11.12.10

La nostra guerra (di Gabriele D'Annunzio)

Il testo che segue l’ho ripreso da Il milite noto di Giorgio Pecorini, Sellerio, 1983, un libro da sottrarre all’oblio, basato sul diario e sulle lettere originali di un “leale cittadino” (lo zio dell’autore, Vasco Pecorini) combattente e defunto nella Grande Guerra, una guerra tutt'altro che leale esattamente come la retorica del “milite ignoto”.
Il brano è tratto da un discorso tenuto da Gabriele D’Annunzio a un nutrito gruppo di amici all’alba del 25 maggio 1915, dopo avere ben mangiato e meglio bevuto in una cena che festeggiava l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra. Il titolo che il Vate aveva scelto era Tacitum robur. Parole dette in una cena di compagni all’alba del XXV maggio MCMXV. L’integrale può ritrovarsi in Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, di indovinamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, volume I, 1947. (S.L.L.)

Compagni è l’alba. La nostra vigilia è finita. La nostra ebbrezza incomincia.
Come il pico di Marte percote la scorza della quercia laziale, un cuore misterioso urta stamani il petto del primo combattente. Il confine è valicato. Il cannone tuona. La terra fuma. L’adriatico è grigio come la torpediniera che lo taglia.
Compagni, è vero? Incredibile sembra l’evento, dopo tanta ambascia. Si combatte con le armi, si guerreggia la nostra guerra, il sangue sgorga dalle vene d’Italia. Siamo gli ultimi ad entrare nella lotta, e già i primi incontro alla gloria.
[…]
O compagni, questo non è il gelo dell’alba ma un brivido più profondo. E siamo tutti pallidi. Il sangue comincia a sgorgare dal corpo della Patria. Non lo sentite? L’uccisione comincia, la distruzione comincia. Uno della nostra gente è morto sul mare, uno della nostra gente è morto sul suolo. Tutto quel popolo, che ieri tumultuava nelle vie e nelle piazze, che ieri a gran voce domandava guerra, è pieno di vene, è pieno di sangue; e quel sangue comincia a scorrere, quel sangue fuma ai piedi d’una grandezza invisibile, d’una grandezza più grande che tutto quel popolo.  

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