31.5.11

Igor Mann rievoca la vecchia Catania e il calcio povero ("Specchio" - febbraio 2007)

Igor Man
Igor Man è lo pseudonimo del catanese di madre russa Igor Manlio Manzella (Catania, 9 ottobre 1922 – Roma, 16 dicembre 2009), che fu un grande giornalista, prima cronista per “Il Tempo” di Angiolillo, poi  inviato speciale specializzato in politica estera per “La Stampa” di Torino. Grande conoscitore del mondo arabo e dell'islamismo Man ha mostrato una speciale sensibilità per la questione palestinese. Sono diventate famose alcune sue interviste, al bandito Giuliano, a Kennedy e Krusciov, a Che Guevara, a Gheddafi, Khomeini e Arafat.
In questo articolo dalla sua rubrica su “Specchio”, il magazine  settimanale de “La stampa”, del febbraio 2007, Igor Man rievoca il calcio a Catania dagli anni Trenta, quelli della sua fanciullezza, fino a Massimino. Per questa via ricorda anche i tempi di una Catania dinamica e moderna, non priva di una sua piccola delinquenza, ma non oppressa dalla mafia. Aveva questa immagine Catania fino agli anni 60: nella mia fanciullezza alcuni la chiamavano la “Milano del Sud”. (S.L.L.) 
Catania 1960-61

Foot-ball, il profumo della fanciullezza
Nel Trenta le notizie correvano da bocche a orecchie: non esistevano i telefonini, né le tv né i transistor. Quando i rossazzurri giocavano a Siracusa, i tifosi si radunavano alla Zza Lisa, passaggio obbligato per le automobili dierette al centro di Catania. I più accesi fermavano le auto per domandare: “Comu finiu a partita?”. Una sera a quella domanda il conduttore d’una Ansaldo rispose: “Finì tre a zero”. I tre gol li fece il Catania vero? E lo sciagurato rispose: “No, il Siracusa”, prendendosi in faccia un copioso sputo. Questa me la raccontò il mitico Domenico Sanfilippo (“Miciu” per gli amici), lui, il fondatore-editore del quotidiano “La Sicilia” nell’immediato dopoguerra. Ero laggiù per una inchiesta sul separatismo. Un derby casalingo con il Messina aveva fatto saltare i nervi a una dozzina di “incivili”, come li definì “La Sicilia”, eran volati cazzotti, ma non ci furono tragedie come quest’ultima: l’omicidio del bravo ispettore Raciti.
Nei Trenta il Catania faceva la spola tra la A e la B. Aveva buoni giuocatori come il Biavati, ala della Nazionale. Si giuocava in piazza Giovanni Verga là dove oggi trionfa il lussuoso Excelsior a specchio di una fontana bella. Lo stadio era di legno, il pubblico dei popolari si stipava a ridosso delle porte. Il tifo era accesissimo, ma nessuno si sognò mai di gettar petardi o di irrompere negli spogliatoi. Volavano insulti, questo sì, in specie l’insulto massimo per un catanese: “Cunnutu, cornuto”. L’arbitro, in giacchetta nera, i tifosi lo lapidavano con parole-pietre come sminchiatu o jarrusu (che non traduco) Il Vecchio Cronista ricorda con struggimento lo stadio ligneo che spandeva un profumo irripetibile: un mix di linimento Sloan e di resina. (Il profumo della fanciullezza?). ragazzini col vassoi etto al collo vendevano gazzose in spesse bottigliette che si aprivano premendo una pallina e ancora fettine di cedro con sopra un pizzico di bicarbonato: lo champagne dei poveri. Poi il fascio costruì lo stadio, a Cibali. Uno stadio polisportivo dove chi scrive giuocò a rugby, sport nobile quant’altri mai perché misura l’uomo. Di quello stadio, oggi, ahimè, “inidoneo” a domar conflitti fra ultras e forze dell’ordine ricordo gli affreschi di Adele Gloria e il bellissimo manto erboso.
Nel dopoguerra il Catania venne salvato dal famoso Massimino, un imprenditore venuto dalla gavetta che molti ricordano soprattutto per la sua originale semantica. A un reporter che si congratulava per l’acquisto del centravanti Klein, il Massimino proclamò: “C’è chi può e chi non può. Io può”.
Non esistevano “ritiri”, al massimo tre giorni a san Giovanni La Punta alle falde dell’Etna. La società aveva fittato un villone immerso negli agrumeti, già ala tempo del grande allenatore magiaro Kertesz (allenò anche la Lazio di Piola) e vi dimoravano i calciatori scapoli. mangiavano à la carte da Finocchiaro, senza strafare, da bravi professionisti. E il pubblico rispettava i calciatori che regalavano splendide geometrie sul campo agli appassionati, che giuocavano senza risparmiarsi: nell’intervallo ai più provati un caffè doppio. Non intrugli o addirittura coca come oggi sempre più spesso accade un po’ dappertutto. La corruzione cresce perché la piccola delinquenza è diventata grande saldandosi alla mafia. un tempo ci volevano 12 ore di treno per raggiungere Palermo. Poi si aprì l’autostrada e i padrini invasero Catania. Un tempo terra di ingegnosi affari, di audaci valley, di abili falsari, insomma di produttori di benessere, non di cadaveri. Quando negli stadi si tornerà a prendere al calcio il pallone, non la vita?

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