28.10.11

Un epicedio per Muammar Gheddafi (di Eros Barone)

Il compagno Barone, che in Lombardia sta combattendo una dura battaglia contro le persecuzioni (giudiziarie e non) della Lega di cui ha denunciato più volte le pulsioni razzistiche, ha scritto una commemorazione intensa ed entusiasta dello scomparso colonnello Gheddafi, che qui propongo.
Io non mi trovo in linea con la sua ammirazione pressoché incondizionata. Condivido l’esecrazione degli assassini del leader nazionalista libico (non importa che siano direttamente gli imperialisti bombardatori o i loro sicari indigeni) e della violenza brutale e idiota fatta al suo cadavere. Condivido la valorizzazione della sua resistenza eroica, anche come reazione verso chi ha ridotto (e tenterà di farlo nella memoria) l’immagine complessa di un Gheddafi a quella di un tiranno sanguinario, ricorrendo alla  menzogna nazisticamente ripetuta.
E tuttavia penso che i processi di liberazione dei paesi e dei popoli oppressi non avranno mai un successo duraturo finché saranno affidati al nazionalismo grande o piccolo (nel caso specifico arabo o libico). Della storia che comincia con i capi della rivolta algerina e con Nasser e dura fino a Gheddafi e oltre bisogna salvaguardare il carattere antimperialista e respingere sdegnosamente il punto di vista neocolonialistico su di essa. Ma - passato il tempo della rabbia, della commozione e dell’omaggio – a questa tradizione occorrerà rivolgere una osservazione rigorosa e impietosa, una critica marxista e internazionalista. Servirà a metterne in luce le grandezze come gli errori, i tradimenti, le contraddizioni e le miserie.  (S.L.L.)

«…dimoreranno in giardini e in mezzo a fiumi, nella pianura della verità, presso un re potentissimo.»
“Il Corano”, sura LIV, vv. 54-55. 

A proposito della morte di Gheddafi i giornali hanno riportato la notizia che il leader libico, nascondendosi in una buca come un topo, avrebbe gridato ai ribelli di non sparare. Altri giornali sostengono invece che sia rimasto vittima di un bombardamento della Nato mentre abbandonava la città di Sirte. Io propendo per questa seconda versione, perché un leone non grida e non chiede pietà nemmeno di fronte ad un fucile spianato. Un leone capace di resistere per mesi sotto una pioggia di bombe non si fa intimorire dai topi di Bengasi e di Misurata.
Gheddafi se ne è andato lottando fino all’ultimo per il suo paese e bagnando con il suo sangue la terra della patria. Berlusconi ha commentato l’evento con una frase latina, “sic transit gloria mundi”, forse pensando alla sorte che attende anche lui o forse, come è più probabile, dando prova di un cinismo raggelante (lui, che era arrivato, soltanto un anno fa, a baciare la mano di Gheddafi!). Comunque sia, se è vero che la gloria del mondo passa, è anche vero che la forza dell’esempio, il coraggio delle idee e la fedeltà ai valori anche nelle situazioni più tragiche, tutto ciò resta e ha un valore immenso.
Il ricordo di Gheddafi vivrà per sempre nella testa e nel cuore di chi non intende piegarsi ad un mondo che basa la sua arroganza sulle falsità e sulle menzogne. Gheddafi era un grande condottiero, certo non immune dalle contraddizioni tipiche dell’uomo di potere il quale, pur di salvare la nazione, non ha esitato a commettere crimini e violenze, ma sempre in nome di princìpi superiori e garantendo al suo popolo benessere e prosperità. Solo le “anime belle”, che per definizione sono stupide, possono credere che, in Libia come altrove, lo Stato si diriga coi fiori e col fioretto, anziché con la spada ed il coltello tra i denti.
Ma di coloro che hanno ucciso Gheddafi che cosa resterà? Abiezione, viltà, ignominia e scelleratezza sono i vizi di cui si sono macchiati coloro che hanno cercato prima di screditarlo e poi di eliminarlo. Immagino, allora, che, giungendo nei verdi prati del paradiso islamico solcati da ruscelli di fresca acqua e cosparsi di alberi ricolmi di frutti, Muammar Gheddafi sia stato accolto con paterna cordialità da Omar al-Mukhtiar, il “leone del deserto”, vittima del colonialismo italiano e martire della resistenza libica. Io desidero ricordarlo avvolgendo il suo corpo ferito e martoriato di combattente nel drappo dell’onore, perché là dove sono i leoni non vi è spazio per le scimmie ammaestrate o le iene ululanti.

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