8.12.10

Viva l'Italia (micropolis novembre 2010)

Viva l’Italia. Questo titolo hanno dato quest’anno gli organizzatori alla tradizionale rassegna perugina di Umbria Libri, probabilmente per cooperare alla celebrazione dei 150 anni di unità nazionale. Doveva essere il leit-motiv unificante, ma non è stato così. A guardare il programma, meno costoso che in altri anni e nondimeno ricco di appuntamenti, molto è stato affidato al caso, cioè alla libera scelta di editori, associazioni ed enti che hanno contribuito a costruire le kermesse. Tra gli eventi “in tema” quello dedicato a Italia del nord, Italia del sud, Italia di mezzo era di sicura attualità in un tempo di spinte separatiste. Pezzo forte la presenza di Pino Aprile, giornalista pugliese, autore di Terroni, ove concentra in una controstoria tutti i risentimenti meridionali; con lui  due storici professionali, Ercole Sori e Renato Covino.
Il racconto che Aprile fa nel libro e ha fatto nel dibattito è una storia di “colonialismo interno”, con un Nord che conquista, rapina, reprime ed opprime il Sud, con pagine nere di massacri di massa, campi di concentramento e forme di apartheid, con un razzismo implicito ed esplicito che, come un filo ininterrotto, collega Lombroso alla Gelmini e alla Lega Nord. In verità la rappresentazione di un regno borbonico finanziariamente florido e ricco di moderne attività produttive, pare frutto di generalizzazioni un po’ arbitrarie e in tutto il discorso di Aprile si indulge all’aneddotica e si esagera nei numeri; Sori lo fa notare a proposito della “emigrazione clandestina”. In effetti il giornalista non opera alcuna critica delle fonti e considera vangelo tutto ciò che corrobora le sue convizioni, con il procedimento tipico della dilettantistica storiografia “a tesi”.
La sostanza, al netto dei rancori e delle ritorsioni, ha comunque una sua base di verità, che coincide con la lettura gramsciana del Risorgimento come conquista regia e come rivoluzione agraria mancata. Fu Gramsci nel celebre Alcuni temi della quistione meridionale a denunciare come l’antimeridionalismo razzista che indigna Aprile fosse ingrediente base della cultura dominante e avesse infettato perfino la sinistra: “E’ noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle masse del Settentrione: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile d’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato la colpa non è del sistema capitalistico o di qualche altra causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari, temperando questa sorte matrigna con la esplosione puramente individuale di grandi geni, che sono come le solitarie palme in un arido e sterile deserto. Il partito socialista fu in gran parte il veicolo di questa ideologia borghese nel proletariato settentrionale”.
Per Gramsci il modello di sviluppo dualistico che caratterizzava l’Italia aveva alla base l’azione politica delle classi dominanti nello Stato unitario e peculiarmente l’alleanza suggellata dal patto protezionistico del 1887, quello che sancisce il blocco storico tra industriali del Nord-Ovest e agrari del Sud e delle Isole, asse che determina la composizione e l’orientamento dei gruppi dirigenti fino a tutto il periodo fascista. Meno agevole è, per la presenza di non poche sfumature, la lettura dei sessanta e più anni di vita repubblicana, che, accanto all’emersione dell’Italia centrale e al decollo del Nord Est, ha visto nel sud la sconfitta del movimento contadino, la grande migrazione, le politiche speciali per il Mezzogiorno, i poli di sviluppo, fino all’attuale disperante degrado, da molti vissuto come spoliazione.
Di sicuro la polarizzazione si è accentuata. Ma anche quest’esito – spiegava Covino -  è legato alle scelte di classi dirigenti con una forte componente meridionale e non alla generica e interclassista contrapposizione tra Nord e Sud. Sul tema Aprile si mostrava a ragione imbarazzato. Non sono pochi i notabili vecchi e nuovi del ceto politico meridionale da sempre partecipe della direzione dello stato (Lombardo, Poli Bortone, Scotti, Miccichè eccetera) che si sono appropriati delle sue storie e vanno progettando di contrapporre alla Lega nord un leghismo sudista, talora favoleggiando di una continuità ininterrotta tra l’unificazione di 150 anni fa e l’attuale condizione dell’Italia meridionale.
Credo anch’io che sia arrivato il tempo per un racconto meno pacificato del Risorgimento, di modo che la guerra civile degli anni 60 dell’Ottocento sia raccontata come tale e non come brigantaggio e che le carneficine di Forte Fenestrelle e Pontelandolfo trovino lo spazio che meritano nella memoria collettiva e nei libri di storia. E tuttavia ho molte difficoltà nel vedere in Bossi e Calderoli i discendenti della Destra Storica, il gruppo dirigente meno corrotto che l’Italia unita abbia avuto. Non ci crederei neanche di fronte a un dettagliatissimo albero genealogico.

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