9.9.11

Guerra senza veli. Tucidide e l’Iraq (di Franco Montanari)

Tucidide
Franco Montanari in questo articolo del 26 luglio 2005, partendo dal metodo storico di Tucidide e da un libro di Canfora che ne riproponeva l’attualità, la metteva alla prova sui conflitti del XXI secolo. Funzionava con l’Iraq, funziona ancora di più oggi, con la Libia. Siamo ancora completamente dentro un processo che ci impedisce a tutt’oggi di comprendere fino in fondo le “cause verissime” delle guerre in atto, ma di certo sappiamo che molte delle motivazioni addotte sono poco più che pretesti, quando non sono studiate menzogne. (S.L.L.)
Pericle

Tucidide di Atene è senza dubbio il modello o almeno uno dei più importanti punti di riferimento della storiografia di ogni tempo. Uomo politico e storico, oppure storico e uomo politico (probabilmente lui non avrebbe fatto una vera distinzione fra le due cose), esponente di una famiglia aristocratica ateniese, partecipò alla vita pubblica della sua città: con straordinaria e penetrante intelligenza si rese conto della portata devastante dell'insieme di avvenimenti che sarebbe stato definito come «Guerra del Peloponneso» e ne fece l'oggetto della sua opera storica.
Le città greche, che qualche decennio prima si erano unite per respingere l'aggressione portata da Dario e da Serse e avevano difeso con successo la libertà e la cultura della Grecia dall'invasione persiana, ora - dopo mezzo secolo di confrontation - si combattevano tra loro per l'egemonia e il predominio sull'Ellade stessa. Di fronte al tentativo di invasione da Oriente, i Greci avevano potuto realizzare una certa unità di intenti: anche se l'idea di un «sentimento nazionale» è da invocare con un valore temperato per le città greche, il pericoloso avvicinarsi di Serse e del suo esercito portò nel 480 a un Congresso delle città-stato decise a resistere, in cui si proclamò la pace generale fra i Greci e si richiamarono gli esuli politici. I messaggeri di Serse che chiedevano sottomissione furono cacciati da Atene e messi a morte a Sparta. La gloriosa vittoria finale sui Persiani (479 a.C., dopo la battaglia navale di Salamina del 480) divenne per i Greci una sorta di epopea nazionale di difesa contro il barbaro, coronata da successo e tale da permettere ad Atene in seguito di rivendicare il ruolo preminente svolto nella vicenda.
L'opera di Tucidide si riallaccia a questi fatti, per arrivare a quelli contemporanei. Lo fa nel libro I della sua storia, la cui prima parte comprende brevi sezioni sulla storia più antica della Grecia e fondamentali capitoli metodologici. Ma il tema che gli interessa primariamente, l'argomento su cui vuole centrare la sua analisi e il suo racconto di osservatore e interprete, è quello che affronta nella parte successiva del testo, e cioè il mezzo secolo intercorso fra la fine delle Guerre Persiane e lo scoppio della Guerra del Peloponneso nel 431. Non meno gli interessa il modo in cui si è arrivati allo scontro, le rintracciabili linee di sviluppo in seguito alle quali, messi da parte i momenti unitari e passati i tempi dell'epopea antipersiana, Atene e Sparta dovevano inevitabilmente arrivare a una guerra decisiva per il primato: in quel cinquantennio si trovavano le spiegazioni (prima fra tutte l'espansione dell'impero ateniese e la sua volontà di dominio) del grave conflitto cui egli stesso partecipava direttamente, se non altro con la carica di stratego ateniese nel 424/23.

Ideologie contrapposte
Dopo le riforme di Clistene del 508/7, la giovane democrazia ateniese era stata minacciata da coalizioni regionali di antichi nemici, fra cui in primo piano il regime aristocratico di Sparta: ma in Atene il regime democratico si era consolidato, malgrado i problemi interni di una politica «vivace», fino all'età della cosiddetta «democrazia radicale» di Pericle. E così le due città erano diventate campione e simbolo di ideologie differenti, talvolta alleate, spesso contrapposte. Ora, di fronte agli occhi di Tucidide si dipanava ormai un doloroso periodo di guerra fra Greci, divisi in due poderose alleanze intorno a Sparta e Atene: le coste dell'Attica, che avevano visto le battaglie contro lo straniero invasore e devastatore della sacra Acropoli di Atene, vedevano ora, nei primi due anni di guerra (430-431), truppe di Greci del Peloponneso invadere e devastare la regione dei Greci di Atene.
Per Tucidide, l'analisi dei fatti è chiara: l'iniziativa della guerra è di Sparta e dei Peloponnesiaci, ma le cause profonde stanno nella crescita dell'imperialismo ateniese, che preoccupa e impaurisce gli altri, e suscita malumori per la riduzione di autonomia degli alleati. Significativo che gli oligarchi peloponnesiaci rivendicassero e proclamassero le idee di «libertà e autonomia», laddove il pesante dominio ateniese veniva accusato di legittimare la privazione di libertà degli alleati con la bandiera della demokratia. Alla fine della guerra, Atene sconfitta deve subire le condizioni del nemico: nella primavera del 404 il generale spartano Lisandro entra con la flotta nel porto del Pireo e inizia l'abbattimento delle lunghe imponenti mura che proteggevano la città e il suo porto.

Tra Atene e Roma. La canonizzazione del modello
La «questione tucididea» impegna gli studiosi da tempo: in essa si intrecciano i problemi della biografia dell'autore e quelli relativi alla nascita/formazione della sua opera come ci è pervenuta. Accanto ad essa sta l'enorme e variegato percorso della fortuna di Tucidide e della sua influenza, un capitolo essenziale della nostra storia culturale. Il recente libro di Luciano Canfora, Tucidide tra Atene e Roma (Salerno Editrice, pp. 108, euro 8), presenta con sintesi efficace diverse problematiche legate alla storiografia antica (e non solo): la composizione e pubblicazione dell'opera tucididea; le diverse redazioni antiche che circolarono anche per Roma, dove il testo deve essere pervenuto dapprima a seguito della conquista della Macedonia nel 168 a.C. e poi con Silla; l'imitazione di Tucidide in vari prosatori romani, cui fa da contraltare l'avversione del retore e storico Dionigi di Alicarnasso; la figura di Polibio «tucidideo», fino alla canonizzazione come modello, definito da Luciano di Samosata (nel II sec. d. C.) il «legislatore» del genere storiografico.
L'opera di Tucidide fu scritta tutta dopo il 404 (fine della guerra) oppure in diverse fasi successive? Canfora ritiene che almeno una prima redazione sia stata fatta procedendo di pari passo con gli avvenimenti: raccolta di materiali, abbozzi, parziali stesure «definitive» e così via. Il testo in otto libri che ci è pervenuto arriva fino al 411: si deve ritenere che Tucidide non andò oltre quell'anno? L'opera fu messa in circolazione postuma da un editore: chi era costui e quale il suo operato? Problematiche intricate, difficili da sintetizzare.
Canfora ritiene che Tucidide abbia raccolto materiali per tutta la durata del conflitto, ma non sia arrivato a rifinire tutto. L'editore del «Tucidide completo» sarebbe lo storico Senofonte, che avrebbe utilizzato materiali non rifiniti, in particolare per gli ultimi sette anni di guerra, con i quali avrebbe allestito il contenuto della prima parte della propria opera Elleniche (o Storia Greca). Sono tesi presentate con argomenti serrati e documentazione agguerrita, sui quali gli studiosi discutono, mentre rimane intatto il fascino della questione e delle ricerche che stimola.

Attualizzare i classici?
La lettura del libro di Canfora suscita il desiderio di (ri)leggere i grandi storici antichi e farsi stimolare da loro ai pensieri sulla storia, alle preoccupazioni e meraviglie di fronte allo spettacolo dei fatti umani. «Attualizzare i classici» diventa spesso una vera e propria parola d'ordine: i modi per farlo, purtroppo, portano talvolta a disarmanti sciocchezze, anacronismi inutili, misticismi dannosi. Ma l'eredità dei grandi del passato è il contrario di un blocco omogeneo e sempre uguale a se stesso, perché i «classici» sono pieni di alternative e contraddizioni, di possibilità differenti che nel corso della storia danno esiti e risultati persino opposti: a disposizione degli uomini che li conoscono e ripensano, i «classici» non sono mai soli, sono sempre insieme ad altri classici e ai contemporanei di ogni tempo. Non sono misticamente perenni né sopravviventi a fatica: sono sempre conviventi.
Allora, proviamo a fare un gioco «modernizzante». Lo storico Tucidide come analizzerebbe le guerre dei nostri giorni, poniamo la guerra in Iraq intrapresa dagli Usa con un manipolo di alleati contro lo stato iracheno?
Intanto, egli certamente capirebbe che, malgrado le dichiarazioni ufficiali, questa guerra non solo è ancora in corso, ma forse non è neppure cominciata davvero con l'attacco all'Iraq. Così come, dopo aver dichiarato di essersi messo al lavoro subito ai primi sintomi della belligeranza che stava per deflagrare, nell'evolversi dei fatti Tucidide si rese conto che si stavano verificando gli episodi e le tappe di un unico poderoso scontro fra le due grandi potenze del mondo greco di allora, Atene e Sparta, ciascuna con i suoi alleati e i suoi interessi, con oscillazioni di alleanze ed equilibri politici in movimento; e che la portata dei fatti era e diventava tale da riguardare la storia generale dei Greci. Avvertì questo malgrado il fatto che dopo il primo decennio, nel 421, fosse stata stipulata una tregua cinquantennale, la pace di Nicia; e malgrado gli anni intercorsi tra il 421 e la spedizione ateniese in Sicilia del 415-413, apparentemente un altro evento, in realtà una prosecuzione delle ostilità fra le due potenze; e poi il succedersi di vari episodi politici e bellici nell'ultima fase, conclusasi nel 404 con la resa di Atene agli Spartani, che imposero il «nuovo governo degli Ateniesi», cioè il regime oligarchico detto dei Trenta Tiranni.
Tucidide probabilmente riderebbe di cuore, o forse guarderebbe con cipiglio severo, se qualcuno gli dicesse che la guerra in Iraq è finita davvero quando è stata dichiarata conclusa e vinta: e continuerebbe a prendere nota degli avvenimenti, dei discorsi e dei documenti, per redigere un giorno la storia di tutta la vicenda bellica cui l'episodio dell'Iraq appartiene. A partire da quando, cioè da quando far iniziare una esposizione storica sullo scontro in atto in questo momento, sarebbe proprio interessante saperlo da lui. O da uno storico dei nostri tempi, degno di Tucidide ...
Il grande pensatore greco non mancherebbe di applicare agli eventi uno dei suoi più validi insegnamenti politico-storiografici, un caposaldo del suo metodo: la basilare distinzione per cui le guerre si scatenano per cause occasionali, contingenti e pretestuose, che coprono una causa profonda e «verissima» (in greco: prophasis alethestàte), per lo più inconfessata e smentita. E non importa se poi le cause contingenti si rivelano, almeno in parte, persino false o comunque non tali da giustificare i costi di una guerra devastante. Saper individuare la prophasis alethestàte è essenziale per capire quel che succede e non farsi prendere per il naso.

Cause contingenti
Sempre per gioco, poniamo che le cause contingenti e i pretesti possano essere: passare a dichiarare illegittimo un regime fino a pochi anni prima appoggiato; sostenere che il nemico possiede armi di distruzione di massa pericolose per tutto il mondo; individuare senza prove, in chi si vuole colpire, responsabilità specifiche in atti di ostilità subiti dal proprio schieramento; farsi paladini e diffusori in armi di ideali roboanti, nella realtà più o meno praticati. Poniamo che la prophasis alethestàte sia invece la sicurezza del possesso e controllo di importanti fonti di energia e giacimenti di essenziali materie prime (solo per fare un esempio del tutto inventato: il petrolio), collegate alla realizzazione di immense ricchezze e al consolidamento di un potere enorme (con qualche problema identificato con gli ideali sbandierati). Tucidide, canonizzato come storico e come interprete politico (dato che concepì la storiografia come una attività profondamente politica di interpretazione della realtà, utile per chi vuole svolgere un ruolo professionale e sociale di questo genere), con questa bella distinzione sarebbe, per così dire, andato a nozze. E non si sarebbe fatto menare per il naso a proposito della alethestàte prophasis.
Su queste strade pochi secoli dopo lo avrebbe seguito e imitato Polibio, lo storico dell'impero e dell'imperialismo di Roma. Scrive Luciano Canfora: «È qui (in Tucidide, ndr) l'antecedente vero della polibiana storia universale "organica": una storia che è universale per il coinvolgimento generale intorno a un "centro" ... qual è, per Polibio, il costituirsi e il consolidarsi del dominio di Roma sul Mediterraneo. Allo stesso modo in cui l'opera tucididea, al suo nascere prevista come "monografica" (storia di una guerra), si era venuta ampliando , insieme col dilatarsi della materia trattata, divenendo essa stessa una "storia generale" ... così l'opera polibiana aveva preso le mosse dal conflitto fra Roma e Annibale ed aveva finito non solo col dilatarsi, persino arretrando nel tempo il punto d'inizio, ma con l'assorbire monografie settoriali che lo stesso Polibio aveva dedicato a singoli conflitti».
Il Tucidide o il Polibio che racconteranno i fatti di questo nostro presente, come riconosceranno la portata generale, planetaria, di certi o certi altri episodi apparentemente confinati in un'area o un periodo? In quale episodio individueranno l'inizio delle vicende attuali, di quante e quali guerre e paci parleranno come tra loro legate, come analizzeranno la concatenazione degli eventi, come indicheranno «le cause», quale sarà nella loro visione «la causa verissima», la tucididea alethestàte prophasis?

1 commento:

Anonimo ha detto...

condivido tutto il testo e l'incipit di Salvatore ed aggiungo Non c'è dubbio che l'impero persiano era preferibile al cortile delle città-stato ateniese in perenne litigio tra di loro. Una conflittualità di cui non ho mai compreso i motivi dal momento che parlavano tutti la stessa lingua ed avevano tutti la stessa religione e lo stesso sistema sociale basato sulla schiavitù. Non non mai ravvisato diversità vera tra Atene "democratica" e Sparta "aristocratica". In che cosa consistesse la differenza tra i due sistemi non ho mai capito bene e non credo che fossero diverse davvero tra di loro. Erodoto ammirava la civiltà persiana e forse non sbagliava. Forse il corso dell'Occidente sarebbe stato altro se non si fosse creata questa alterità con la "barbarie" dei barbari.
Pietro Ancona

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