25.2.11

Litrillo (Dan Franck)

Bohémes è un ricco, interessante e divertente libro che nel 1998 Dan Frank, scrittore francese a tutto campo (giornalista, romanziere, sceneggiatore…), dedicò alla Parigi del primo Novecento, pubblicato nel 2000 da Garzanti con il titolo Montmarte & Montparnasse e la traduzione di Antonia Tadini Perazzoli.
Racconta del variegato mondo, artistico e non solo, che prima della Grande Guerra popolò la butte di Montmartre nella Rive Gauche e che durante e dopo il conflitto sembrò trasferirsi sull’altra sponda della Senna, nella “città aperta” di Montparnasse. Il libro raccoglie una enorme quantità di vicende umane, di aneddoti, di curiosità, tutte fortemente ancorate ai luoghi, ma, pur lavorando sulle minutaglie, sui particolari, sembra restituire l’idea complessiva di una metropoli in cui, in quel primo quarto di secolo, sembra nascere tutto il nuovo possibile non solo nelle arti. Erano infatti i luoghi in cui si ritrovavano anche figure che sembrerebbero fuori quadro (e non lo sono affatto) come Trotzkij  e Lenin.
In questo blog “posterò”, per memoria mia e forse di pochi altri, più di un frammento dallo straordinario volume che vivamente consiglio. Comincio con un brano dedicato a Maurice Utrillo (detto Litrillo). Il pittore era figlio di una ex ballerina, Suzanne Valadon da tanti ammirata e amata (tra gli altri da Miguel Utrillo che generosamente si era accollato la paternità del figlio). Fu costei, diventata pittrice (con scarso successo), ad avviare Maurice, poco più che ventenne ma già alcolista, alla pittura. (S.L.L.)

Maurice Utrillo, Chiesa in Provenza
(Suzanne) lo chiudeva in una stanza con pennelli e colori, gli dava una pila di cartoline postali e diceva: “Ti aprirò quando avrai finito”.
Quando Utrillo dipingeva, nient’altro contava per lui. Non pensava né a bere né a mangiare.
Detestava dipingere all’aperto. Gli sguardi della gente gli pesavano come una dura indiscrezione. Per non essere spiato si appoggiava a un muro. E quando insistevano, si girava verso gli importuni che finivano col battersela dietro una grandinata di insulti. Dopo qualche anno passato a recriminare contro la curiosità dei contemporanei avidi dello spettacolo della pittura, Utrillo finì per rappresentare il piccolo mondo di Montmartre prendendo come modello soltanto cartoline postali.
Francis Carco, che l’aveva visto al lavoro, ha testimoniato della calma serietà con la quale sceglieva tra le cartoline che aveva raccolto, e della cura meticolosa con la quale ingrandiva il soggetto, riportandone le misure con l’aiuto di un compasso e di un regolo sul cartone che gli serviva da supporto. Dorgelès, che gli fu amico, ha notato l’esigenza quasi morbosa con la quale il pittore teneva che ogni cosa fosse rappresentata esattamente:
La sua produzione non gli sembra mai abbastanza fedele. Conta le file di pietre, copre con cura i tetti, intonaca le facciate. Per renderne il colore spezza i tubi e si infuria perché non trova quello giusto. “Le facciate non sono in bianco argento, no? Né in bianco di zinco… Sono in gesso”. Vuole ottenere lo stesso bianco gessato. Gli viene così l’idea strampalata di dipingere le cose con un misto di colla e gesso che applica con un coltello. (…) Spesso prendeva come soggetto una chiesa. “Mi piace fare le chiese” ci spiegava.
Il venerdì era un giorno tranquillo. Grazie alle chiese, appunto. Utrillo le adorava. soprattutto la cattedrale di Reims, per il culto particolare che riservava a Giovanna d’Arco. Il venerdì era consacrato alla Pulzella. I cassetti e i ripiani del pittore erano ingombri di medaglioni, busti e oggetti vari che si riferivano alla santa. Pregava per lei.
Il sabato ritrovava le gioie dell’Inferno. Un medico che l’aveva ospitato per alcune settimane confidò a Francis carco che beveva tra gli otto e i dieci litri di vino al giorno. E che una sera, dopo essersi scolato tutto, dalla cantina al solaio, era entrato nella camera matrimoniale, aveva scoperto le riserve di acqua di colonia della coppia e si era bevuto tutte e cinque le bottiglie.
Sulla Butte i ragazzi di Montmartre lo chiamavano Litrillo.



Post scriptum
Nell’introduzione a Bohémes Frank spiega come il libro nasca ai margini di un suo romanzo, anch’esso pubblicato nel 1998, che prende il titolo da uno dei più celebri quadri di Amedeo Modigliani, il Nu couché. A quanto leggo sulla rete Frank vi racconta della faticosa ricerca parigina di una donna di cui conosce solo il nome, appreso in trincea da un compagno morente, Maleva, da parte del pittore russo Lev Korovine. Gli sono compagni nella "quête" Apollinaire, Max Jacob e, ovviamente, Modì. Non mi pare che il romanzo sia stato ancora tradotto in italiano ed ha tutta l’aria di farsi ben leggere (in Francia ha avuto un successo discreto e duraturo). E’ un suggerimento per gli editori. Io intanto, oggi stesso, ne ordinerò telematicamente una copia nella lingua originale. (S.L.L.)

1 commento:

Anonimo ha detto...

peccato ,spero traducano presto.
il libro da montmartre a montparnasse una vera bibbia.

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