19.1.12

De Sica a Hollywood

Abitavo in un albergo da Mille e una notte, circondato da un parco meraviglioso. Mi pare che si chiamasse “Bel Air”. Mi ci aveva messo Hughes, come una cocotte. Passano quattro o cinque giorni e Hughes non si fa vivo. Comincio a telefonare. Mi dicono di aver pazienza, perché Hughes sta sperimentando un nuovo tipo di aereo militare. Mi sento in una prigione, dorata quanto volete. Altre telefonate. Ai segretari di Hughes dico che sono venuto lì per lavorare. Meravigliatissimi, un po’ seccati dicono:”Faccia il bagno in piscina”. “Non sono venuto per fare il bagno”, dico io. Poi cedo e vado in piscina: un giorno, due giorni. La gente mi guarda perché sono bianco come un latticino e io mi scoccio. Poi di nuovo non so cosa fare. Ricordo il dramma di una domenica pomeriggio. Solo come un cane, con una gran malinconia addosso, mi viene un desiderio pungente di vedere qualcuno. Da buon napoletano, penso che la vita non è vita se non si passeggia per una strada, e si vede gente, e si saluta e si fanno quattro chiacchiere. Mi dicono: “Guardi la televisione”. Ma io voglio incontrare gente vera, non gente della televisione, allora decido di fare una passeggiata, come si usa a Napoli e a Roma. E’ un miracolo che non sono morto. Non ci sono marciapiede, migliaia di automobile mi sfiorano, nessuno se ne va a piedi. Solo come un cane, mi tocca camminare dentro le aiuole. Mi vien voglia di gridare, di singhiozzare, di camminare carponi. E rientro all’albergo, disperato.

Da Franco Pecori, Vittorio De Sica, l’Unità/Il Castoro, 1995, pag.7

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