5.10.11

Nuova Zelanda. I diritti delle grandi scimmie (Marinella Correggia)

Nell’archivio digitale del “manifesto” trovo l’articolo della benemerita rubrica “terra terra” nel giornale del 10 dicembre del 2000. E’ di Marinella Correggia e racconta di una conquista giuridica neozelandese: l’elevazione alla sfera dei diritti delle scimmie. La notizia è vecchia e, per quel che ne so, sul tema non si sono fatti passi avanti. Ma per fortuna neanche indietro. (S.L.L.)
La Nuova Zelanda, paese delle pecore e dei kiwi, è ora anche il primo paese al mondo dove le grandi scimmie antropomorfe hanno dei diritti: un riconoscimento di tipo morale a scimpanzé, bonobo, gorilla e orangutan. Infatti, con un emendamento alla legge per il benessere degli animali (Animal welfare act ), a quelle specie sono attribuiti i diritti "umani" primari, ovvero: a non essere private della vita, a non essere assoggettate a trattamenti crudeli e degradanti, a non essere sottoposte a sperimentazione medica o scientifica.
Finora nessun animale non umano vede riconosciuto dalla legge il diritto alla vita, cioè a non essere ucciso, o quello alla libertà. Ma qualcosa sta cambiando, a cominciare dagli animali più simili a noi: quelli appartenenti alla superfamiglia Hominoidea. Vi si collocano, insieme all'homo sapiens, il pan troglodytes (scimpanzé), il gorilla gorilla (gorilla), il pan paniscus (bonobo e scimpanzé "pigmei"), il pongo pygmaeus (orangutan). Questa superfamiglia fa parte del gruppo tassonomico più vasto dei primati, con 180 specie sopravvissute ai giorni nostri. Il gruppo, accomunato dall'assenza di coda, si distingue per un senso di sé e una complessità socioculturale che hanno molte affinità, appunto, con gli esseri umani.
La legge neozelandese è un passo importante sulla strada per vietare la cattura delle grandi scimmie antropomorfe, quasi tutte appartenenti a gruppi minacciati di estinzione. Una vittoria per il progetto "grandi scimmie antropomorfe", avviato qualche anno fa da Paola Cavalieri e da Peter Singer, noto filosofo e docente di bioetica, autore di Liberazione animale, la bibbia dell'animalismo. Il progetto, che ha attivisti o sostenitori in 30 nazioni (la descrizione, insieme a belle foto, si trova sul sito http://www.greatapeproject.org/ ), propone di estendere alle specie suindicate la "comunità degli eguali", quella all'interno della quale si accettano certi principi morali, ovvero diritti, con la coercizione della legge: diritto alla vita (dunque a non essere uccisi che in caso di forza maggiore e di autodifesa), protezione della libertà individuale (con il divieto di cattività - in circhi, zoo, gabbie varie - di esseri che non si sono resi colpevoli di crimini), proibizione della tortura. Insomma, oranghi e gorilla, scimpanzé e bonobo devono essere trattati come individui. E non per caso. Dicono i promotori: "Questi animali non umani hanno caratteristiche moralmente rilevanti, sono molto intelligenti, hanno coscienza di sé, vite emotive complesse e legami sociali e familiari forti, sanno pianificare il futuro e sono in grado di usare sistemi umani di comunicazione; fanno scherzi, esprimono desideri o sentimenti". Rispondono quindi alla definizione di persona di John Locke: "Un essere intelligente che riflette ed elabora ragionamenti, con coscienza di sé".
A chi replica che non potendo le "scimmie" essere gravate di responsabilità, non si possono accordar loro diritti similumani, Singer e Cavalieri rispondono che anche i bambini sono irresponsabili per la legge. In effetti, il Progetto non si sogna certo di rivendicare per gorilla e amici altri diritti peculiarmente umani, come il diritto di voto o simili: "Includerli nella comunità degli eguali non significa riservare loro lo stesso trattamento degli umani. Significa però rifiutare l'idea per cui le grandi scimmie antropomorfe siano subordinate agli interessi degli umani e trattate come oggetti e proprietà".
Ma c'è chi esprime riserve, anche fra gli animalisti: il progetto sarebbe anch'esso specista, semplicemente estenderebbe un po' il recinto degli eletti, ben chiuso alle altre specie meno simili all'essere umano. I promotori del progetto rispondono che la barriera della specie (per cui il diritto alla vita e alla libertà è da sempre sancito solo per l'homo sapiens, e nel passato solo per alcune classi sociali di questa specie) va smantellata poco alla volta, e da qualche parte bisogna pur cominciare (e difficilmente la Nuova Zelanda poteva cominciare dalle pecore...). Le richieste sono rivoluzionarie, e già ottenerne il riconoscimento per poche specie sarebbe un passo enorme. C'è poi chi obietta che è assurdo estendere i diritti umani ad altre specie se nemmeno gli esseri umani li vedono applicati. Ma questo è un altro discorso.

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