21.8.11

Il privilegio dell'arciprete. Leonardo Sciascia e la giustizia di classe.

Nel 1946 ho assistito a due processi, la cui esatta intestazione era: “infrazione alle leggi sul razionamento”. All’epoca v’erano leggi particolarmente rigorose per l’ammasso del grano: i produttori dovevano consegnare il loro raccolto a magazzini controllati dallo stato, conservando per il proprio uso personale l’equivalente di un quintale e mezzo per ogni membro della famiglia.
Naturalmente i contadini se ne tenevano di più e, quando la polizia li scopriva, l’arresto era immediato, come pure il processo.
All’epoca io ero impiegato all’Ufficio dell'Ammasso del Grano e fu a quel titolo che dovetti partecipare a due processi: il primo riguardava un contadino in case del quale erano stati trovati due o tre quintali di grano in eccedenza, l’altro un arciprete, che a sua volta era riuscito a nasconderne quindici quintali.
Il procedimento presso il tribunale di Agrigento fu rapidissimo. Il contadino venne condannato a due anni di carcere; l’arciprete venne assolto perché il suo avvocato sostenne che non era affatto un delitto l’atto consistente nel mettere da parte del grano per distribuirlo in seguito come elemosina ai poveri e agli sfortunati, ad esempio ai ricoverati negli ospedali.
Questo primo contatto con l’amministrazione della giustizia è stato per me decisivo. Due sentenze così discordanti sullo stesso reato, date nello stesso giorno e dagli stessi giudici, mi convinsero che i fori privilegiati non erano ancora finiti, nonostante la proclamata uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.

Leonardo Sciascia La Sicilia come metafora. Intervista di Marcelle Padovani, Mondadori, 1979

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