2.3.11

Dal "Monologo della puttana in manicomio" (di Franca Rame)

Come introduzione al libretto di Alessandra Kollontaj Largo all’eros alato, pubblicato come supplemento del settimanale “Avvenimenti” il 26 luglio 1993, Franca Rame usò un suo copione teatrale, il Monologo della puttana in manicomio. Ne ripropongo qui una parte. (S.L.L.)
Una donna sta seduta su una sedia metallica. Ha una cuffia acustica calzata in testa, un microfono davanti alla bocca e una serie di fili che dalle caviglie e dai polsi se ne vanno dentro a un apparecchio tutto valvole e luci che si accendono e spengono intermittenza, posto al suo lato.

DONNA
Si dottoressa, la sento benissimo. Non si preoccupi, sono rilassata, soltanto mi pare di essere un robot con tutti ‘sti fili… anzi mi pare di essere sulla sedia elettrica, mi fa un’impressione! Senta, dotte oressa, non sarebbe meglio che lei venisse qui vicino a me invece di starsene là in quella specie di cabina da aeroplano? Perché io non ce la faccio a raccontare delle cose se non vedo in faccia qualcuno intanto che parlo… così mi pare di essere dentro un razzo che mi mandano sulla luna! Ma io gliela dico lo stesso la verità, non mi lascio condizionare, io. Non può? Deve stare lì a controllare sulle macchine? … Va bene, va bene, se non può… Allora da dove comincio? Da quando abbiamo bruciato la palazzina dell’industriale? No? … Prostituta? Da quando ho cominciato? Senta, dottoressa, a me prostituta non piace dire quella parola lì… prostituta, preferisco dire puttana, insomma è meglio parlar chiaro, no?
Ecco, va bene, sì, sì, ho capito. la mia prima esperienza sessuale… La prima… non la ricordo perché ero troppo piccola… me l’ha raccontata mia madre durante una scenata con mio padre… è lì che sono venuta a sapere che lui, mio padre, aveva tentato di violentarmi… ma io non mi ricordo… No, nessun trauma, io gli volevo bene a mio padre. La seconda… sì, quella… gliel’ho già raccontata. Sì, con un ragazzo su un prato dietro casa mia. L’erba aera bagnata e avevo un gran freddo al sedere. Lui era proprio imbranato. Tredici anni aveva e io dodici, per tutti e due era la prima volta che facevamo certe cose, sapevamo che i bambini nascono dalla pancia. No, niente, non ho sentito niente. Ricordo un gran male qui all’ombelico… sì… all’ombelico, perché lui credeva che fosse quello il posto dell’amore… e lui spingeva, spingeva… Gliel’ho detto che era un imbranato, avevo tutto l’ombelico infiammato. Mia madre credeva che mi fosse tornata la varicella. Sapesse… Sì che lo so che cos’è la sessualità, oeuhh, si figuri, dottoressa… Mica sono scema come sembro… Io mi sono informata, ho letto moltissimo sulla sessualità… anche libri scientifici. Così ho scoperto che noi donne ci abbiamo i punti erogeni, si dice così, vero dottoressa? Erogeni… ci abbiamo i punti erogeni per tutto il corpo, io no immaginavo che i punti sensibili di una donna fossero così tanti! Ho trovato in un libro il disegno di una donna nuda divisa in quarti… sì come quei disegni sui cartelloni della macellerie con su una vacca tutta divisa in regioni… come la carta d’Italia, con anche le province e i comuni. E ogni zona del corpo della donna, su quel libro era pitturata con colori diversi a seconda della sensibilità più o meno forte al tatto del maschio… insomma quando ti toccano. Per esempio c’è la zona dei lombi, qui, tutta dipinta di rosso, che vuol dire che è il massimo. Poi la parte qui, dietro il collo, in violetto, sa, quella parte che i salumieri chiamano “la coppa”, poi il filone della schiena che sarebbe il filetto, tutta segnata a puntini arancione. Poi più in giù lo scamone… A lo scamone è una roba… non plus ultra! Speciale… come la parte della “lonza” che pare, che se uno la sa trattare bene, la “lonza” dà dei fremiti erotici da schiattare! Quasi come farsi toccare il biancostato e la polpa di roastbeaf che poi sarebbe il muscolo “sartorio” o anche trasverso… come dire interno della coscia… o cosciotto! ha vista, dottoressa, come sono brava? so tutto della sensualità della donna io. Sì, so tutto, però sono scema, peggio: un’idiota, come dire deficiente… Ma non lo dico così per dire, dottoressa, sono una che ogni tanto va giù di rigolo… e di colpo no capisco più niente, e poi faccio delle cose che non mi ricordo più.. Eh, lo so perché me lo raccontano gli altri, dopo Eh? Che cosa mi raccontano? Ma, dottoressa, gliel’ho già detto … Devo raccontarglielo ancora. Ah, è per via della macchinetta che registra… Oh mamma, ho sentito una scossa, qui… Non è niente? Non è che mi mandate arrosto, eh? Sì, racconto. Beh, loro gli altri mi dicono che quando sono andata fuori da matta io mi sono spogliata nuda, che ho ballato nuda, che mi hanno scopata nuda… Non si dice? Come si dice? “Presa”?...  Sì, m’hanno presa, ma poi mi hanno anche scopata! Sì, sì, andiamo avanti. Chi? In quanti? Dove? Non so, non me lo ricordo, io. Io so solo che quando mi risveglio qui, in manicomio, che mi hanno imbottito di sedativi e che ho dormito epr due giorni filati, sono tutta un dolore. Mi sembra che mi abbiano dato delle gran botte… e di sicuro me le hanno date le botte… che mi ritrovo piena di lividi dappertutto! anche sulla faccia!... E che ne so io, la polizia che mi ha raccolto dice che sono caduta. No, non si trovano testimoni. Quando è arrivata la polizia, che poi mi hanno portato al Neurodeliri, non c’è mai nessuno… o se c’è qualcuno è appena arrivato… o è lì di passaggio. Ma tanto chi se ne fraga… sono una puttana , no? una puttana che ogni tanto va in crisi, fa la matta! Ma no è che faccia il pianto greco… sa, dottoressa. D’altra parte lo dicono tutti: chi è una puttana? E’ una che ha trovato la maniera di stare bene senza lavorare! Pensare che io ho lavorato, eccome! Ho fatto la serva, e mi scopavano! Ho fatto l’operaia, e anche lì… Cogliona te che ti fai scopare facile, si vede che ti piace… o stronza! No, non mi piace! Sì, lo so, è troppo facile… è comodo buttare tutta la colpa sugli uomini carogna… sbottare che è la società.. Me lo diceva anche la mia mamma: “Se una vuole essere una donna onesta, non c’è verso, si fa ammazzare, piuttosto”. Io infatti mi sono fatta ammazzare… otto ore in fabbrica più gli straordinari… ed è proprio lì che sono andata fuori da matta. La prima volta ce l’ho avuta in fabbrica: era già una settimana che mi venivano delle gran caldane… ma la “capa” mi diceva che erano tutte storie, che facevo la manfrina per farmi mettere in mutua. Così dai e dai, sono saltata per aria. Ho spaccato i vetri con un carrello, ho rovesciato i bidoni del colorante… e mi sono impiastrata tutta di pittura! E poi mi hanno raccontato che mi ero messa a ballare nuda nei corridoi… Sì, facevo lo spogliarello… negli uffici della direzione… con gli impiegati che ridevano e battevano le mani, ‘sti stronzi! Eh no, io mica me ne rendevo conto. Sì, dopo che sono uscita dalla Neuro mi hanno ricoverata qui in manicomio. E quando mi hanno licenziata dal manicomio il lavoro non ce l’avevo più. Mi avevano licenziato anche loro, i padroni. Beh, senta dottoressa, lei può pensarla come le pare, ma io glielo giuro che la puttana non la faccio mica volentieri. Guardi non ho trovato mai una che salti su a dire: “O, ma che bello fare la puttana!”. No, dicono tutte: “Mi faccio un po’ di soldi con ‘sto mestiere schifo e poi metto su un negozietto, una tabaccheria… io e il mio uomo”. Che se fosse vero, tutte le tabaccherie d’Italia dovrebbero essere gestite da puttane...

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