7.7.11

Maugham il cattivo (di Mario Baudino)

“La Stampa” del 2 gennaio 2011 pubblicava un profilo (più umano che letterario) di Somerset Maugham, l’autore tra il moltissimo altro de La luna e sei soldi e de Il filo del rasoio”. E’ pagina ben costruita e ottimamente scritta. Ne ripropongo qui una gran parte. (S.L.L.)


C'é una donna precocemente invecchiata che nasconde qualcosa. Sta acquattata fra le pagine di Honolulu, i primi racconti di Somerset Maugham ambientati fra le Hawaii, Sumatra, la Malesia, da poco ripubblicati per Adelphi. Ed è cosi' sgradevole, Mrs Grange, che si rischia davvero di non volerla vedere, mentre nella piantagione sperduta nella foresta narra a un antropologo il tedio e l'infelicità della sua vita accanto a un marito che non ama, in un luogo che detesta. Relitti è il titolo scelto dal traduttore italiano, ed è perfetto. Quella donna dalla pelle «consunta e secca», dai capelli arruffati e malamente tinti di un giallo vivido, squassata dai tic nervosi e goffamente truccata, è un relitto almeno quanto il marito, piantatore rovinato dalle crisi della gomma. Ha anche un terribile segreto, ma questa e' un'altra storia. Quel che la rende memorabile sono le foto della sua giovinezza, quando era un'attricetta da strapazzo, e in tutto e per tutto simile a qualcuno che lo scrittore inglese aveva conosciuto bene, anzi voleva sposare a ogni costo. Pelle chiara, lunghi capelli raccolti sul capo, occhi azzurri e fisico sensuale, si chiamava Sue Jones ed era una bella ragazza senza particolari qualità. Nel 1913 Maugham la scelse, nonostante già fosse conscio delle proprie tendenze omosessuali, e ne fu respinto: qualche anno dopo si vendicò ferocemente, alla sua maniera. Non fu certo la sola volta. In uno dei romanzi più celebri, Il fantasma nell'armadio (Cakes and Ale, del 1949), dove anche Sue Jones è ben presente, ora come personaggio positivo, mise talmente in ridicolo la figura dell'amico Hugh Walpole, scrittore molto popolare - ne ricavò Alroy Kear, fatuo emblema del perfetto imbecille - da farlo morire di crepacuore. Somerset Maugham è considerato l'uomo più malvagio e detestato del suo tempo (diciamo ben oltre la prima metà del Novecento, visto che e' nato nel 1874 e morto nel 1965, a Nizza, smisuratamente ricco, devastato dall'Alzheimer e naturalmente solo). A partire dal 1907 ha avuto successo più di chiunque altro. Nel periodo d'oro di Hollywood riuscì a battere Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, quanto a numero di film tratti dalle sue opere: 98 contro 93. Più tardi, trasferitosi sulla Costa Azzurra, mise insieme una collezione d'arte che oggi varrebbe cento milioni di dollari. Christopher Isherwood lo definì «una vecchia valigia coperta di etichette. Solo Dio sa che cosa ci sia dentro»; ma Raymond Chandler, il creatore di Marlowe, adorava i racconti dedicati all'agente segreto Ashenden (dove Maugham fa ampio uso della propria esperienza spionistica nella Prima guerra mondiale). «Non esistevano - scrisse - altre grandi spy story - nemmeno una» che potessero stare alla pari. Fu un Re Mida che molti ammiravano, nessuno amava, tutti detestavano. Non fece mai nulla per mettersi in una luce favorevole, anzi. Fu spietato senza motivo con la figlia Liza, nei cui confronti il dissoluto Gerald Haxton, l'amante segretario dello scrittore, si comportava con vero e proprio sadismo, per esempio una volta gettandole il cagnolino dal finestrino dell'auto. A 74 anni si lasciò convincere da Graham Sutherland a posare per un ritratto, e il risultato fu un quadro così sconvolgente, cattivo appunto, che lo scrittore lo acquistò non senza fatica ma poi, non riuscendo a reggerne la forza quasi demoniaca, lo sigillò in una stanza chiusa, proprio come quello di Dorian Gray nel romanzo di Wilde. L'ultimo tassello biografico viene dal lavoro di Selina Hastings, che in The secret Life of Somerset Maugham ha rivelato un particolare inedito: nel '54, quando compì 80 anni, l'editore Heinemann decise di pubblicare un libro di saggi in suo onore. Non ci riuscì, perche' i critici e gli scrittori invitati, anche quelli che sulla carta gli erano amici, si defilarono con le più svariate motivazioni. Lui non se adontò. Fino all'ultimo, anche nel pieno della demenza senile, non versò una lacrima. Era «violento come un tumore maligno», annota la pur favorevolissima biografa, e teneva fede al principio che la vita non ha senso. Lo aveva enunciato spesso, per esempio nel Filo del rasoio (del 1949), e forse per la prima volta in Acque morte (1932), altro romanzo per molti aspetti straordinario dove semmai Maugham inclina con un pizzico di curiosità verso la teoria della reincarnazione. E' l'ennesima avventura nei Mari del Sud, che rivela però in modo evidente – perché  l'autore lo spiega in una sorta di prefazione che vale un racconto - il gioco di scatole cinesi da cui uscivano i suoi libri, il modo in cui sapeva, come nessuno, «spacchettare» le storie. Questa nacque grazie a poche righe scartate da La luna e sei soldi, uno dei romanzi di maggior successo, dove si ricrea l'avventura di Paul Gauguin a Tahiti: in esse lo scrittore descriveva un capitano di mare, un querulo malvagio che non aveva paura di nessuno, salvo della moglie. Era un cattivo naturale, forse un «tumore maligno» anche lui, di cui si diceva avesse «perso» in mare un passeggero importante, ricco e in fuga, che durante la navigazione gli aveva vinto alle carte il denaro consegnato per la misteriosa crociera. Maugham intuisce che lì si nasconde un altro romanzo, e lo scrive da par suo. Ma ancora una volta compie un'operazione a lui abituale, il suo marchio di fabbrica: mette un doppio di se stesso, un medico oppiomane, come testimone e narratore; e lo lavora con una strategia più segreta. Il medico è infatti un esempio di ruvida bontà: come altri personaggi a lui simili nei libri dello scrittore britannico, cura gratis i poveracci, non ha ambizioni, vuole solo essere lasciato in pace. Capisce molto di quanto sta accadendo sul battello i cui occupanti incrocia casualmente, degli intrighi amorosi che si dipanano a terra fino alle conseguenze più catastrofiche, ma lascia che gli eventi procedano verso la tragedia senza alzare un dito. Semmai attutisce, copre, protegge i suoi interlocutori dalle conseguenze nefaste delle loro poco commendevoli azioni. Il dottore è uno strano esempio di bontà per disinteresse o per accidia, che torna in molti romanzi e racconti e ha quasi sempre un riferimento autobiografico. «Credo nell'amore, credo nell'entusiasmo... anche se sono incapace di praticarlo» disse ormai molto anziano, quasi a suggello della propria vita, al nipote Robin che lo scrisse in un libro amaro e delizioso, Conversazioni con zio Willie (di Robin Maugham, pubblicato sempre da Adelphi). Doveva considerarsi, al fondo, molto buono. Almeno quanto il principe Miskin, L'Idiota di Dostoevskij, che solo per la sua natura di uomo buono scatena, pur senza esserne toccato, il male intorno a sè. L'interpretazione di Maugham, che sembra voler riscrivere, in tutta la sua opera, questo stesso libro, è evidente: così facendo svela la malvagità del mondo, oltre che l'insensatezza della vita. L'uomo buono resta una sorta di santo, un'idea di Cristo ben presente allo scrittore, che ormai obnubilato faceva ripensando alla propria vita ironici paragoni, sul tipo: «Gesù aveva certi vantaggi che a me mancano». Un Cristo insensato a sua volta, ma non per questo meno ammirevole. Proprio come il giovane americano Laurence Durrel, Larry, che nel Filo del rasoio rifiuta la promozione sociale e un ricco matrimonio per compiere liberamente le sue esperienze in giro per il mondo, e spogliatosi di tutto sparire infine nella sterminata provincia, a vivere di un lavoro modesto. O come Walker, amministratore di un'isoletta nel Pacifico, irlandese autoritario e volgare che ama gli indigeni al modo ferocemente paternalistico dei colonizzatori; li aiuta, li protegge e li opprime. Ma quando viene assassinato, a opera del suo secondo che lo odia, muore come un santo, perdonando tutti. Walker è il protagonista di Makintosh, il primo racconto di Honolulu, scritto nel 1920. Da allora per mezzo secolo l'uomo piu' cattivo del suo tempo non avrebbe più cambiato idea. Credeva in una sola cosa, e lo spiegò come meglio non si poteva al nipote Robin: «In tutto il mondo ci sono storie meravigliose da scrivere. Basta avere le palle». 

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