessioni strappate sotto tortura le sono pienamente sufficienti. Io stesso sono un buon esem­pio di tutto questo.
Fui arrestato nel marzo del 1973 con l'accusa di avere fondato un rag­gruppamento marxista, benché la Savak, la polizia segreta, non avesse trovato nelle abitazioni di nessuno di noi libri, materiali o altro che potes­sero suffragare l’accusa. Fui brutal­mente torturato, fino a urinare san­gue. Poi fui trasferito in un'altra pri­gione, dove fui interrogato di nuovo per mesi, fino a che non fui rinviato a giudizio con un'altra accusa: co­spirazione contro la persona dello schah. Non conoscevo neanche la metà degli accusati di appartenere a questo presunto gruppo. Qui, in questa sala, li ho visti per la prima volta. Questa è la giustizia politica in Iran…».
« Signor presidente, le prigioni di questo paese sono piene di giovani, il cui unico delitto consiste nel fatto che pensano con la propria testa, o che, forse, leggono libri. Tribunali come questo li hanno condannati a lunghissime pene detentive. Questi giovani, quando vengono rilasciati e escono di prigione, non prendono più in mano libri, ma armi…».
«Il vostro regime spende milioni per un apparato culturale la cui unica attività consiste nel sequestrare i libri e nell'arrestare i loro autori, traduttori ed editori. Signor presidente, lei e il suo sistema mi ricordano 1'Inquisizione cattolica…».
« Signor presidente, il signor pubblico ministero sta difendendo qui la riforma agraria. Basta questo a dimostrare che qui non si tratta di altro che di un tribunale,politico. Ma, in questo caso, permetta anche a me di dire qualche cosa in breve di questa riforma agraria. Che cosa ci ha portato questa riforma agraria? In primo luogo ha servito a preparare la strada perché la nostra società diventasse dipendente dai consumi, dipendente dalla sovrapproduzione dei paesi imperialisti di inutili articoli di lusso. L’imperialismo ha appoggiato quelle riforme che avrebbero potuto ostacolare e frenare la rivoluzione delle masse”. (A questo punto il presidente del tribunale lo interrompe: “Non si metta a raccontarci favole e pensi a difendere sé stesso”)
«A proposito della mia personale difesa non ho nulla da dire. Qui voglio difendere il mio popolo e i miei ideali».
«Signor presidente, la storia di tutte le rivoluzioni dimostra che perfino la più grande potenza può essere sconfitta da un popolo deciso. Uno sguardo al Vietnam, al Laos, alla Cambogia e al movimento rivoluzionario palestinese...» (Di nuovo il presidente lo interrompe : «Venga alla conclusione della sua difesa!»)
«Signor presidente, così come stanno qui le cose, è la classe dirigente iraniana che deve preparare la sua difesa finale. Perché prima o poi questa classe si troverà di fronte a un tribunale rivoluzionario del popolo iraniano».

1 commento:

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

Grazie, Salvatore, grazie di cuore per avermi fatto conoscere questo coraggioso compagno.

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