7.12.11

Hollywood va alla guerra. Il trionfo di Tarzan sui nazisti (Irene Bignardi, 1989)

Il 7 dicembre 1941 non fu soltanto il giorno del proditorio attacco giapponese a Pearl Harbour, il giorno in cui l'America capì che era giunto il momento di entrare in quella guerra che a lungo era stata a guardare. Fu anche il giorno in cui a Hollywood ebbe inizio un altro tipo di guerra: la guerra di celluloide, destinata a stimolare, convincere, il pubblico americano della necessità di superare quello che fino ad allora era stato lo slogan roosveltiano “Aiuti sì, guerra no”.
Accanto alla guerra ufficiale si aprì insomma un' altra guerra, quella delle idee, in cui Hollywood si trovò qualche volta ad affiancare, qualche volta a contrastare, molto spesso ad anticipare l'opinione pubblica, accortamente guidata da un ufficio creato allo scopo, l' Office of War Information, Owi, già operativo prima del coinvolgimento americano nelle operazioni belliche. La storia degli intrecci tra celluloide e opinione pubblica è raccontata nelle oltre quattrocento pagine di un libro tanto ricco di informazioni quanto minuzioso, La guerra di Hollywood - Politica, interessi e pubblicità nei film della Seconda Guerra Mondiale, scritto da Clayton R. Koppes […] e da Gregory D. Black […]
William Hays, che fu certo lo zar di Hollywood, ma meno cattivo di quanto la fama legata al suo nome oggi non faccia pensare, attivissimo nella tutela del famoso e codino codice di autocensura dell' Associazione dei produttori, aveva un bel dichiarare che scopo principale del cinema, sua funzione essenziale, è il divertimento. I due autori di La guerra di Hollywood documenti, cifre e cronache alla mano ci dimostrano che per almeno sei anni dallo scoppio della guerra in Europa sino alla fine della medesima lo scopo principale della produzione hollywoodiana fu invece la propaganda: una parola che agli anglosassoni in genere e agli americani in particolare è particolarmente odiosa, ma nell' esercizio della quale, a leggere tra le righe di questa storia, furono abili almeno quanto lo fu la cinematografia dell' Ufa o quella sovietica.
Ci furono in quegli anni, è vero, dei beati e felici film di serie B che della guerra e dei suoi riflessi sulla politica americana non s' interessavano affatto. Ma qualche segno di inquinamento anche quella distratta e inconsapevole produzione lo ha mostrato, se è vero che in Enemy Agents Meet Ellery Queen vediamo delle spie di Hitler dare la caccia a un diamante olandese, se in Yukon Patrol le Giubbe rosse si oppongono ai nazisti che vogliono impadronirsi del composto X, componente fondamentale di una nuova arma segreta, se in Phantom Plainsman i cowboys accolgono i tedeschi a revolverate, e se Johnny Weissmuller in Il trionfo di Tarzan deve fronteggiare degli agenti nazisti paracadutati nella giungla.
Per sei anni (del poi è meglio non parlare, perché fa parte di un' altra storia meno edificante, che ha il suo culmine nelle liste nere del maccartismo e in un interdetto che colpirà la Hollywood di sinistra fino ai primi anni ' 60), la produzione hollywoodiana è stata pilotata dai controlli incrociati dell' Owi e del Codice Hays. L' Owi pubblicò un manuale che veniva continuamente aggiornato a seconda degli stati d' animo politici e popolari, che informava gli studios (meno la riottosa e indipendente Paramount, che si rifiutò di sottostare a qualsiasi diktat, facendo correre così a molti suoi film il rischio di non essere esportati) circa la linea migliore per sostenere lo sforzo bellico. Tutte le sceneggiature venivano rivedute, e nelle stesse fasi di montaggio e di post-produzione erano possibili interventi anche drastici.
Vista la lunghezza dei tempi di produzione la vita di Hollywood in quegli anni risulta molto agitata. Perché, ovviamente, l' orientamento politico cambiava. Dalla fase isolazionista a quella interventista, dalla pacata tolleranza verso Hitler (che costò a Chaplin, quando diresse Il Grande dittatore, una serie di attacchi violenti destinati a sgradevoli sviluppi) a un antinazismo che distingueva tra seguaci di Hitler e tedeschi, dall' antisovietismo ideologico al filosovietismo che nacque obbligatoriamente dal rapporto di alleanza con Mosca, la guerra di Hollywood è stata tutta un ricamo di difficili distinzioni, di prese di posizione sottili, complesse e spesso goffe, nell'impossibile desiderio di piacere a tutti. Sarà stato anche vero che il cinema di quegli anni era una sorta di inconscio collettivo di tipo junghiano. Era certamente, e soprattutto, un' industria che doveva rendere, e il cui destino si decideva sui mercati esteri. Paradossalmente, i duemilacinquecento film che vennero prodotti tra il 1939 e il 1945 godettero di maggiore libertà rispetto a quelli degli anni immediatamente precedenti, almeno da quando la Germania nazista, dopo aver chiesto il licenziamento di tutti i dipendenti non ariani delle Majors, il 17 agosto 1940 chiuse le sue sale ai prodotti americani, prontamente seguita dall' Italia mussoliniana (avremmo ritrovato i film americani solo con il 1945, e, non c' è che dire, in abbondanza...). […]
L' Owi e i suoi uomini in particolare Nelson Poynter, un giornalista che si assunse il ruolo di coordinatore tra Hollywood e l' Owi fecero il possibile per incoraggiare la reazione post Pearl Harbour delle Majors, per spegnere le riposte e rimosse simpatie filonaziste, per ricordare che i sovietici erano alleati degli Stati Uniti (pochi anni dopo Hollywood avrebbe dovuto invece ricordare che erano dei pericolosi sovversivi), per sghettizzare i negri, per far conoscere l' esistenza di un bizzarro fenomeno chiamato Resistenza.
Con risultati spesso curiosi, in una gamma che va da Casablanca a La signora Miniver, da La stirpe del drago a Il sergente York, da Mission to Moscow a La luna è tramontata. Gli incidenti sull'asse Hollywood-Washington non furono pochi. A partire dai guai in cui incappò pur con tutta la sua tenacia Alfred Hitchcock con Prigionieri dell' Oceano: secondo l'Owi, il personaggio del capitano tedesco ripescato dal mare a bordo di una barca di naufraghi americani era troppo positivo e coraggioso, soprattutto se messo a confronto con gli altri personaggi democratici; così il film, grazie all' interpretazione di Walter Slezak, diventava il trionfo del nazismo sulla democrazia. Anzi, qualcuno ipotizzò che con pochi cambiamenti il film di Hitchcock avrebbe potuto essere usato come propaganda dai nazisti. Hitch dovette assecondare i machiavellismi degli strateghi del cinema, e Prigionieri dell' Oceano, che poneva la domanda di come si sarebbe dovuta trattare la Germania a guerra conclusa, ne uscì profondamente snaturato rispetto alle intenzioni iniziali. L'ultimo atto dell' Owi fu il tentativo di convincere il pubblico, con Wilson, che per la pace futura era necessario un impegno per la sicurezza collettiva simile a quello della Lega delle Nazioni di Woodrow Wilson. Fu un film sbagliato e un insuccesso. E fu anche l' ultimo exploit di un organismo dal potere inquietante, che non si era limitato a proporre modifiche al 71% dei copioni che gli erano stati sottoposti, ma aveva determinato le scelte politiche del cinema americano di quegli anni. Forse, come diceva Samuel Goldwyn, i messaggi bisogna affidarli alla posta, e non al cinema. Ma l' America, per almeno sei anni, dimenticò questa aurea massima, in un esperimento di opinion making che varrebbe la pena di approfondire anche in tempo di (relativa) pace.

Da “la Repubblica” — 14 giugno 1989

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