15.9.11

Una Padania senza pudori (di Canetta e Milanesi)

E’ un vecchio articolo, dal “manifesto” del 21 aprile 2001, di Sebastiano Canetta ed Ernesto Milanesi. Tre fatti di cronaca, con le testimonianze di protagonisti. Nudi e crudi. Senza commento. (S. L. L.)
Alessandro Montagnoli, sindaco di Oppeano
Consiglieri «fuorilegge»
Alessandro Montagnoli, 38 anni (di cui 15 trascorsi in municipio), consulente finanziario, è il sindaco di Oppeano (Verona) che all'anagrafe conta poco meno di 10 mila residenti. Ha semplicemente messo alla porta i consiglieri che non appartengono alla Lega Nord. Per lui, sono incompatibili con la funzione amministrativa. Dunque, automaticamente fuorilegge. E di conseguenza decaduti dalla carica. È l'interpretazione «federalista» dell'articolo 63 della legge 267 del 2000. Una norma che mira ad evitare il conflitto fra convenienze personali e interesse pubblico. Montagnoli, invece, l'ha applicata di fronte alla contestazione (politica e giudiziaria) della sua variante al piano regolatore. Tutto nasce con il piano urbanistico in un'area di 33.297 metri quadri a Vallese da trasformare in zona industriale. «Avevo già assegnato i lotti, trovato tre ditte pronte a impiantarsi con 300 dipendenti. Niente, loro fanno ricorso al Tar e bloccano tutto. Risultato? Un danno di un milione di euro per le casse comunali, cioè dei cittadini. Pazienza, dico. Rivedo la variante e riduco di 12 mila metri quadri l'area edificabile. Ottengo la loro approvazione in aula. Tutto bene? Macché, scopro che questi si costituiscono in giudizio. Faccio ricorso e loro controricorso. Si sono messi loro fuori dalla legge» spiega il primo cittadino di Oppeano.
Adesso è davvero guerra di carte bollate, perché Pd e Rifondazione gridano al fascista con un dossier affidato agli avvocati. «Provate voi a parlarci con Montagnoli. Nasconde i verbali del consiglio e li fa vedere solo dalle 8.30 alle 9...» commenta il consigliere Franco Bettinardi che come i colleghi non ha nessuna intenzione di subire il diktat leghista.

Immigrati anti-«sceriffi»
È andata male anche agli «sceriffi» con la stella di latta dell'Alta padovana. L'idea di sorvegliare il territorio dall'alba al tramonto con le ronde si è già dimostrata pura propaganda. Chi insiste, come a Camposampiero, finisce fuorilegge. E paradossalmente la sicurezza democratica viene garantita proprio dagli immigrati. Tant'è che la Procura della Repubblica di Padova ha chiesto il rinvio a giudizio per un assessore leghista e il comandante della Polizia locale.
Alle 6.35 del 2 settembre 2009 scatta il blitz anti-clandestini. In prima fila, l'assessore Salvatore Sciré, 48 anni, di professione maresciallo dei carabinieri. Con lui gli uomini del comandante dei vigili Gianni Tosatto, 61 anni. Suonano il campanello di un marocchino in via Giovanni XXIII, ma in casa c'è solo la moglie. «Vogliamo controllare» le dicono. La donna, forse anche un po’ intimorita, acconsente. Si replica dieci minuti dopo in via Trento e Trieste, a casa di Mady Cisseh, senegalese con regolare permesso di soggiorno. Identica richiesta, ma gli «sceriffi» restano sull'uscio. «Ho aperto la porta e spiegato: se avete un mandato potete entrate a tutte le ore, altrimenti no. Ma la cosa che mi ha fatto più male è che controllavano solo appartamenti abitati da neri. Niente da dire sui controlli, ma solo se vengono effettuati da carabinieri e polizia. Non può un assessore entrare così in casa nostra» racconta il senegalese che ha firmato l'esposto alla magistratura anche come presidente dell'associazione Japoo che riunisce i connazionali residenti nel Veneto. Il pm Paolo Luca esamina il fascicolo, dispone le necessarie verifiche e alla fine decide che sussistono gli estremi per il concorso in violazione di domicilio commessa da pubblico ufficiale. Assessore e comandante ora dovranno sottoporsi al controllo di legalità della magistratura.

Un sorpasso azzardato
Chi non riconosce a priori la Repubblica italiana è, invece, Gabriele De Pieri che abita a Loreggia (il comune a cavallo fra le province di Padova e Treviso) e si considera «presidente dello Stato di Padova». Ha 43 anni, di mestiere fa l'autista di bus, ma è noto soprattutto per i legami con Daniele Quaglia che nella Marca organizzava la polisia veneta finita nel mirino della polizia vera. Il 7 marzo alle 15.30 De Pieri era al volante della sua auto, senza cinture. Viene fermato dai carabinieri a San Giorgio delle Pertiche (Padova) per un sorpasso azzardato. E si rifiuta di riconoscere l'autorità dei militari. «Le multe non le pago. Stiamo scherzando? Non vedo perché dovrei pagarle. Sono io che casomai avanzo soldi dallo Stato italiano, come il resto del popolo veneto. Anzi, chiederò all'Unione europea il risarcimento danni. Finora, la persecuzione cui sono sottoposto da anni mi è costata 60 mila euro in avvocati», è il suo commento all'episodio. Ai carabinieri, che hanno notificato quattro violazioni del codice della strada (sorpasso su linea continua, eccesso di velocità, guida con il cellulare in mano, oltre all'assenza delle cinture), De Pieri ha opposto il suo ruolo «istituzionale» di venetista Doc. Per lui, la sola patente che vale è quella con il leone serenissimo che non abbassa la spada di fronte a Roma e Milano.

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