1.7.11

Con la Fiom per la democrazia, contro il sindacato dei sindacalisti.

Ho postato a parte, in questo blog, un articolo di Loris Campetti scritto poco meno di due anni fa, nel novembre 2009, per il supplemento de “il manifesto” che ricorda l’autunno caldo. Ecco il link:   http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/07/sindacato-dei-delegati-dallautunno.html .
Quella di Campetti è una rievocazione che parte  dal presente e si conclude nel presente e la sua riflessione, paradossalmente, convince più oggi che nel 2009. Con la firma di Camusso dell’accordo su contratti e rappresentanza, infatti, anche la Cgil si arrende, accetta l’idea del sindacato dei sindacalisti e rompe del tutto con quella democrazia di mandato che aveva progressivamente abbandonato.
Resta la Fiom a difendere per tutti quel poco che rimane di una eredità dissipata, a difendere il diritto dei lavoratori (e non dei sindacalisti) a decidere su piattaforme, lotte, contratti, accordi che riguardano la loro vita nei luoghi di lavoro e fuori da essi. Ma proprio per questo oggi sulla Fiom la pressione sarà fortissima, con i rischi (paralleli) di un cedimento, lento ma progressivo, alla legge del più forte o di una separazione autoghettizzante.
L’alternativa, a mio avviso, c’è – ed è quella prospettata da Campetti nelle sue conclusioni - : una ripresa forte della democrazia di base e di mandato, un messaggio “consiliare” a tutte le categorie  sindacalizzate e ancora di più alle forze di lavoro non sindacalizzate. Insomma, una risposta in avanti, democratica, al tentativo di “soluzione finale”, che affidi all’avanguardia dei meccanici il ruolo di embrione di un nuovo sindacalismo, generale, confederale e di classe, e metta fine al tempo della sconfitta della rassegnazione e della resa. Una fuga in avanti? Un atto di avventurismo? Non credo proprio. La situazione è disperata e disperante; vale in tempi come questi quanto Gramsci scrisse da qualche parte: “Meglio andare avanti e morire, che restare fermi e morire lo stesso”. Un’ultima considerazione: mi aspetto molto da Nichi Vendola. Tra i politici che conservano ruolo e peso è l’unico che ha ripetuto che dalla democrazia nei luoghi di lavoro, nell’organizzazione sindacale, nella contrattazione dipende la democrazia tout court. E’ tempo di far seguire gli atti concreti alle parole alate, di sostenere esplicitamente la Fiom, la resistenza democratica che c’è in Cgil e, in misura minore, anche in Cisl e Uil, di favorire un processo di riunificazione del sindacalismo democratico e di base contro le scelte nefaste della Camusso, che con tutta probabilità troveranno una sponda nel Pd.
L’accordo Marcegaglia- Bonanni – Angelletti - Camusso (Palazzo Vidoni 2 – qualcuno lo definisce), fatto – come dice Bonanni - nell’interesse “del sistema produttivo” (cioè del capitalismo) si fonda sull’idea del “sindacato dei sindacalisti” all’americana, e non dei lavoratori. Il Pds-Ds-Pd è nato e cresciuto su un’idea a questa speculare. Il Pd si pone, infatti, non come un partito di lavoratori (manuali, intellettuali, subordinati, autonomi) che s’aggregano su comuni interessi e su un’idea egualitaria di società ed esprimono la propria dirigenza e la propria rappresentanza nel Parlamento come nelle altre assemblee elettive; ma come un partito di politicanti, che rivendica l’autonomia della politica dalla società e che si cerca “nel mercato della politica” il proprio elettorato e la propria base. A Vendola il compito di dimostrare di non essersi omologato a questo tipo di “autonomia della politica”, il dovere di fare da sponda (senza mettere cappelli) a un processo unitario di base che potrebbe essere esaltante ed è comunque decisivo per il nostro avvenire democratico. Un tempo si diceva Hic Rhodus, hic salta: “qui è Rodi, la città della danza, e qui tu devi ballare”.

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